martedì 14 marzo 2023

La retorica sulla diade mamma-bambino

“Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”, lo diciamo sempre al Melograno. Ma come si può declinare questo concetto con lo stile di vita che conduciamo oggi? Come renderlo concreto e praticabile? E che relazione c’è tra il villaggio e la diade mamma-bambino, quella relazione primaria di cui si dice vada protetta e rafforzata? Se volgiamo lo sguardo alla storia umana, proprio da principio, vediamo che sì, nella maggior parte delle comunità di cacciatori-raccoglitori precedenti al neolitico, i neonati vivevano a stretto contatto della tetta materna, non dormivano soli e c’era sempre un adulto che se ne prendeva cura. Ma appunto, un adulto, mica solo la mamma. I neonati passavano di mano in mano tra tutte le figure della comunità, nonne, nonni, zii e zie, fratelli e sorelle, e anche zii e zie che davvero zii non erano. Le cure dunque non solo non erano solo materne, ma nemmeno solo parentali, erano cure alloparentali. E naturalmente la cosa non riguardava solo i neonati, ma tutta la crescita dei bambini. Fino a circa ottomila anni fa tutti gli umani del pianeta sono stati cacciatori-raccoglitori, per circa due milioni di lunghi anni. Poi a poco a poco la domesticazione delle piante e degli animali si sono diffuse, e molte cose sono cambiate, ma alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori ci sono ancora oggi. Gli antropologi è da circa un secolo che studiano queste società, per questo ne sappiamo qualcosa. Due milioni di anni avranno pur lasciato un segno nella nostra struttura psichica, oltre che nei nostri geni, cosa vuoi che siano ottomila anni a confronto di due milioni. Senza contare che anche nelle società dedite all’agricoltura i bambini mica se li spupazzava solo la mamma o al limite il papà. Io, che pure sono nata nel 1957, sono cresciuta con tanti adulti di riferimento, mamma, babbo, prozia, nonni e zii vari, perché così funzionava nelle famiglie contadine. E quindi, per tornare al villaggio, sto proponendo di ritornare a vivere in piccole comunità di autosostentamento, a raccogliere tarassaco e a cacciar cinghiali? Proprio no, per motivi che non intendo approfondire qui. Ma cerchiamo di coltivare altre forme di socialità intorno alle creature che nascono e asciughiamo asciughiamo asciughiamo la retorica sulla diade mamma-bambino…. ecco l’ho detto.

domenica 4 ottobre 2020

Le foto di Lennart Nilsson





Nel 1968 gli astronauti dell'Apollo 8 fotografarono l'immagine del nostro pianeta che fa capolino dal suolo lunare. Una foto che ha cambiato per sempre il nostro modo di vedere la Terra.

Tre anni prima c’erano state altre foto dalle quali non si sarebbe più tornati indietro: LIFE pubblicò un servizio di Lennart Nilsson sulla vita intrauterina. Per la prima volta si videro feti in formazione, simili a cosmonauti fluttuanti in un mondo celestiale, dentro al sacco amniotico e attaccati alla placenta dal grosso cordone ombelicale. Nilsson poi pubblicò un intero libro fotografico con foto prenatali. Sua è quella famosissima del feto di pochi mesi che si ciuccia il dito. Foto poetiche, che fanno sognare.
Però ovviamente non sono foto intrauterine. Sono tutte foto di feti morti. Sono opere d’arte, costruite minuziosamente, che hanno cambiato il nostro modo di vedere qualcosa che fino a quel momento era solo mistero e immaginazione, fatte a partire da una totale finzione.

