mercoledì 17 aprile 2013

Memorie di un parto cantato


Bruce Chatwin nel suo diario di viaggio in Australia Le vie dei canti, ci racconta che gli uomini del tempo antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le montagne, le dune di sabbia e le saline. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero e in ogni punto del loro cammino lasciarono una scia di musica.
Avvolsero il mondo intero in una rete di canto e così lo fecero esistere. Queste “vie dei canti” sono rimaste sulla terra come vie di comunicazione tra le tribù aborigene più lontane, l’Australia intera può essere letta come uno spartito musicale. Si credeva che un Antenato, mentre percorreva il paese cantando, avesse lasciato sulle proprie orme una scia di cellule di vita, o bambini spirito. Una specie di sperma musicale.
Il libro di Elena Skoko Memorie di un parto cantato.Una nascita gentile con Ibu Robin Lim ha come filo conduttore  il canto, e leggendolo ho pensato spesso a questo racconto di Bruce Chatwin.

Non ho mai incontrato Elena, non ancora almeno. L’ho conosciuta solo sul web, ci siamo scritte diverse volte, dovevamo incontrarci a Bologna una volta che era qui di passaggio, ma poi non ci siamo riuscite. Quel giorno mi telefonò e aveva una voce argentina e piena di energia, affannata per il passo sostenuto.
Questo libro è la sua storia, da quando non le passava nemmeno per la mente di fare un figlio perché le faceva paura, all’incontro con l’uomo che le ha fatto decidere di procedere verso l’ignoto, fino alla gravidanza e alla nascita della figlia.
Si diventa madri attraverso una lunga metamorfosi fisica e interiore, gestazione di una nuova vita e di sè stesse al contempo, ed è bello seguire Elena nel suo cammino in questo territorio sconosciuto; ogni giorno è un nuovo principio per lei e vi si butta a capofitto. Per attraversare questa trasformazione si è messa in ascolto della metamorfosi in atto ed è andata per tentativi. Dal momento in cui si è scoperta in gravidanza, si è resa conto di non averne mai saputo quasi nulla, ed è stata afferrata dalla febbre bibliografica. E’ diventata vorace, ha trangugiato libri su libri, ha saccheggiato il web e infine ha riversato il sapere accumulato in queste pagine, mescolando un accurato compendio sulla cultura che si è fatta sull'argomento alla narrazione del suo percorso più intimo.
Elena è una donna moderna e libera, una con il rigore delle piccole pioniere di Tito, quale era da piccola, cresciuta però quando nel suo paese non c’erano più certezze, e dunque è abituata a mettere tutto in discussione. E’ disincantata ma innamorata dell’incanto, ha provato tutte le strade possibili prima di trovarne una che la convincesse, che le permettesse di passare la gravidanza e infine partorire a modo suo, secondo il suo sentire. Passo dopo passo, ha fatto quello che la faceva sentire tranquilla, che la rassicurava, sperimentando le sue paure, i suoi pregiudizi, i suoi limiti e il suo coraggio.
E’ un racconto appetitoso, gonfio di sensualità, di erotismo, di curiosità, di slanci, di pazzie, di ingenuità, di allegria. Parla di piacere, di ozio goduto, di corpo sensibile. Canta perché le piace cantare e mangia perché le piace mangiare.
Ad un certo punto di questa avventura ha conosciuto a Bali Ibu Robin Lim, ostetrica eroica e leggendaria che Elena descrive come “una tigre nelle vesti di un’esile e simpatica hippy cinquantenne”. E’  questo incontro a farle decidere di partorire a Bumi Sehat, la clinica fondata da Ibu Robin in un villaggio rurale dell’isola, dove si è sentita accolta con semplicità e calore. Finalmente ha trovato l’accordo giusto e tutto si è srotolato con naturalezza, perché non c’era bisogno di spiegare niente. Questa donna minuta, che si prende cura di tutti e dispensa generosi “I love you”, era in perfetta consonanza con il suo sentire: “Ogni nascita coinvolge sia il mondo visibile che quello invisibile. E’ un’opportunità per l’invisibile di intervenire brevemente ed essere servito con adeguato rispetto. Dopotutto la venuta al mondo è il momento in cui si apre la porta tra i mondi”.(1)
Elena ha travagliato, e infine partorito, cantando. Ma nessuno si aspetti vocalizzi mistici emessi nell’austera posizione del  loto:  Elena è una rockstar, una succulenta Marylin bionda e tatuata, l’incarnazione imponente e feconda di una guerriera slava, come l’ha definita un amico.
La sua è una vicenda non usuale, direi anzi decisamente originale. Eppure ciascuna donna che legga il suo racconto potrà riconoscere, ritrovare qualche pezzettino di sé, pur se di figli non ne ha fatti mai.
Narrare e ascoltare storie sono sempre stati bisogni fondamentali di noi umani, dalla notte dei tempi. Però, tra le storie che si raccontano sono rare quelle che narrano la nascita e che si soffermano proprio sul momento del parto, quasi considerassimo il momento del nostro principio poco importante.  Quando succede di poterne ascoltare una, è sempre un grande dono che si riceve. Ascoltare la storia di un parto ci permette di immedesimarci, di sentire, di entrare nella concretezza del coraggio necessario alla madre e al figlio, della vulnerabilità inevitabile, della paura che artiglia la carne, della furia delle forze in atto.
Una storia arriva dove nessuna teoria e nessun discorso astratto potrà mai arrivare.

