mercoledì 18 aprile 2012

Il diavolo in persona








carta dei Tarocchi: XV Arcano Maggiore


Pazzo. Nazista. Crudele. Sarebbe da mandare in galera. Incita all'abuso sui minori indifesi.
Queste sono alcune definizioni che circolano sul web a proposito del diavolo in persona, Eduard Estivill (direttore della Unidad de Alteraciones del Sueño dell’Istituto Dexeus di Barcellona), autore di “Fate la nanna”. Ovvero insegnare ai genitori come, con un metodo coercitivo, educare un bambino al di sotto dei cinque anni a dormire tutta la notte, in piena autonomia.
Nei forum di mamme, a coloro che hanno applicato il metodo, il tenore delle risposte è: Ti denuncerei. Il tuo povero piccolino non piange più non perchè si senta sicuro, ma perchè sa che tanto TU non verrai, alla faccia del sentirsi sicuri la propria madre. Sei crudele. Cosa ti hanno fatto da piccola?
Su you tube c'è un video che ha oltre 27000 visioni, il primo che esce se si digita “metodo Estivill”. Con un sottofondo musicale tra il gregoriano e la new-age da meditazione, Maria Teresa Lanza espone le ragioni di tanta diffusa ostilità. La sua voce è persuasiva e a tratti rotta dall'emozione, come quella che accompagna certe immagini dei bambini vittime della guerra o di una tragica carestia.
Spiega che il metodo propugnato da Estivill è pericoloso, pericolosissimo, che si tratta di una violenza continua, non accettabile. Un libro che contempla un'efferata violenza, scritto da una persona assolutamente malvagia e fuori di senno, un corruttore del naturale istinto materno, una sorta di dittatore. Maria Teresa Lanza si chiede come sia possibile che questo pediatra abbia potuto far crescere nel suo cuore una disattenzione così totale nei confronti delle sacrosante necessità primarie del bambino; come sia diventato un acerrimo nemico e accusatore del nuovo nato, al quale lancia un messaggio di profonda inimicizia, rancore ed odio. La risposta di Maria Teresa Lanza è che Estivill è nato in Spagna nel 1950, e dunque la sua visione è probabilmente frutto della disciplina militare del regime dittatoriale franchista.
Piena di addolorato stupore nota che il metodo viene applicato da tantissimi genitori, anche qui in Italia, soprattutto nelle provincie cosiddette bianche, cattoliche. Come far capire a queste persone, si domanda, che il signor Estivill sta abusando prima di tutto di loro? Come, se già siamo vittime dell'imperante e deleteria cultura del narcisismo? Del resto, chi applica questo metodo ha evidentemente subito da piccolo la stessa disumana disattenzione.
Conclude descrivendo l'esperienza traumatica dei bambini sottoposti a tale ingiusto trattamento: esperienza di morte, di annichilimento totale, ai limiti dell'umana sopportazione. Rammenta che venire precocemente a contatto con collere e crudeltà della mamma provoca profonde distorsioni nel bambino. Mentre la voce suadente dice queste cose, scorrono immagini di bambini in lacrime alternate a immagini dell'esercito dell'antica Roma, battaglie cruente e uccisioni, per finire sull'ultimo eloquente fotomontaggio: un bambino fiducioso che scende dallo scivolo, il quale però si rivela essere una gigantesca grattugia con i dentini rivolti verso la sua schiena.

