sabato 5 dicembre 2015

Sapere, saper fare, saper essere




Ritiro fuori questo mio drappo dopo tanto tempo, per la sola ragione che vorrei raccontare qualcosa di personale sul Master in Arte del Maternage del Melograno.  
E' il lavoro finale, quello in cui dovevo cercare di rendere il senso profondo e l'insegnamento del percorso appena concluso, sintetizzato in una specie di mantra: sapere, saper fare, saper essere.

Ho scelto una tela che avevo comprato anni prima a un mercatino: una di quelle stoffe antiche un po' ruvide, tessute con i telai a mano dalle donne nelle campagne, con le quali si facevano lenzuola, federe e asciugamani. Antiche mica poi tanto, quando ero bambina le mie lenzuola erano così.  La particolarità che mi aveva fatto innamorare di questo telo è di essere stato finemente rammendato in un punto in cui era evidentemente rotto. Un rammendo fatto con grande sapienza.
Dunque, antichi saperi e capacità di rammendare ciò che è rotto. Insegnamento numero uno.
Poi ho lasciato che affiorassero le parole che in quei due anni sono state pronunciate nel cerchio, e masticate e digerite, e avevano resistito più di altre. Parole che hanno dato forma a certi pensieri un po' scontornati, che hanno illuminato angoli nascosti, che hanno scaldato il cuore, che ci hanno fatto ridere o ci hanno commosso. Parole intorno a cui si è condensato il mio pensiero sull'accompagnamento alla maternità, la nascita e ai primi passi nella vita dei piccoli.  Perchè le parole sono importanti, insegnamento numero due. E perchè va bene gli antichi saperi, ma i nuovi saperi sono altrettanto importanti, insegnamento numero tre.
Le ho scritte partendo dal rammendo, con il "sapere, saper fare, saper essere" bene in vista.
Infine ho fatto un cerchio rosso e soffice, un cuore pulsante che rappresentasse noi che abbiamo trascorso due anni in un cerchio di donne, passati ad ascoltarci l'un l'altra, a maturare pensieri che si appoggiavano e prendevano slancio dai pensieri delle altre.  Il cerchio è diventato un organismo vivente, un ecosistema in cui ogni singolo elemento interagisce con il tutto. Il raggiungimento di questa pienezza è stato possibile grazie alla cura delle conduttrici, grazie al tanto tempo trascorso insieme che ha permesso un ritmo lento e disteso, e grazie ad ognuna di noi singolarmente. 
Perchè insieme è meglio, insegnamento numero quattro.

mercoledì 16 settembre 2015

Madri



La gravidanza dura nove mesi, il post partum dura tutta la vita, dice Ibu Robin.  Una frase ad effetto, e mi è venuta in mente leggendo questa lettera diffusa da Porpora Marcasciano. Non ho niente da aggiungere, se non che non ne posso più di ricevere appelli contro la cosiddetta "teoria del gender"
 
Sono la madre di una persona transessuale MTF.
Vi scrivo perchè ho appreso da alcuni amici che frequentano persone "di chiesa" (Comunione e Liberazione e gli oratori o le chiese di paese) che alcuni preti stanno sostenendo una campagna contro gli omosessuali ed i transessuali al fine di scoraggiare l'accettazione e la tolleranza nei loro confronti.
Ancor peggio, "aizzano" i genitori degli studenti e li terrorizzano (anche nelle prediche delle messe domenicali) dicendo loro che i propri figli non devono partecipare a lezioni scolastiche nelle quali si trattino temi riguardanti l'omosessualità, l'identità di genere, le famiglie arcobaleno, in quanto essi verrebbero "deviati" o "plagiati".
A tal proposito, ed in quanto madre di una persona transessuale, sono rimasta sconvolta da tutto ciò e mi sono sentita colpita nel profondo del cuore e, pertanto, mi accingo a scrivervi sperando che le mie parole possano far comprendere, anche soltanto ad una persona, quanto l'ignoranza, la non conoscenza o il non voler capire possano creare un clima da "inquisizione" che, in un'epoca come la nostra, in cui ci sentiamo tutti così fieri del nostro sapere, in cui tutti crediamo di essere così emancipati ed evoluti, è veramente tragico.
Comprendo pienamente che l'omossessualità e la transessualità siano temi molto delicati, soprattutto per bambini ancora piccini, ma non penso che degli insegnanti con buon senso si sbizzarriscano su tali temi con tanta incoscienza o leggerezza e suppongo, quasi con certezza, che non lo faranno neppure.
Non sono una madre "militante", ho vissuto la mia storia di madre "trans" in solitudine ed oggi vivo con fierezza ed onestà questa situazione e, per questo, le persone non hanno mutato la loro stima nei miei confronti e rispettano mia figlia e la nostra famiglia.
Ho trascorso anni di dolore nel rifiuto di un figlio che odiavo e che ritenevo un "diverso" e di cui mi vergognavo tremendamente.
Ho percorso una strada dolorosa, tortuosa, sconosciuta, in solitudine totale. Ho pianto, ho picchiato pugni, ho sbattuto porte, ho implorato, ho supplicato affinchè qualcuno mi spiegasse perchè questo figlio fosse capitato proprio a me. Mi chiedevo dove avessi sbagliato. Mi chiedevo perchè il signore mi avesse punita così.
Vedevo mio figlio soffrire, piegarsi al dolore, vergognarsi, nascondersi, deriso ed additato ed io, sua madre, rimanevo inerte a guardare per vergogna, per paura del giudizio degli altri, per pregiudizio, per ignoranza.
Poi, dopo un percorso lungo e doloroso, ho ritrovato mio figlio che ora è figlia. Ho avuto il coraggio di "scavare" dentro di me, di guardare "oltre", ho voluto capire per amore, solo per amore.
Oggi sono una madre orgogliosa e fiera di mia figlia perchè è una persona buona, onesta, vera. E' mia figlia!
Perciò, vorrei dire a tutti coloro che "hanno paura" del "diverso", a tutti i genitori che hanno figli etero e, perciò, si sentono privilegiati ed "eletti", a coloro che ignorano e, quindi, non sanno, a coloro che deridono, ai preti che terrorizzano, che il rispetto della persona umana è la conquista più grande che un individuo possa fare.
Io ce l'ho fatta ed è stata un'esperienza bellissima, un arricchimento interiore, una conquista faticosa, ma unica, perciò invito tutti a rispettare ed a capire ed a non lasciarsi trascinare da vecchi pregiudizi e rancori.
La mia famiglia è una famiglia come tutte le altre e come tale la viviamo e ne siamo fieri.
Mio marito ed io siamo genitori che amano i propri figli senza distinzione.
Spero che ciò faccia riflettere i "benpensanti" ed i preti di cui sopra.