Il libro, pubblicato in inglese con il titolo Memoirs of a Singing Birth nel 2012, uscirà a breve in italiano, durante il tour di Ibu Robin Lim in Italia.

(1) Robin Lim (1991) Dopo la nascita del bambino Urra-Apogeo, Milano, 2007

giovedì 11 aprile 2013

Tutto parla di noi



I figli non appartengono alla madre, diceva il grande Khalil Gibran.
I figli non appartengono alla madre e nemmeno alla coppia che li ha generati. Non appartengono a nessuno se non a loro stessi,  e fanno parte della collettività, dunque un pochino sono figli di tutti.
Questo è uno dei pensieri che mi hanno attraversato la mente mentre guardavo Tutto parla di te di Alina Marazzi. Non tanto seguendo la storia principale, ma guardando quelle immagini di sfondo,  che sembrano quasi casuali:  la mamma che aspetta l'autobus con una mano appoggiata al passeggino, quella che attraversa la strada in mezzo alla folla con il bebè nella fascia, quella che avanzando sul marciapiede spingendo la carrozzina ne incrocia un'altra che cammina in senso contrario. In poco più di ottanta minuti di film, abbiamo visto un concentrato di neonati aggirarsi nelle strade, li abbiamo visti emergere come fossero stati imbevuti di un liquido rivelatore. I neonati sono tra noi, ci guardano e ci riguardano, nessuno dovrebbe sentirsi esente da questo sentimento.

Le madri che li portano nel ventre, che li partoriscono, li nutrono e li accudiscono a stretto contatto con il proprio corpo fino a quando non fanno i primi passi, vivono invece come in un universo a parte, come se fossero uscite dalla collettività, esiliate. Lo raccontano dolorosamente tante donne nel film. Il mondo intorno aspetta che tornino alla normalità e nel frattempo le giudica, dispensa consigli e le guarda senza vederle.
Un tempo, quando c'erano le grandi famiglie e la società era meno urbanizzata, le donne che avevano già esperienza circondavano quelle che diventavano madri, le quali certamente così si sentivano poco sole, e ogni nascita era fortemente vissuta come un evento che riguardava la collettività.
Eppure non dobbiamo fare l'errore di idealizzare il passato. C'erano codici  molto precisi da rispettare, regole che la giovane sposa,  presto madre,  doveva seguire. Entrava nella sua nuova vita sapendo bene qual'era il suo posto e non poteva fare le cose di testa sua. Mica che la suocera o la cognata si mettevano accanto a lei e montessorianamente le chiedevano "tu come faresti cara....?". Se poi restava incinta senza avere un uomo che l'avrebbe sposata, diventava una reietta. Nel film è inserita una pubblicità di littoriana memoria, dove si spiegava alle donne come compiere virtuosamente la propria missione di madri, e non c'era spazio per desideri personali o sentimenti ambivalenti. Se lo sfinimento, le lacrime e i cattivi pensieri non cessavano in fretta, la sciagurata veniva isolata nella stanza più inaccessibile della casa, oppure rinchiusa in manicomio. Ricordo bene un'amica che aveva la mamma chiusa da anni in una stanza ricavata dalla soffitta, le portavano da mangiare perchè non scendeva nemmeno in cucina e fuori casa non  la si vedeva mai, era vergognoso persino parlare di lei.
Oggi le donne sono cambiate e la società è cambiata. Dobbiamo escogitare, e infatti lo stiamo facendo, nuovi modi per comunicare, per darci ascolto e supporto reciproci. Ma la maternità, quella dei primi tempi soprattutto, pare essere incagliata in un mondo a parte. Se ne parla solo tra "addetti ai lavori": ostetriche, psicologhe, gruppi che del sostegno alla maternità hanno fatto una professione, doule, mamme tra mamme. Ma il tema non riesce ad entrare nella cultura con la C maiuscola, sembra destinato ad essere relegato in luoghi pensati per questo uso, oppure tra le pareti delle cucine di casa.
Anche per questo ieri sera ho provato un piacere immenso. Tutto parla di te lo si è guardato al cinema Lumiere, e sempre al Lumiere se n'è parlato. La sala era così piena che molta gente è rimasta fuori, e hanno fatto una seconda proiezione.