Ora, di tutti gli inviti che Maria Teresa Lanza fa, ne raccolgo uno con autentica gioia: meglio essere critici, sempre critici.
Il metodo Estivill non l'ho mai provato e non fa per me. Sono di picaglia tenera (traduzione per i non bolognesi: la picaglia è il materiale di cui è fatto qualcosa), inoltre sono sempre stata piuttosto scombinata con i ritmi. La regolarità non è il mio forte, e il suo metodo richiede estrema regolarità. Ciononostante a volte, con i figli, sono stata anche di picaglia dura, quando ritenevo che qualcosa fosse di vitale importanza per me o per loro. Ho avuto ovviamente le mie critiche, perchè da taluni venivo giudicata di picaglia troppo tenera e da talaltri di picaglia troppo dura.
Il libro incriminato però l'ho letto, proprio in questi giorni.
Francamente non mi è sembrato il frutto della mente di un pazzo crudele. Le sue mi sono sembrate parole di un medico che affronta un problema spesso reale, con un certo distacco emotivo. Distacco che è salutare, a dire il vero, perchè potere definire “marmocchio diabolico” un bambino che ti fa passare la trentesima notte senza dormire è liberatorio. Le filastrocche popolari sono sempre state piene di tali “crudeltà” che purificano la psiche intossicata da notti insonni e fatiche diurne. Così come è liberatorio il bellissimo “Fai 'sta cazzo di nanna".
Estivill ripete ogni mezza pagina che il bambino ha bisogno di sentirsi amato, che va rassicurato in ogni modo, e che gli vanno forniti gli strumenti per sviluppare l'autonomia, in primis quella del sonno. Raccomanda di non fare mai passare più di cinque minuti senza rientrare nella stanza. Propone regole precise. Chi di noi non ha mai sperimentato come in momenti di grande difficoltà, di qualsiasi genere, una rigorosa disciplina sia in grado di farci svoltare?
In un forum, una mamma prende le difese di un'altra, tacciata di malvagità perchè si è affidata al metodo Estivill. “Forse era davvero stanca, forse ha passato mesi insonni a dormire tre ore per notte e nemmeno continuative, a svegliarsi ogni ora con il pianto del bimbo che rompe timpano e cuore, forse è uscita qualche volta in vestaglia con solo il cellulare e la patente in tasca e il bimbo nel seggiolino per tentare di addormentarlo in auto, esasperata perché ha pianto da mezzanotte alle quattro del mattino, sperando di non incontrare nessuno a cui giustificare la tenuta da esaurita che ha addosso”. Ci possono anche essere situazioni familiari particolari, in cui un bambino che non dorme mai può essere causa di gravi disagi, possibile che di casi simili ne conosca solo io?

Dire che un bambino è solo fragile e indifeso è fargli un torto, perchè un bambino è anche una forza selvaggia di vita, ricco di risorse. E a chi pensa che per un bambino sia un dramma definitivo assistere precocemente alle collere della madre, consiglio la lettura del libro “Urlo di mamma”. La mamma del piccolo pinguino grida talmente forte che il piccolo si spaventa e si disintegra in tanti pezzi che si sparpagliano per il pianeta. Vorrebbe camminare ma i piedi sono lontani, vorrebbe chiamare ma il becco è lontano. La mamma inizia un viaggio per il mondo per recuperare tutti i pezzi del piccolo pinguino, e li cuce tutti insieme con ago e filo. “Scusa se ho urlato forte” dice la mamma, e abbracciati salpano sulla nave che li riporta a casa.
E' ipocrita demonizzare un certo modo di prendersi cura dei figli e allo stesso tempo dire “certo, ognuno è libero di allevare i figli come meglio crede, però....”.
Non c'è "però", bisogna essere chiari su questo: se un certo modo è un abuso, va perseguito per legge. Oppure bisogna cambiare il vocabolario, e dire che quel certo modo non è vicino al mio sentire, che va contro i bisogni dei bambini, che io non lo farei mai, che mi fa soffrire pensarci, che ci sono metodi più dolci..... qualsiasi cosa, ma non che "siamo di fronte ad un crudele abuso d'infanzia". Qualche tempo fa i genitori cinesi di una bambina di quattro anni sono stati arrestati in seguito alla denuncia di un vicino. Avevano lasciato la figlia sul pianerottolo, per tre ore. Per punizione. Quando sono arrivati i carabinieri, i genitori erano sinceramente stupiti perché per loro era una normale prassi educativa. Ebbene, in Italia questo comportamento equivale a maltrattamento, e come tale è stato giustamente perseguito.
Chi demonizza le madri che applicano il metodo Estivill, ritiene che siano da perseguire legalmente per abuso oppure no? Nel primo caso occorre agire, nel secondo caso occorre moderare le parole.