Anna.

martedì 15 settembre 2015

Impressioni di settembre

 
Ieri sera abbiamo organizzato una serata per parlare di nascita, in una bellissima location dal nome suggestivo: Gabbia del leone.
Tra gli altri, c'erano una coppia di guerrieri gioiosi, una madre in attesa delicata come la rugiada, un'altra nella pienezza della maturazione, un'altra ancora molto riflessiva e per la prima volta dall'altra parte dello specchio. E c'erano uomini, padri, colmi della vicinanza con il mistero della vita che si compie.
La donna rugiada è inglese, e il suo compagno ha detto che a lei piacerebbe partorire in Inghilterra, perchè pensa che in quel momento desidererà essere immersa nella sua lingua madre. Mi è sembrato un pensiero profondissimo.
La procreazione è un tempo lungo, ci mette tanti mesi per compiersi, e la nascita è sempre straordinaria. Non è un evento paradisiaco nè zuccheroso, non è una sinfonia di violini con cascata di petali di pesco. La sua assoluta bellezza sta tutta nel contenuto intrinseco di verità, di cruda realtà. Sta nelle sue ombre, nelle sue imperfezioni, nei suoi controtempi. Sta nella lunga gestazione che richiede, nella speranza, nei sogni, nel desiderio, nella paura, nel navigare a vista.
Così... pensieri in libertà. Dopo tanto tempo che non scrivo, riparto da qui.

domenica 17 maggio 2015

Il professore e il bebè



La storia è nota, perchè ha fatto il giro del web.
Il professor Sydney Engelberg dell'Università Ebraica di Gerusalemme stava tenendo una lezione, quando il figlio di una studentessa, di pochi mesi, si è messo a piangere. La studentessa ha fatto per alzarsi e uscire dall'aula, ma il professore si è avvicinato a lei, ha preso il bambino in braccio, lo ha calmato e cullandolo ha continuato la sua lezione.
Uno studente ha scattato qualche fotografia, le ha messe on-line e in poche ore hanno fatto il giro del web. 
La banalità del bene, viene da dire.
 "Nessuna madre dovrebbe essere costretta a scegliere tra il suo bambino e una buona formazione scolastica", ha detto il professore ai suoi studenti. Certo in tanti lo dicono, in tanti lo pensano, in tanti scrivono fiumi di parole su questo concetto. Ma è quel gesto a dirci tante cose in più. Ci dice che quel signore pensa che i bambini fanno parte del mondo in cui viviamo, lavoriamo, studiamo, ci divertiamo. Ci dice che possiamo riconoscere e rispondere ai loro bisogni, che sono specifici, senza considerarli una seccatura. Ci dice che non c'è alcun contrasto tra una lezione universitaria e il gesto semplice di cullare un bambino. 
Ci dice che dei bambini non se ne deve occupare solo la madre, in seconda battuta il padre, in terza battuta i nonni e la baby sitter, o altrimenti che se ne stessero a casa loro. Ci dice che quando un neonato si mette a strillare al ristorante, possiamo pensare di renderci utili. Anche solo sorridendo alla madre, anzichè guardarla con l'espressione da perchè non te ne sei stata a casa tua, non si può nemmeno cenare in pace. 


domenica 10 maggio 2015

Festa della mamma con il piede sbagliato

foto di Dorothea Lange

di Marzia Bisognin

Mattina della festa della mamma. 
Faccio gli auguri a mia mamma. 
Apro Facebook, tante dediche alle mamme, alcune cose davvero belle, tanta retorica. 
Scorro la prima pagina della Stampa, leggo un articolo di Giacomo Poretti dal titolo Nel mondo cambia tutto, resiste solo la mamma", e arrivo alla seguente frase: "Le mamme di adesso, si dirà, hanno le colf che le aiutano nei mestieri di casa. E' vero, solo che le mamme di adesso, quando sono rientrate a casa, dopo aver portato e recuperato i figli a calcio, a judo, a basket, a pianoforte e ai pigiama party, devono rimettere a posto tutti gli indumenti che le colf hanno sistemato nei cassetti sbagliati"

Senti Giacomo, ma a te fa ridere? A me per niente. 
Le mamme di adesso hanno le colf ? Certo, alcune mamme hanno la colf che le aiuta, ma che cosa ti fa escludere le colf dalla categoria di mamma? Anche loro hanno la colf che le aiuta a casa? 
Non sono un'esperta di statistiche e numeri, ma sono certa che di colf con figli ce ne sono tante, tantissime. Magari che hanno lasciato i figli affidati a qualche parente in un paese lontano, e sono venute in Italia a lavorare nelle case altrui, per dare un futuro migliore ai loro figli. Non hanno forse queste madri diritto ad essere considerate tali? O sono madri di serie B? E che dire della mamma della piccola Francesca Marina, di cui si è tanto parlato nei giorni scorsi? Te lo ricordo: la signora incinta di nove mesi, nigeriana, si è imbarcata su un barcone sgangherato come tutti i barconi, forse sapendo di rischiare la pelle, e ha partorito la piccola su una motovedetta. 

Ma davvero conosci solo donne che hanno la colf e nessuna che faccia la colf di lavoro? E tu, c'è stato un momento in cui hai avuto bisogno di fare il primo lavoro qualsiasi pur di guadagnarti la pagnotta, o hai sempre fatto il comico?
Anche senza pensare alle madri immigrate, clandestinamente o meno, a me vengono in mente le madri che sgobbano tutto il giorno, quelle che conducono una vita da funambole spericolate, magari in allegria eh..... mica voglio fare un piagnisteo sulle madri che conducono una vita dolorosa oltre che faticosa. 
E però mi vengono in mente anche quelle, le madri che non possono contare su nessuno, le madri che si sentono sole e inadeguate, quelle che hanno un figlio disabile, quelle che sono state licenziate. Mi vengono in mente tutte le madri che se la sgrugnano.
Possibile che a te vengano in mente solo quelle che alla sera non hanno niente di meglio da fare che lamentarsi perchè la colf ha messo i calzini nel cassetto sbagliato?