domenica 25 agosto 2019

Un bisogno primario

foto di Lukas Piatek


Ma se lo tengo sempre in braccio...poi si abitua?
Questo è un classico tarlo della neomamma alle prese con bebè di pochi giorni, arrivato come tutti i bebè senza istruzioni per l'uso.  Tarlo spesso mantenuto ben in salute da nonne, amiche e amici sapientoni, tutti intorno alla mamma a elargire consigli e a far velati rimproveri: lo devi abituare fin da piccolo, se lo tieni sempre in braccio lo vizi, lui è furbetto, e via così.
Partiamo dal fatto che alla nascita noi abbiamo già delle abitudini, perchè per nove mesi siamo stati trasportati, cullati, massaggiati e soddisfatti in tutti i nostri bisogni. Nasciamo insomma con una lunga storia alle nostre spalle, e con un cervello funzionante che ricorda quell'esperienza.
Dunque no, il neonato non si abitua ad essere tenuto in braccio, perchè è già abituato.
Certo, dopo la nascita dobbiamo imparare ad adattarci a un mondo completamente nuovo, fatto di aria che entra nei polmoni, grandi spazi, luce forte, temperatura instabile, scoperta della forza di gravità, stimolo della fame, pancia da riempire, autonomia da conquistare.  E impariamo molto in fretta, perchè tutto si può dire di noi umani, tranne che non siamo intelligenti e adattabili. Però insomma, dateci il tempo....!

foto di Michelle Bender
E poi ricordiamoci che siamo pur sempre mammiferi. I cuccioli di gorilla, che condividono il 97% dei nostri geni, restano a lungo appiccicati al corpo della mamma. Il riflesso di prensione palmare dei nostri neonati è un ricordo di quando, ancora ominidi, ci aggrappavamo con forza alla pelliccia della mamma, che altrimenti ci perdeva nella foresta.
La nostra fisiologia è ancora quella delle caverne, ma l'aver perso i peli non è l'unica complicazione originata dall’essere diventati Homo Sapiens.
A un certo punto della nostra storia evolutiva ci siamo messi in posizione eretta. Questo ha cambiato la nostra struttura scheletrica, progressivamente si è ridotto il bacino e si è ristretto il canale osseo del parto. In breve siamo anche diventati sempre più capiscioni, e ci è raddoppiato il cervello.
In pratica teste di cuccioli sempre più grosse dovevano passare attraverso canali di parto sempre più stretti.

Come risolvere il problema? Ecco la soluzione che abbiamo escogitato: nascere prima che lo sviluppo sia completato. Nasciamo insomma prematuramente, con il cranio che ancora si deve consolidare, senza denti, e incapaci di muoverci autonomamente. Più vulnerabili e incapaci dei piccoli gorillini.
Per questo abbiamo bisogno di completare il nostro sviluppo il più possibile a contatto con quel corpo adulto che garantisce la nostra sopravvivenza e il soddisfacimento dei nostri bisogni.  Abbiamo insomma gli stessi bisogni dei cuccioli di gorilla, ma di più.
E quali sono questi bisogni primari?
"La funzione primaria dell'accudimento come variabile affettiva è quella di garantire contatti corporei frequenti e intimi dell'infante con la madre. Certamente, l'uomo non vive di solo latte."
Lo scriveva Harry Harlow dopo avere concluso il famoso e crudelissimo esperimento sulle scimmiette, che condusse dal 1957 al 1963. Per chi non lo conoscesse già, alcuni cuccioli di scimmia furono separati dalla madre e vennero chiusi in gabbia con due sostituti materni: uno di peluche,  morbido e riscaldato, che non forniva latte e l’altro freddo, metallico, ma che erogava latte. Tutti i cuccioli mostrarono di preferire il surrogato di peluche, gli si aggrappavano con forza, arrivando in certi casi persino al rifiuto di fare i pochi passi per accedere al nutrimento, fino alla morte per denutrizione. Morti per anoressia emotiva. 

Dunque essere tenuti in braccio è un bisogno primario, non una pericolosa abitudine, e ai bisogni primari bisogna rispondere, ok?