Conosco alcune mamme che hanno adottato il metodo Estivill. Posso garantire che sono madri amorosissime e affettuose, sensibili ai bisogni dei figli. Posso assicurare che non sono nemmeno delle sprovvedute senza cultura. Alcune sono cattoliche e altre invece per nulla (a questo proposito mi chiedo dove Maria Teresa Lanza abbia trovato le statistiche secondo le quali il metodo verrebbe utilizzato soprattutto nelle province cosiddette bianche, cattoliche). Non metto in dubbio che ce ne siano anche di anaffettive, come del resto tra chi non adotta tale metodo.
Ho conosciuto bambini che hanno vissuto traumi profondi. La guerra, l'abbandono, la prematurità grave.... Cerchiamo di avere il senso della misura.
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domenica 15 aprile 2012

Tenere a mente

"Il meglio può anche essere un nemico del bene, ma la perfezione è sicuramente un nemico mortale di entrambi"
Zygmunt Bauman

mercoledì 11 aprile 2012

Tracotanza


Sto leggendo "Lieto evento" di Eliette Abecassis, romanzo che racconta la storia di una maternità e di una nascita senza alcuna romantica sdolcinatezza.
Mi piace, a cominciare da questa riflessione che ben introduce quegli interrogativi che fanno parte della cultura della nostra epoca. Interrogativi che solo un secolo fa, quando il controllo delle nascite non era ancora una realtà, non avevano motivo di esistere. In particolare per le donne.
" Non avevamo nessun motivo per fare un figlio. Eravamo giovani, felici, innamorati. Non c'era alcuna necessità sociale. Non era una decisione scontata. Non era la naturale evoluzione della nostra storia, non c'erano pressioni, non c'era un progetto. (....)
Una risposta all'assurdità della vita? Ma da dove viene questa follia della gente di avere dei figli - perchè sono così tracotanti? Chi si credono di essere? Sanno quello che fanno? Ne hanno coscienza? No, in realtà nessuno ha capito nulla. Come il Borghese Gentiluomo fanno della metafisica e non lo sanno. Compiono l'atto più comune e straordinario, che consiste nel riprodurre l'umanità, prendendosi carico di un cucciolo d'uomo. Diventando responsabili di un altro, quando non lo sono di sè stessi. E' terribilmente banale. Si mettono al posto di Dio, in tutta innocenza."
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sabato 7 aprile 2012

Ancora sulla placenta

immagine tratta da "Placenta, the forgotten chakra" di Robin Lim


E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d'una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

Cosa c’entra la canzone di Fabrizio De Andrè con la placenta? In effetti niente, ma quel “segreto che si svela quando lievita il ventre” mi fa pensare al fatto che la gravidanza è uno stato in cui si sfiora il mistero, e che dunque è un momento in cui sono importanti tante cose, anche la bellezza che nutre lo spirito, anche qualcosa che sia fonte d’ispirazione. Qualcosa che solleva i pensieri e attiva la fantasia. Il legame con la placenta, archetipo della nostra cultura, è un ponte con il mistero della venuta al mondo. Pur non essendo placentofagi,  per millenni ce ne siamo presi cura.

“Così intima è considerata l’unione dell’uomo con la sua placenta e con il cordone ombelicale, che le buone e le cattive fortune di ciascun individuo si suppongono collegate per tutta la vita con l’una o con l’altra di queste porzioni della sua persona, così che, se il suo cordone ombelicale viene conservato e trattato bene, l’individuo sarà felice; ma se viene danneggiato o perduto, egli ne soffrirà in conseguenza” (James Frazer, Il ramo d’oro)
La placenta è una parte del corpo, non solo della madre, non solo del bambino. La fase del secondamento ha sempre qualcosa di magico, perché la vedi e sai che è quella cosa che ha permesso al bambino di crescere, perché ha una forma davvero meravigliosa, perché l’ostetrica la scruta con serietà e attenzione per vedere che sia tutta intera, un insieme di gesti rituali che si ripetono sempre uguali.