La tua spiritosaggine mi ha fatto venire in mente una storia che si raccontava tempo fa, non so se sia vera o se sia una leggenda metropolitana. Una bambina di famiglia bianca e agiata vede una bambina nera in passeggino, si rivolge alla mamma e dice "mamma guarda, una cameriera piccola".

venerdì 8 maggio 2015

La forza della sincerità

Gravida - di Bulzatti Aurelio

La mia amica Laurence Landais dice che non se ne può più di tutte le cautele che circondano certe cose. Ha ragione. E direi che è sempre difficile accogliere davvero queste parole dolorose, queste domande, e la forza di questa sincerità.

Dopo tutti questi anni, sento ancora il bisogno di scriverne, anzi, ora più che mai...
È che vorrei capire. Vorrei capire com’è che pensate di proteggere la nostra salute devastando le madri nel momento in cui fanno nascere i loro bambini.
Offrendo l’epidurale a tutte le donne “perché nessuna donna debba più soffrire durante il parto”, ma tagliando loro la vagina durante la fase espulsiva, allontanando subito il bambino per “controllare che stia bene” (misurarlo e pesarlo… operazioni che non possono aspettare??), tagliando quindi troppo presto un cordone ombelicale che ancora pulsa e ancora cerca di inviare al bambino un terzo del suo sangue, tirando la placenta “perché non usciva” a neanche 10 minuti dalla nascita del bambino e poi raschiando con la mano dentro l’utero della povera disgraziata per assicurarvi di non aver lasciato pezzi di placenta in giro visto che non avete aspettato che nascesse da sé.
Vorrei capire.
Tutto questo senza anestesia [la famosa epidurale poi non arrivò in tempo]. Ma sarebbe bastata un’anestesia per non sentire il dolore? Qualcuno si è preoccupato della sofferenza inflitta a nome della salvaguardia della salute del bambino??? [o forse serviva la sala parto per la prossima e quindi via, cosa sarà mai...]. Qualcuno si è preoccupato dello stato mentale delle madri che partoriscono nei vostri ospedali "all’avanguardia" a 2 giorni dal parto, e poi a 2 settimane, 2 mesi, 2 anni? Le avete ascoltate?
Voi lo sapete come ci si sente a 10 anni da questo massacro? Fuori da una sala parto, sarebbe forse accettato un “trattamento” del genere? Vogliamo parlare delle parole del personale? “Sei stata bravissima, dai non è niente, tra qualche giorno non ci penserai più, guarda che bella bambina sana che hai, dovresti essere contenta”. Vogliamo parlare di cosa provi quando hai una bambina bellissima ma non riesci a fare la madre?
Chi vuole aiutarmi a capire?
Sono fuori di testa se oggi, dopo tutti questi anni, vado in depressione per la mia pancia ferita? Sono inadeguata io se non sono riuscita a curarmi da sola?
C’è qualcuno qui che mi sa dire quando inizierò a stare meglio?
Per come la vedo io, siete malati voi. Ma intanto sto pagando io.
Uno sfogo fra tanti, ma se non lo dico sto peggio... Tanti auguri a tutte le mamme e alle mamme in attesa. Spero che vi andrà meglio di come è andata a me.

giovedì 30 aprile 2015

Daniela e Maddalena

Ogni attesa e ogni nascita sono esperienze esistenziali, profonde, emotivamente e fisicamente intense.
A questo proposito pubblico questo racconto di Daniela Botto sulla sua attesa che definirei "artigianale", nel senso di costruirsi pezzetto dopo pezzetto un proprio percorso....  seguiamo le sue parole. E' un bel viaggio.



Durante i mesi della gravidanza, ho spesso disegnato e scritto dei piccoli mantra, ogni sera, per accompagnare il viaggio di Maddalena. L'ho disegnata nella mia pancia, circondata di luce e di amore, e ho disegnato con lei anche la sua placenta, salda e forte. Sono semplici schizzi fatti a biro, prima di dormire, dopo aver scritto come ogni sera sull'agenda le piccole cose di cui sono grata per quella giornata.
Giorno dopo giorno ho tenuto nei miei pensieri queste due creature, Maddalena e la sua placenta, indissolubilmente legate, sorelle, protette dai miei pensieri che si facevano scudo e riparo attorno alle loro vite. Sia io che mio fratello siamo nati pretermine, prematuri, per insufficienza placentare e questo spettro mi ha seguita durante tutti i mesi di gravidanza, come una paura remota, un evento che non potevo controllare. Potevo però controllare i miei pensieri e indirizzarli verso il positivo, verso il bene, non solo ripetermi ma proprio scrivere, disegnare, rendere reale la mia volontà più profonda: che la placenta di Maddalena funzionasse bene, che la bambina crescesse in salute. Così ho indirizzato i miei pensieri con decisione, disegno dopo disegno, creando sulla carta la realtà che volevo esistente nella carne, come una preghiera continua pagina dopo pagina.


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giovedì 16 aprile 2015

Nonnità

illustrazione di Sara Flori


di Marzia Bisognin

Sono diventata nonna sedici anni fa e oggi ho tre nipoti.
Quando dico nonna, penso innanzitutto all’essere madre di figli che sono a loro volta genitori, perché è in questa nuova relazione che mi sento impegnata nel ruolo nonnesco. E’ lì che sperimento il delicato compito del passaggio del testimone, il gioco di equilibrismo tra l’essere una  mamma accudente e utile, e il mantenere una reciproca autonomia. Insomma il compito di trovare la vicinanza nella distanza, e mica è facile.... ci provo ma non sempre ci riesco.
Ergo, nel mio essere nonna resto innanzitutto madre.