Il racconto di Alina Marazzi si snoda tra le ambivalenze del sentimento materno, della depressione post-parto, di quello scoramento che ti prende quando non dormi più la notte, quando ti sembra di non sapere rispondere al pianto del bambino, quando ti vedi brutta e scialba, quando non hai la forza di fare le piccole cose quotidiane, quando tutto ti costa fatica, quando ti senti una cattiva madre, quando hai dei sentimenti aggressivi nei confronti del tuo bambino, quando senti l'impulso di fargli del male.
E' importante accettare l'idea che la vita è fatta di sentimenti contrastanti, anche e soprattutto quando diventiamo madri, non dobbiamo respingerli per paura. L' impotenza, la fragilità, la frustrazione, il senso di colpa, la rabbia, sono tutti aspetti della nostra condizione di esseri umani. Non lasciare sole le madri non deve coincidere con il tentativo di rimuovere questi sentimenti. Perderemmo il senso del miracolo che ogni nuova vita porta con sè, che è fatto anche di smottamenti interiori, e finiremmo dritti dritti nello stereotipo fasullo e ideologico della madre solo felice e fiera del suo operato. A perfetta imitazione della mamma della casa delle bambole, nella bellissima animazione che c'è all'interno del film.

Mi sono identificata un po' nella figura di Pauline, pur non avendo alle spalle una storia tragica come la sua.
Pauline frequenta un centro dove vanno le donne che stanno diventando madri o lo sono appena diventate. Le osserva, ascolta i loro racconti ma resta sempre laterale, non è animatrice di alcun gruppo, non è specializzata in niente. Avvicina la giovane Emma e la frequenta fuori da questo posto, si vedono al bar, camminano insieme per la strada, entra in casa sua. La porta anche a vedere i camaleonti e le tartarughe, e sorridono insieme osservandoli nelle teche di vetro.
Ho sentito dentro la mia pelle la narrazione di tutta quella fatica materna raccontata senza enfasi, l'ho sentita così tanto che mi sono quasi commossa a guardare gli animaletti zampettare, teneramente vivi, fuori dal tunnel  opprimente in cui Emma e tante altre sono intrappolate.



Il 10 aprile a Bologna Tutto parla di te è stato presentato in anteprima dalla Cineteca, in collaborazione con BIM, Associazione Mammadoula, Casa maternità Il Nido e Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
Alla fine della proiezione è seguito un dibattito tra Alina Marazzi, Annamaria Tagliavini (direttrice Biblioteca Italiana delle Donne), Marzia Bisognin ovvero me medesima, Maria Mazzoli (giovane mamma di cui sono stata doula), Annalisa Pini (ostetrica della Casa Maternità Il Nido) e Anna Frigerio (psicologa).






domenica 7 aprile 2013

Il punto di vista di Grazia Honegger Fresco


Bell'intervento di Grazia Honegger Fresco sulla solitudine delle madri, all'interno del progetto Tutto parla di voi, in cui si pronuncia anche sulla figura della doula.

CLICCA  per vedere il video

Grazia Honegger Fresco, da oltre cinquant´anni, svolge la sua intensa attività di pedagogista ed erede di Maria Montessori, della quale fu allieva in uno degli ultimi corsi da lei diretti. Ha a lungo sperimentato la forza innovativa delle proposte montessoriane - dalla nascita alle soglie dell'adolescenza - nelle Maternità e nei Nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e con i loro genitori, dedica da vari anni molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all’estero, adottando metodologie attive, apprese in numerosi incontri con i CEMEA francesi e italiani.
Grazia Honegger Fresco è stata Presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e a tutt´oggi è membro del Direttivo. E´ consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa). Nel 2008 ha ricevuto il "Premio UNICEF-dalla parte dei bambini". Dal 1984 è condirettrice della rivista trimestrale "Il quaderno Montessori", fondato insieme a Lia De Pra Cavalleri.
Il suo contributo scientifico e professionale all'approfondimento della teoria montessoriana l'ha resa una delle più autorevoli autrici di opere divulgative in campo educativo destinate ai genitori e ai nonni. Il suo testo Essere genitori (Edizioni RED) è un vero e proprio best seller in grado di chiarire i vari dubbi che sorgono nello svolgere il difficile "mestiere" di genitori. Sua è anche la biografia Maria Montessori, una storia attuale, che racconta l'intera parabola intellettuale ed esistenziale della sua insigne maestra. (dal sito Centro Nascita Montessori)