Come non comprendere che ci possa essere il bisogno di mantenere un legame, il bisogno di trattarla con tenerezza, con rispetto?
Essere nato con la camicia è ancora oggi sinonimo di persona fortunata, e letteralmente significa essere nato portandosi dietro il sacco amniotico. In Friuli, dove nel medioevo c’era il culto dei Benandanti,  si raccontava che questi fossero persone speciali venute alla luce con un lembo di placenta, considerata sede dell’anima. Per questa ragione, si diceva, i Benandanti erano provvisti di poteri contro gli spiriti distruttori dei campi e contro fatture e malocchi perpetrati dalle streghe. Per mantenere il loro potere, dovevano però stare ben attenti a non fare cadere in mani nemiche il piccolo ritaglio di placenta essiccata che portavano addosso, nello scapolare.
Nei geroglifici dell’antico Egitto, possiamo vedere il Faraone che porta in processione la propria placenta, ancora legata a sé dal funicolo.
Il cordone è considerato ancora oggi, nel linguaggio comune, il simbolo del legame per eccellenza, e “tagliare il cordone” significa recidere un legame profondo e spesso asfissiante (infatti c’è un tempo per essere legati alla madre e c’è un tempo per separarsi).
Ibu Robin Lim ci racconta moltissime leggende nelle quali la placenta viene dipinta come un angelo che protegge e si prende cura del bambino per tutta la vita. La placenta, dice, è come un gemello, con cui condividiamo il codice genetico, ed è una presenza essenziale per la nostra vita su questa Terra, è la compagna della nostra vita spirituale.
Sotterrare la placenta è un’usanza piuttosto comune nel mondo, senza bisogno di risalire al medioevo. Non siamo gli stessi uomini e le stesse donne di un tempo, e personalmente ne sono felice, però cancellare con un colpo di spugna millenni di cultura…. mi disturba.  Anch’io ho sotterrato le placente dei miei figli, e conservo ancora i monconcini mummificati dei loro cordoni.
Per qualcuno certe parole odorano troppo di cultura arcaica, e un poco anche per me. Ma non emarginiamo troppo l’invisibile, teniamocelo caro.

martedì 3 aprile 2012

Competenze usate bene


Dal blog Scientificando:  Da dove vengono le buone idee?
La mortalità infantile dei paesi in via di sviluppo è per metà dovuta ai parti prematuri e alla mancanza di incubatrici. Ma, se compri un'incubatrice costosissima e la spedisci in un villaggio in Africa, funzionerà alla grande per uno, due anni, poi qualcosa andrà storto e si romperà. Dopodichè resterà rotta, perché manca l'intera rete di pezzi di ricambio, e mancano i tecnici specializzati per ripararla. Alla fine, i soldi spesi per portare aiuto e tecnologie avanzate in questi paesi, alla fine risultano inutili.
In questi paesi ci sono però meccanici che possono smontare e rimontare un fuoristrada meglio di chiunque
altro. Così un tizio di nome Timoty Prestero, che possede l'azienda "Design that matters" ha pensato di progettare, costruire e commercializzare incubatrici fatte interamente di pezzi di automobile. Si chiama dispositivo neocultore. Da fuori, sembra un normale apparecchietto che trovereste in un moderno ospedale occidentale. Dentro, sono tutte parti di automobile. Ha una ventola, fari per riscaldare, segnalatori acustici di portiera come allarme. E' alimentato dalla batteria di una macchina. Bastano solo i pezzi di ricambio della tua Toyota e l'abilità di riparare un fanale, e l'apparecchio si può riparare.
E questa è stata invenzione dell'anno del 2010 !

La placenta da mangiare


L’attrice January Jones ha raccontato, in un’intervista rilasciata a People, di essersi mangiata la placenta dopo il parto. Ho postato la notizia su facebook e non ho fatto in tempo a contare fino a trenta che sono iniziati a piovere commenti di ogni tipo, da “ma è cannibalismo!” a “che schifo, adesso vomito”, fino ad arrivare a chiedersi se sia più buona cotta con la cipolla come il fegato alla veneziana o piuttosto come il ragù alla bolognese. Finchè è intervenuta Shoshanna che ci ha regalato un piccolo, delizioso aneddoto. "Vegetariana dall'età di 16 anni, ho fatto un'unica eccezione per assaggiare lo stufato di placenta preparato dalla mia amica. Aveva partorito nel furgone dove abitava, con l'aiuto di un'altra amica, sotto casa nostra a San Francisco , nel 1980 circa. Ah! those were the good old days!”.
Però, a leggere bene la notizia, la bella January non si è divorata la placenta ancora tiepida (come dichiarò invece di avere fatto, a suo tempo, Tom Cruise). 
“Ho una bravissima doula che si preoccupa che mangi correttamente, con vitamine, tè, e con incapsulamento di placenta, che viene essiccata e trasformata in vitamine”, ha spiegato.
"Ero un po’ titubante, ma siamo gli unici mammiferi che non ingeriscono la propria placenta”.
A dire la verità, in un tempo non troppo lontano, anche nelle nostre campagne si usava fare un brodo con placenta e pollo, da far bere alla puerpera. In effetti, a parte il brodino, l’umano non la mangia, ma non siamo proprio gli unici, cara January: non la mangiano nemmeno balene, cammelli e foche. In compenso il cavallo, rigorosamente erbivoro, se la mangia.
Perché la maggior parte degli animali è placentofago? E perché l’umano
non lo è? Nemmeno Mark Kristal, che studia l’argomento da decenni, è riuscito a trovare risposte certe.
Quello che sappiamo è che la placenta contiene grandi quantità di sostanze altamente nutritive e di ormoni, ma non sappiamo se sia questa la ragione per cui esiste la placentofagia. Anche perché, se fosse così, dovremmo chiederci perché mai le balene o i cammelli se ne privino.
Comunque sia, ormoni, proteine e vitamine sono le ragioni  per cui in America ci sono doule che si sono specializzate nel seccarla e trasformarla in capsule, che poi la mamma usa a suo piacimento, per riprendere forza e per scongiurare la depressione post-partum.
Credulonerie da svalvolate new-age? Moda passeggera? Oppure nutrirsi di placenta fa davvero bene, e dunque si tratta di un'interessante evoluzione, destinata ad avere un seguito?
Non ho elementi sufficienti per saperlo, ma non mi scandalizzo, sono curiosa e sinceramente interessata a capirci di più.
Quando si incominciò a parlare di fare dei centri di raccolta del latte materno, da utilizzare principalmente nei reparti di neonatologia per i nati prematuri, ci furono ugualmente reazioni di disgusto, probabilmente perchè veniva avvertito come qualcosa di troppo privato e troppo corporeo per essere raccolto come fossimo mucche. Oggi nessuno si scandalizza più.
Certo, non si può paragonare il latte materno alla placenta. E' solo per dire che ci si abitua, e quello che prima ci sembrava repellente, finisce col sembrarci normale.