Come molte donne coetanee, manco di modelli con cui poter confrontarmi. Abbiamo vissuto una vita diversa dalle nostre predecessore,  e io sto decisamente stretta nell’iconografia della nonna che al tramonto della vita fa solo torte e lavora a maglia. Primo, non sono al tramonto della vita, almeno così spero. Secondo, le mie torte sono un evento biennale e lavorare a maglia mi piaceva di più da giovane. Terzo, se la mia famiglia era già strana quando eravamo giovani, con tanti genitori e tanti figli tutti spaiati tra loro, ora che siamo diventati nonne e nonni....di modelli nonneschi a cui conformarci ne abbiamo ancor meno, se mai volessimo conformarci. 
Così mi arrangio da autodidatta, come vedo fare anche dalle altre nonne coetanee. Ci sbirciamo l’un l’altra, ci scambiamo dei commenti, ma parliamo di questo ruolo con più pudore di quando siamo diventate madri, chissà perché.

Poi c'è l'essere nonna e basta, nonna dei nipoti. La cosa più bella è il rapporto diretto con loro, preziose creature che mi fanno divertire, che mi tengono in contatto con l’esuberanza della vita che va avanti, con il mondo che cambia, con la prepotenza del desiderio di apprendere quando altrimenti potrei avere la fallace convinzione di sapere ormai tutto, come certi vecchi tromboni.
Sono tre maschi: uno di un anno, uno in terza elementare e uno al liceo, ed è una gioia averli vicini, anche semplicemente sapere che ci sono. Mi fanno sentire grande e protettiva, pacificata, ricca di esperienza e capace..... beh sì, era ora.

Ma nonostante tutto l’amore, non ho mai pensato di amarli più dei miei figli, come sento dire da tante nonne. No, i miei figli li ho amati di più, ammesso che si possa misurare l’amore, forse perché nell’amore per i figli c’è la profonda intimità fisica dei primi mesi, la fusione dei corpi, degli odori e dei respiri. E forse anche perchè con i figli si sperimenta la bellezza ma anche la prostrazione, il piacere ma anche la propria fallibilità, l'appagamento ma anche il fastidio. Il mio amore materno ha patteggiato fin da subito con altre passioni e altri desideri, e non è mai stato indolore. 
L’amore per i figli insomma è a tutto tondo, agrodolce e meravigliosamente imperfetto, con i nipoti invece è solo gioia e armonia, a gratis. 
E dunque, nonne e nonni, vogliamo parlarne?









lunedì 23 marzo 2015

Figli sintetici e altre superficialità

foto di Sean Dreilinger 




Se ne dicono tante sulla procreazione medicalmente assistita e soprattutto sulla sua manifestazione estrema, ovvero la maternità surrogata, spesso con scarsa o nulla conoscenza.
Anch'io, come tanti, ho sentimenti contrastanti e traballo. Quello che credevo fosse la solida terra sotto i miei piedi, mi accorgo che è solo uno sgabello. Niente è più sicuro, nè quello che sapevo di sapere, nè quello che sapevo di potere fare e non potere fare. Devo imparare parole che non mi fanno risuonare niente, fredde e asettiche, tipo Fivet, GPA, crioconservazione, donatore, portatrice. 

Detto molto in sintesi, rispetto a un passato non lontano è avvenuta la separazione tra sessualità e procreazione. Ovvero possiamo avere rapporti sessuali senza procreare grazie all’uso di contraccettivi sicuri, e possiamo procreare senza avere relazioni sessuali, grazie alla Procreazione Medicalmente Assistita e alla maternità surrogata o Gestazione per Altri (volgarmente detta “utero in affitto”). 

Per farci un’idea dell’estensione della Procreazione Medicalmente Assistita, questi sono i dati della relazione del Ministero della Salute al Parlamento di giugno 2012, sull’anno campione 2010. Sommando tutte le tecniche di PMA:
      Numero di coppie trattate 69.797
      Gravidanze ottenute 15.274
      Nati vivi 12.506

L’ Osservatorio del Turismo Procreativo calcola inoltre che dal 2005 almeno 4 mila coppie all’anno siano andate all’estero per richiedere una PMA eterologa, vietata in Italia dalla legge 40/04.

La Gestazione Per Altri è un fenomeno in crescita, ma mancano dati statistici. Gli aspetti legali variano a seconda dei paesi:
     paesi dove la maternità surrogata è permessa ed esiste una legislazione in materia volta a regolare tutto il processo e a tutelare tutti i soggetti coinvolti
     paesi dove la maternità surrogata è poco regolamentata dalla legislazione pur essendo permessa
     paesi dove la maternità surrogata è vietata

Tutto questo mi fa paura e pure mi affascina. 
Mi fa paura l'allontanamento estremo dalla mia idea di naturalità, anche se so che la strategia degli umani di piegare la natura ai propri fini è vecchia di milioni di anni. Mi fa paura che si possa fare torto a qualcuno, che possa essere l'irreparabile allontanamento tra chi è ricco e chi è povero, mi fa paura lo spettro della mercificazione e lo sfruttamento dei corpi, mi fa paura che fioriscano businnes schifosi.
Però mi affascina la capacità umana di spostare i propri limiti procreativi, proprio come mi affascina l'invenzione del telefono e di internet, degli occhiali che in questo momento mi permettono di leggere quello che sto scrivendo, della chirurgia che ha salvato mia figlia e mio nipote con un cesareo ben fatto, della scrittura che ci consente di conservare la memoria e di trasmetterla.
Mi affascina che spostare questi limiti possa portare gioia, piacere, amore. Che possa generare nuove relazioni tra le persone, tra adulti e adulti, e tra bambini e adulti. Che possa incoraggiare nuove consapevolezze.