mercoledì 22 maggio 2019

Venire al mondo dolcemente






Articolo pubblicato su DBN Magazine n.30, marzo 2019


Il modo in cui noi collettività accogliamo i neonati, è il primo atto con cui trasmettiamo la nostra cultura alle generazioni future. E' l’impronta natale che doniamo ai nostri bambini.
I primi anni di vita sono i più importanti, sono gli anni in cui il bambino nasce al mondo come persona autonoma, in cui corpo e cervello crescono e si plasmano, gettando e consolidando le basi della salute fisica, psichica e relazionale della vita.  E questo ormai lo sappiamo.
Ma lo sappiamo tutti che le prime ore dopo la nascita sono le più importanti del tempo più importante? Nei reparti maternità degli ospedali lo sappiamo tutti? 
Sono passati più di 40 anni da quando Frédérick  Leboyer pubblicò Per una nascita senza violenza. Nessuno aveva mai avuto questo sguardo sulla creatura che viene alla luce, o almeno nessuno lo aveva mai saputo raccontare così al mondo. Il libro descrive una nascita rispettosa, corredata da commoventi fotografie, confrontandola con una nascita ospedaliera usuale, corredata da orripilanti fotografie di neonati tenuti per i piedi come salmoni, strattonati senza tante smancerie, mostrati con soddisfazione come fossero trofei.
Questa assenza di violenza di cui parlava Leboyer prevede che il cordone ombelicale cessi di pulsare prima di essere tagliato; che dopo il parto il bambino sia adagiato sul ventre materno affinché continui a sentirne il calore ed il battito cardiaco; che bagnetto e procedure mediche siano ritardate; che le luci siano basse e i rumori ridotti al minimo. 
Aveva portato lo sguardo sul bambino, ponendosi dalla sua parte, dal punto di vista dei bisogni e della sua sensibilità. E' mancato completamente  in Leboyer lo sguardo sulla donna, sui suoi bisogni e sulla sua sensibilità, ma è stato comunque un grande passo.
Da allora ne abbiamo fatta di strada, molti ospedali sono cambiati e anche l' Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ci dice che queste sono le corrette procedure per l'accoglienza del neonato, che non è solo questione di essere gentili ma che è un modo per tutelare la sua salute.
In tanti ospedali ci sono tante ostetriche competenti, sensibili e accoglienti, tanti medici scrupolosi e amabili, tanti chirurghi attenti, tante infermiere che sanno illuminare la stanza con un sorriso e sanno toccare i neonati con mani sapienti.
Ma quante continuano a essere le nascite contrassegnate da disattenzione e violenza, sia verso la donna che verso il neonato?

 Nel 1985, l’OMS ha pubblicato delle Raccomandazioni basate su prove di efficacia, riguardanti le modalità di assistenza al travaglio, al parto e al post partum. Nel documento sono indicate chiaramente le pratiche efficaci e appropriate, e quelle sconsigliate e dannose.
Ciò nonostante molte strutture sanitarie non seguono le raccomandazioni OMS ma, al contrario perpetuano pratiche in assenza di una precisa indicazione medica, seguendo protocolli interni obsoleti, come l'obbligata posizione supina con le gambe sollevate (posizione litotomica) durante il parto, il taglio del perineo e della parete posteriore della vagina (episiotomia) di routine, il digiuno, la spremitura dell'utero con una forte pressione per spingere fuori il bambino (manovra di Kristeller) il taglio precoce del cordone.
Riguardo il taglio precoce del cordone ombelicale, l’OMS sottolinea che nessun processo di osservazione neonatale giustifica un allontanamento dalla madre, se non in caso di specifiche condizioni cliniche. Al contrario si raccomanda il contatto pelle a pelle e l’immediato avvio dell’allattamento al seno prima di lasciare la sala parto
Le procedure praticate senza un’evidente indicazione medica sono inutili, sgradevoli e spesso dolorose per la donna, ma possono anche essere dannose sia per per la madre che per il neonato, determinando l’effetto paradossale per cui è proprio la cura a produrre la patologia.