lunedì 2 aprile 2012

Placenta e Lotus Birth




Due giorni fa i giornali  hanno pubblicato la notizia che in un ospedale di Roma è nato un bambino con il Lotus Birth, ovvero senza il taglio del cordone ombelicale, mantenendo la placenta attaccata al neonato fino a che il cordone non si secca e non si stacca da solo. Cosa che può succedere da tre a dieci giorni dopo. La placenta in quei giorni va naturalmente opportunamente trattata, onde evitare che diventi un vivaio di batteri. 
L'ostetrica Ibu Robin Lim ha scritto un libro sulla placenta, per ora disponibile solo in inglese, nel quale evidenzia come i centri energetici che tantissime tradizioni hanno riscontrato all'interno del corpo umano, siano collocati in corrispondenza delle ghiandole endocrine, ovvero i punti con la più alta concentrazione di ormoni. Questi ultimi sarebbero, secondo Robin Lim, il ponte tra la materia e lo spirito, e la placenta, l'organo in assoluto più ricco di ormoni, sarebbe uno tra questi importanti punti energetici.
Molteplici studi sostengono l'importanza di una nascita Lotus almeno parziale, aspettando cioè che il cordone abbia smesso completamente di pulsare prima di reciderlo. 
In situazioni di emergenza legata a disastri naturali e ovunque manchi la possibilità di avere acqua corrente e di sterilizzare gli strumenti, il taglio del cordone ombelicale può essere molto più pericoloso rispetto al lasciarlo intatto o reciderlo bruciandolo in circa 10-15 minuti con l'aiuto di due candele. In quei contesti Ibu Robin ha diffuso questo sistema, in modo da prevenire il rischio di morte per tetano.
Il Lotus Birth è una pratica che ha una cerchia di estimatori anche in Italia, e personalmente conosco solo due donne che l'hanno fatto. 
Una è un 'ostetrica, mamma di una bella e beata bambina: ne è felicissima, me lo ha raccontato con grande emozione, dicendo che lei, papà e bebè ne hanno tratto grande soddisfazione. 
L'altra è una magnifica Gipsy Queen, che aveva progettato il Lotus Birth per la nascita della seconda figlia. Dopo il parto le ho chiesto com'era andata con il Lotus. La risposta è stata  che con la placenta è stata antipatia a prima vista, che si è trasformata in intolleranza vera e propria quando già al secondo giorno il cordone è diventato  un tubetto  grinzo che pareva  ferro, ingestibile.  La faccenda si è conclusa quando la notte del terzo giorno, dormendo,  ha tirato una manata sul cordone rinsecchito della piccola, ponendo fine alla questione!  Mummificata, la placenta ha ricevuto una degna sepoltura.....!!! 
Trovo che siano entrambe bellissime storie.



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