Milena Gabanelli apriva con queste parole la puntata di Report che si chiamava Google Baby (20 marzo 2010): "Il mercato può dare un prezzo a tutto? La schiavitù era esecrabile perché considerava gli esseri umani come merce da mettere all’asta. Oggi noi come dobbiamo considerare i nostri corpi? Come averi di cui disporre a piacimento? È un interrogativo ampio e controverso che si pone ogni volta che si parla di compravendita di ovuli, spermatozoi o maternità surrogata. Il mercato non si pone interrogativi morali, le storie le risolve fra un soggetto che compra ed un altro che vende. Quello che non puoi fare nel tuo paese perché magari la legge lo vieta, lo puoi fare da un’altra parte, dove è legale. Su alcune questioni sarebbe auspicabile che ci fosse una linea internazionalmente condivisa. Negli Stati Uniti, in Russia, in India, si affitta l’utero."
E proseguiva la dottoressa Nayna Patel: "Pratico la fecondazione artificiale nello stato indiano del Gujarat. Negli ultimi tempi pratichiamo anche la gravidanza surrogata. Queste sono alcune delle madri disponibili che lavorano con me. Sono tutte donne molto semplici, disponibili, disciplinate e leali… Ed anche molto religiose. Fanno questo lavoro con molta dedizione"



Si vedevano donne tristi, simili a schiave in batteria, pietosamente docili, governate da una maîtresse volgare. Tutte svolgevano questa gravidanza clandestinamente dai loro parenti, familiari e vicini di casa, nascoste per mesi, solo il marito ne era a conoscenza. Si vedevano bambini estratti con un cesareo dalla pancia delle donne che li avevano ospitati nei primi mesi della loro vita, e portati via in fretta e furia per essere consegnati a coppie in attesa nell'altra sala, ovvero i genitori biologici ben stirati e ingioiellati.
Personalmente sono uscita da quella trasmissione sconvolta.



Poi mi sono chiesta "ma è tutto e solo così? Stiamo davvero marciando verso l'ultimo orrore?". 
Mi sono messa a cercare e ho piano piano trovato storie che mi hanno portato ad altre storie e mi hanno aperto altri panorami, altre delicate complessità.
Ho intervistato Elisa, di Famiglie Arcobaleno, che mi ha raccontato tante cose che non sapevo su come funziona la fecondazione eterologa e su come ci si arrangia prendendo aerei, contattando farmacie che lavorano subito di là dal confine italiano, sulle enormi difficoltà e sulla solidarietà e lo scambio di informazioni.
Ho letto l'intervista a Tommaso Giartosio e Gianfranco Goretti e il libro di Claudio Rossi Marcelli sulla loro esperienza di paternità e sulle donne che hanno fatto la gestazione dei loro bambini. Ho letto tante testimonianze e ho incominciato a guardare più da vicino la complessità dei sentimenti e delle relazioni tra tutti i soggetti coinvolti, i legami di affetto, la trasparenza con i bambini a cui viene detta la verità sull'inizio della loro vita, senza segreti né sotterfugi, il continuo interrogarsi su cosa è giusto e cosa no, anche rispetto al tema delicatissimo del denaro. 
Insomma, cose interessanti e belle, senza enfasi e senza retorica. Ne consiglio la lettura, a chi vuole addentrarsi in questo territorio poco conosciuto.
Sì, le testimonianze sono spesso di coppie omosessuali, non perchè siano soprattutto omosessuali coloro che accedono alla procreazione medicalmente assistita, ma perchè loro non potrebbero nasconderlo, nemmeno se lo volessero. E così rivendicano la loro scelta. 
Da parte delle coppie eterosessuali c'è una maggiore difficoltà, un pudore che a volte sconfina in un senso quasi di vergogna, come fosse una sorta di menomazione. Sono avventure monopolizzanti, che richiedono tanta determinazione, e che possono  causare tanto dolore nel caso in cui non vadano a buon fine.




La donna che nella foto sopra tiene in braccio il bambino appena nato è la madre biologica, e l'altra lo ha appena partorito. Entrambi i compagni sono con loro in sala parto. Tamara, la madre biologica, aveva avuto una grave forma di preeclampsia durante la prima gravidanza, il bambino era nato molto prematuro, bisognoso di una lunga terapia intensiva. Per ragioni mediche che non conosco, le hanno detto che avrebbe con ogni probabilità sviluppato la stessa malattia, in caso di una seconda gravidanza. Ha conosciuto l'altra donna, che si è detta disponibile a fare la gravidanza per lei.... e così è stato (foto di Melanie Monroe Rosen)


Sono immagini che raccontano qualcosa di molto diverso da quelle viste su Report, nella puntata Google baby. Qualcosa a cui posso avvicinarmi senza ustionarmi, abbassando ogni armatura protettiva di cui sono dotata. In queste foto vediamo calore, emozione, occhi dentro agli occhi, sorrisi, corpi, bellezza.






Questi invece sono Jérôme e François insieme a Coleen, la donna che li ha resi padri. La regista Delphine Lanson ha seguito tutta la loro storia, e ne ha fatto un documentario: Naître père. Una storia che è un lungo e intenso percorso, perchè contrariamente a quello che alcuni credono, non funziona che basta pagare e ti viene consegnato un frugoletto "strappato dalle braccia della madre".

Si può diventare madri e padri, oggi più di ieri, in tanti modi diversi. Ci sono maggiori opportunità, maggiore conoscenza, maggiore benessere, maggiore libertà. Allo stesso tempo abbiamo perso delle cose, ci mancano le parole per articolare la complessità contemporanea e ci sono problemi etici che si pongono alla nostra coscienza.  Occorre ridefinire che cosa è la natura, che cosa è la cultura, che cosa è la tecnica, che cos’è la famiglia. La psiche e l'immaginario non hanno ancora assorbito, metabolizzato, tanti mutamenti avvenuti in pochi decenni, ma dovremmo imparare a parlarne senza tagliare le cose con la motosega, senza trincerarci dietro pensieri preconfezionati e omologati con quello schieramento ideologico o con quell'altro, senza dire cose per il solo gusto di provocare, e soprattutto ascoltando le storie delle persone.
Mi sembra che le relazioni e la cura delle relazioni possano e debbano essere al centro di questo processo di trasformazione irrevocabilmente in atto, che riguarda il modo in cui si viene al mondo, l'immagine di famiglia e il concetto stesso di filiazione. 