Di tutte le pratiche nocive e irrispettose che per anni sono state usuali nei nostri ospedali, quella della separazione madre-bambino nelle prime ore è forse la peggiore. Il contatto pelle a pelle il più precocemente possibile dopo il parto, sia vaginale che cesareo,  ha grandi benefici su allattamento, termoregolazione, stabilizzazione neonatale, dolore, pianto, stress collegato al parto sia nella mamma che nel bambino. Purtroppo sono ancora tanti gli ospedali italiani in cui questa pratica non è normale routine, molto spesso per abitudine o pregiudizi duri a morire.
Anche il rooming-in, ovvero la vicinanza mamma-neonato 24 ore su 24, non è la norma in tutti gli ospedali italiani. Eppure innumerevoli studi, oltre che il banale buon senso, ci dicono che i cuccioli umani hanno bisogno di contatto e vicinanza, come tutti gli altri cuccioli.
La possibilità per la mamma di passare molto tempo con il proprio bambino è talvolta la soluzione forzata a cui l’ospedale ricorre perché non ha a disposizione una nursery; in altri casi la pratica del rooming in è parziale, cioè praticata solo nelle ore diurne, per consentire alla mamma di riposare durante la notte e quindi c’è una soluzione mista tra nursery e rooming in; mentre in altre strutture i bambini vengono tenuti nella nursery e sono le mamme a dover andare in alcuni orari della giornata a visitare ed allattare i propri bambini. (documento Mamme in arrivo di Save The Children Italia, 2015)

Io vivo a Bologna e conosco abbastanza bene la realtà del mio territorio. Qui le donne hanno la possibilità di scegliere se partorire in ospedale, in Casa Maternità o a domicilio, e l'assistenza negli ospedali è mediamente buona e spesso ottima.
Tuttavia durante le attività al Melograno, associazione nazionale che dal 1981 si occupa di maternità, nascita e prima infanzia, abbiamo incontrato e continuiamo a incontrare donne che hanno vissuto il parto come una vera e propria violenza: donne che hanno sofferto per un atteggiamento freddo e giudicante o per la completa solitudine in cui sono state lasciate. Donne che raccontano procedure e interventi che hanno subito senza sapere perché o senza alcuna giustificazione medica accettabile. Nei loro racconti c’è rabbia e frustrazione o un rassegnato “è colpa mia, non sono stata capace”.

Recentemente abbiamo portato a Bologna lo spettacolo di Gabriella Pacini sulla violenza ostetrica Il mestiere più antico del mondo. Alla fine c'è stato un acceso dibattito e quello che è risultato chiaro è che a  seconda del luogo in cui vivi, hai un'idea di cosa è normale nella nascita. Per alcune donne, scenari come quello raccontato nello spettacolo sono risultati normali, consueti, mentre altre donne si sono ribellate, dicendo che queste cose non esistono più da decenni. L'Italia è grande e l'assistenza non è uguale dappertutto.

Personalmente non credo ci siano ostetriche e medici brutti e cattivi da una parte, e ostetriche e medici buoni dall'altra parte. Penso che siamo tutti coinvolti, perché è un fatto culturale: siamo tutti portatori e portatrici di una certa  idea di nascita o di un'altra idea. E' necessario uscire dall'idea che la nascita sia un evento solo medico, dall'idea che il parto sia una questione solo di utero e cervice e che partoriente e nascituro siano due entità separate. O cambiamo insieme con un patto di alleanza, personale sanitario e donne e uomini che accedono ai loro servizi, o non funziona.

La nascita è un grande sforzo, una grande fatica, a volte segnata anche da una grande paura, sia per la madre che per il bambino o la bambina. Le modalità con cui vengono accolti entrambi favoriranno oppure renderanno più difficile l'avvio della loro relazione.
Dovremmo sapere accogliere con la delicatezza e la cura delle nostre mani, con la comprensione della fatica che hanno fatto le nostre creature nella loro prima grande prova, con la compassione per il loro pianto, con rispetto per il loro corpicino inerme e delicato.
L'attenzione dovrebbe essere rivolta a soddisfare i loro bisogni primari, il loro benessere e il loro piacere.
Quando mamma e neonato hanno avuto i loro bisogni soddisfatti, quando mamma e neonato sono stati rispettati e accolti, il parto e la nascita, ovvero lo stesso evento visto dai due punti di vista dei protagonisti in stretta relazione tra loro, sono un bell'inizio per tutto.
Dare alla luce e venire alla luce....... vediamola la grande bellezza di questo magnifico prodigio.
Ci riguarda tutti, perché sono i nostri bambini, il nostro presente e il nostro futuro.
Questa è la trasmissione culturale a cui dovremmo aspirare tutti, collettivamente.