Più si parla di queste cose e meglio è, perchè esistono e ci viviamo in mezzo. Dobbiamo trovare "le parole per dirlo" per poter formare e affinare il nostro pensiero. I linguisti ci dicono che l'uso di una nuova parola raggiunge il suo apice dopo circa trent'anni dalla sua nascita, praticamente il tempo di una generazione umana, e questo ci dice qualcosa anche rispetto al tempo di assimilazione di nuovi concetti: quello che abbiamo conosciuto da bambini diventa il nostro standard di riferimento, quello che tendiamo a considerare "normale" o perlomeno accettabile. 
Noi non possiamo avere risposte certe su quello che è giusto e quello che non lo è, dobbiamo continuare a interrogarci, e lo dobbiamo fare collettivamente, non nella comoda solitudine del nostro spazio privato. Possiamo sicuramente dire che preoccuparci del benessere dei bambini è giusto e anzi è primario, ma cerchiamo di non dare per scontato di sapere già tutto. Possiamo sicuramente dire anche che dobbiamo ascoltare le madri surrogate in maniera più approfondita e non parlare al posto loro.

L'associazione Famiglie Arcobaleno (Associazione Genitori Omosessuali) ha redatto un documento sulla posizione dell'associazione nei riguardi di PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) e GPA (Gestazione Per Altri) che è molto interessante per tutti, non solo per le tematiche omosessuali, inequivocabilmente frutto di un lungo lavoro di riflessione collettiva. Leggiamolo, contestiamolo se ci sembra il caso di farlo, ma con cognizione.
Parlarne non può che fare bene a tutti, giacchè il futuro non si costruisce mettendo la testa sotto la sabbia, lasciando che vada come vada, magari vagheggiando un passato sempre da rimpiangere.
E mi sembra che più si regolamentano queste vicende con leggi ispirate a principi di eticità, di tutela dei diritti di tutti i soggetti coinvolti e di rispetto della libertà delle persone, più si evita il Far West, dove chi è più prepotente e ricco vince. 




martedì 17 marzo 2015

Lettera aperta di un'ostetrica



Oggi ospito una lettera aperta di Valentina Bonomi, ostetrica e amica, su quello che definirei un brutto fattaccio di questi giorni.
Buona lettura



Alla presidente FNCO Maria Vicario e al direttivo tutto,

Sono Valentina, un’ostetrica libera professionista impegnata nel lavoro sul territorio accanto alle mamme.
Lo scorso venerdì mentre guardavo la home page di un social network a cui sono iscritta qualcosa attira la mia attenzione
 3 donne si abbracciano e sorridono in una foto per pubblicizzare un nuovo programma TV, sono ostetriche anche loro!
Il programma si chiamerà “ostetriche, quando nasce una mamma” andrà in onda su Real Time, canale di intrattenimento prevalentemente al femminile, dal 26 marzo.
Evviva!”, penso, finalmente qualcosa si muove e le mamme sapranno più precisamente come possiamo essere loro d’aiuto…
Nelle foto si legge la biografia in breve delle tre colleghe: due ospedaliere con decennale esperienza Mimma e Paola e Sara una giovane ostetrica libera professionista; fantastico, penso, anche le libere professioniste come me finalmente avranno un’occasione per raccontarsi.

Ma basta poco purtroppo per farmi ricredere e lasciarmi nello sconcerto,
Riguardando bene le tre foto che sembrano confezionate apposta per il pubblico…
Una delle tre, Mimma, ha in mano un ciuccio Paola invece ha in mano un biberon…non capisco…sullo sfondo campeggia la scritta Chicco…
Guardo meglio apro il sito, guardo il promo…
Tutto è chiaro e sono allibita, le signore di fatto partecipano ad un programma prodotto da Chicco che le mostrerà intente ad aiutare 8 neomamme al rientro a casa dall’ospedale…
Il promo e le pubblicità sono tutte un susseguirsi di biberon e immagini stucchevoli…e il rilancio dell’ostetrica? No ok forse qui c’è in ballo solo il rilancio di Chicco…
Come se la cosa non fosse abbastanza avvilente per delle professioniste serie, parlo dell’essere parte di un programma dove viene persino riportato l’elenco dei prodotti a marchio Chicco che compaiono nelle varie scene, c’è l’aggravante:
Forse le tre colleghe infatti ignorano o non si sono rese conto di avere di fatto violato un punto del nostro codice deontologico revisionato di fresco a luglio del 2014 che, precisamente al punto 3.6, sancisce l’adesione al codice internazionale sulla commercializzazione dei sostituti del latte materno e al punto 5.3 e 5.4, già approvati prima di tale data, rinforza i connotati etici professionali

3.6 L’ostetrica/o favorisce l’attaccamento precoce madre/padre e bambino, promuove l’allattamento al seno e supporta il ruolo genitoriale. L’ostetrica sostiene e diffonde la donazione volontaria del latte materno. L’ostetrica/o altresì aderisce al Codice Internazionale per la Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, ne promuove il rispetto delle norme e si impegna a denunciarne eventuali violazioni.

5.3         L'ostetrica/o respinge qualunque tentativo di imposizione di comportamenti non conformi ai principi e ai doveri deontologici, dandone immediata notizia al Collegio professionale.

5.4         L’ostetrica evita ogni conflitto di interesse economico e non, che si può manifestare nei rapporti individuali, nella prescrizione, nei rapporti con enti, organizzazioni, istituzioni ed industrie.

Il codice per la commercializzazione dei sostituti del latte materno è stato promosso da OMS e UNICEF nel 1981 per proteggere madre e bambino in tutela all’allattamento al seno, regolamenta il marketing di latti in formula, alimenti per la prima infanzia e sostituti per l’alimentazione del lattante come ciucci e biberon (http://www.ibfanitalia.org/cosa-e-il-codice/ ). E pertanto di estremo interesse per la professione visto che l’ostetrica è l’operatore sanitario che ha tra i principali obbiettivi la tutela, la cura, e la promozione dell’allattamento al seno. Scrive a chiare lettere quale dovrebbe essere l’atteggiamento di strutture e operatori sanitari al punto 6 e 7:

6.5         Un’alimentazione a base di alimenti per lattanti, sia di produzione industriale che di preparazione casalinga, dovrebbe essere mostrata esclusivamente dal personale sanitario, o da altri operatori sociali; e soltanto alle madri o ai membri della famiglia che hanno necessità di ricorrervi; e l’informazione data dovrebbe includere una chiara spiegazione dei rischi di un uso improprio.

7.3         Nessun incentivo finanziario o materiale diretto alla promozione dei prodotti cui si applica il presente Codice dovrebbe essere offerto da produttori o distributori al personale sanitario o membri delle loro famiglie, né dovrebbero essere accettati dal personale sanitario o da membri delle loro famiglie.

7.4         Campioni di alimenti per lattanti o di altri prodotti contemplati dal presente Codice, o di attrezzature e utensili per la loro preparazione e consumo, non dovrebbero essere forniti al personale sanitario eccetto quando necessario nell’ambito di una valutazione professionale o ricerca a livello istituzionale. Il personale sanitario non dovrebbe consegnare campioni di alimenti per lattanti a donne in gravidanza, madri di lattanti e bambini o membri delle loro famiglie.

7.5         Produttori e distributori dei prodotti contemplati dal presente Codice dovrebbero dichiarare all’istituzione di appartenenza degli operatori sanitari qualsiasi contributo erogato ad un operatore o in suo favore per borse e viaggi di studio, assegni di ricerca, partecipazioni a conferenze professionali o simili iniziative. Tali dichiarazioni dovrebbero essere rese dal beneficiario.

Compreso il fatto che qui appare palese ed eclatante: gli operatori sanitari non devono accettare compensi ne farsi promotori.
Voglio persuadermi nell’assoluta buona fede delle tre colleghe che, in un momento di crisi profonda della nostra professione che da tempo cerca una strada di rilancio hanno visto in questo programma televisivo un’opportunità per noi tutte
Purtroppo però marketing ed etica professionale non vanno di pari passo e la violazione del codice deontologico è fatto grave.
Ancora più sorprendente e imbarazzante però è l’apparente silenzio della mia federazione in merito che, seppur bersagliata da email di colleghe indignate come me, ancora non risponde alle osservazioni…
Mi sarei di fatto aspettata un comunicato pubblico o almeno una risposta inoltrata per mail che rassicurasse sulla presa in carico della situazione.
Forse c’entrerà il fatto che l’inserimento del punto 3.6 del codice deontologico sia stato fatto perché “A monte vi sono state diverse spinte da parte della categoria al fine di introdurre tali modifiche.”  Come dichiarato dalla FNCO nella newsletter che ha fatto seguito alla modifica del codice deontologico…quasi a volersene chiamare fuori.
Forse gli impegni della neoeletta presidente Vicario sono rivolti ad altri apparenti bisogni che distolgono l’attenzione da queste voragini interne e risulta più importante dedicarsi alla denuncia di abusivismi piuttosto che ad un provvedimento disciplinare qual si voglia, anche solo un richiamo, nei confronti delle tre colleghe come dire non guardo la trave nel mio occhio per cercare quella nella tua…
Sarebbe un bell’inizio del mandato di Maria Vicario che si propone con lo slogan “rinascita Ostetrica”, perché almeno questa volta la rinascita parta dall’interno rinforzando i principi, i valori e l’etica di noi ostetriche e creando quell’alleanza tra ostetriche e donne che tanto si auspica basandola su principi di salute e non di marketing.

Questa lettera è stata volutamente pubblicata anche in forma di “lettera aperta” per far conoscere alle donne, alle mamme e a chiunque assiste la maternità che ci sono ostetriche che hanno fatto del codice per la commercializzazione dei sostituti del latte materno una propria linea di pensiero già da tempo e si sono dette molto felici all'entrata di questo all'interno del loro codice deontologico professionale quanto indignate nel vedere delle colleghe violare in questo modo i punti più basilari in un contesto che virtualmente raggiungerà milioni di persone.


mercoledì 18 febbraio 2015

Quando un cerchio si chiude

Pablo Picasso, Maternità



Da pochi giorni si è chiuso un tempo importante della mia vita: quello dell’allattamento.  Per tre anni e mezzo ho prodotto e donato il latte ai miei due bambini e da mesi sentivo il desiderio di prendermi spazi solo miei, ritrovare il mio corpo di donna, e non solo di madre, respirare una libertà che apparteneva al mio passato e che volevo ritrovare. Che difficile per me questo passaggio! Voluto e poi posticipato tante volte fino a che ho preso coscienza, nel mio profondo, che così andava bene per me, ora. 

Ieri ho salutato il mio latte affidandolo alla terra e ringraziandolo per essere stato con me così tanti anni e aver nutrito i miei figli con tutta la sua genuinità. Ho versato tante lacrime. Per me è un altro passaggio nel lasciare andare i miei figli, staccarmi un po’ da loro, percepire che sono del mondo, appartengono al mondo. Dopo il parto, il primo grande distacco, ecco che finisce per me questa intimità così forte che ho avuto con loro nel dargli la tetta come e quando lo volevano. 

Non c’ è una ricetta per come e quando finire di allattare, ogni donna e ogni bambino hanno il proprio sentire, per me è stata dura e risveglia antichi ricordi di me bambina, dell’attaccamento verso i miei genitori. Rivivo, guardando i miei figli, la mia difficoltà a staccarmi dai miei genitori e lo stomaco mi si contorce. Eppure so che questa scelta è giusta per me. Forse non lo è per loro, Tobias è arrabbiato, mi vuole e poi mi respinge, affonda la sua manina nel seno e si addormenta così e mi pare che vada bene anche in questo modo, in fondo. Si è gettato sul cibo, gode di tanti sapori e continua a corrermi incontro quando torno dopo un’uscita. Tobias l’ho sempre sentito nella mia sfera, una parte di me e ora, inevitabilmente, qualcosa cambia e lui si apre anche al papà che soffriva di questa nostra simbiosi.

Oggi mi sento un pochino nuda, dopo tanti anni di latte, mi pare che mi manchi una parte. D’altro lato respiro una libertà che mi fa girare la testa! Non dico che ora me ne andrò sola per il mondo, ma so che potrò lasciare il mio piccolo anche per qualche notte senza che lui svegli tutto il vicinato.


Mi viene in mente quella poesia di Gibran, “i tuoi figli non sono figli tuoi”, appesa sul muro della stanza dei miei, non l’avevo capita subito quando ero bambina. Oggi la capisco, la faccio mia.

martedì 17 febbraio 2015

Libere di, libere da

Pablo Picasso, Due donne che corrono sulla spiaggia


Libertà di scelta…libere di, libere da…e la prima cosa che mi viene in mente  è che forse risuona un po' vetero femminista tipo il patchuli, gli incensi e le zeppe.
Per noi che siamo nate dopo i cortei e dopo le lotte, cosa vuol dire interrogarsi sulla libertà di scelta? Per noi che siamo state libere di scegliere quando, come, se fare sesso, che i preservativi li abbiamo sempre trovati  pure al supermercato , la pillola la si prendeva anche  con la scusa dell’acne e l’aborto ancorché emotivamente complicato era fattibile senza incappare in mammane armate di ferro da calza, e  senza dover volare per forza a  Londra con voli costosissimi e dannatamente  tristi…
Noi siamo la prima  generazione figlia di chi ha potuto divorziare liberamente….quindi mi  viene da chiedermi “ Ma ha ancora un senso sta storia della libertà di scelta??”
E allora mi guardo intorno, osservo e penso….

Penso a chi deve lasciare il lavoro o rinunciare alla carriera per i figli e a chi deve rinunciare a fare figli per non perdere il lavoro o la promozione. Penso a chi deve cambiare città o regione per una IVG*, perché tanti ospedali hanno in organico solo medici obiettori. ..e  poi a chi vorrebbe lepidurale e non la trova, a chi vorrebbe un VBAC** e incontra  solo persone che nemmeno la prendono in considerazione.
Penso a chi è prigioniera di un matrimonio che non funziona perché il mercato del lavoro è un disastro ed essere economicamente indipendenti diventa  un sogno quasi irrealizzabile. Penso alle immigrate di seconda generazione che vogliono studiare e scegliere se portare il velo o no, se sposarsi oppure no e al solo  proferire la parola Libertà vengono picchiate o recluse in casa. Infine penso a tutte le donne che ogni anno muoiono perché scelgono di separarsi o di lasciare un marito o un fidanzato possessivo e violento…. ed è proprio  quella donna che muore ogni due giorni ***che mi fa pensare : Libere di, Libere da…è ancora un tema su cui discutere ed interrogarsi.


*Interruzione Volontaria di Gravidanza 
**Vaginal Birth After Cesarean: Parto vaginale dopo un cesareo

***Il 2014 è stato un anno nero per i femminicidi, con 179 donne uccise, in pratica una vittima ogni due giorni. Rispetto alle 157 del 2013, le donne ammazzate sono aumentate del 14%. A rilevarlo è l'Eures nel secondo rapporto sul femminicidio in Italia, che elenca le statistiche degli omicidi volontari in cui le vittime sono donne.

giovedì 12 febbraio 2015

Non mi piego a una diagnosi

foto di Dorothea Lange


di Marzia Bisognin



Io continuo con la sola forza nel non piegarmi, del volermi bene anche in questa mia situazione, del non fare a me stessa quello che la società fa alle mamme che non ce la fanno. Non mi piego a una diagnosi, non mi piego a un modello, mi prendo e mi guardo, e chissà che questo non serva anche a quel figlio con cui fatico tanto, chissà che con questo io non gli stia insegnando ad amarsi anche quando si troverà a confrontarsi con il buio di se stesso.

Questa è la chiusura di un post pubblicato sul blog di Eretica (altrimenti conosciuta come Abbatto i muri).
Eretica sta ospitando una straordinaria raccolta di testimonianze di donne sul tema della maternità. Tutto è partito da un racconto che lei ha ricevuto, e che ha pubblicato con l'inequivocabile titolo "Ho un figlio: sono pentita di non aver abortito". E da lì è successo che, per dirla con parole sue, "il post non ha aperto un varco: ha fatto crollare una parete intera. E’ venuto giù il velo di ipocrisia che resta sempre presente quando si parla di amore materno".
Ogni volta succede così. Ogni volta che una madre si fa coraggio e dice quanto sia difficile per lei, quanto si senta distaccata dal figlio, quanto le risulti penosa la vita che si sente costretta a fare, quanto si senta frustrata, si aprono le cataratte, e prima una, poi un'altra e poi un'altra..... scoppiano e si aprono una dopo l'altra, con un effetto pop-corn in padella, avete presente quello scoppiettio crescente? Questo fenomeno lo ha raccontato molto bene Deborah Papisca nel suo Di materno avevo solo il latte.

Sono storie a cui è bene accostarsi disarmate, perchè di fronte a chi ha il coraggio di denudarsi occorre deporre qualunque cosa che abitualmente sappiamo usare come arma: il giudizio, la morale, l'ideologia o la nostra esperienza personale. Sono storie ustionanti oppure fredde come il ghiaccio, che possono far male perchè in fondo riguardano tutte. Chi è la madre che in tutta onestà possa dire di non sapere cosa sia quel gorgo scuro che rende intollerabile un pianto in più, una richiesta in più, un'incombenza in più, un risveglio notturno in più? Perchè non lo si può dire senza essere sommerse di disapprovazioni mugugnate, consigli paternalisti, diagnosi raffazzonate, pallosissime spiegazioni razionali?
Quella tra madre e figlio è una relazione, e come tutte le relazioni ha bisogno di autenticità. La maternità è meravigliosa e terribile nello stesso modo in cui è meravigliosa e terribile la vita, piena di gioia e di dolore, di corse a rotta di collo e di inciampi. Tutto è in continua mutazione, ma ogni dolore inespresso si cristallizza e non può trasformarsi.

Per una volta anch'io rimpiango qualcosa dei tempi andati, e ne propongo il recupero, linciatemi pure. Mi riferisco alle ninne nanne truculente, così liberatorie, capaci di depurare dalle tossine delle notti insonni. Tipo Ninna aa ninna o questo bimbo a chi lo do, lo darò all'uomo nero che lo tiene un anno intero
Beh, comunque abbiamo il bellissimo Fai 'sta cazzo di nanna.
E allora concludo con un'eccellenza del truculento, un video del favoloso Paolo Poli.




lunedì 9 febbraio 2015

Quanto mi manca il Cerchio ...considerazioni sulla nascita e la morte


Paul Gauguin, Da dove veniamo, chi siamo, dove andiamo



Sono Francesca e con Marzia ho partecipato per circa due anni al cerchio che ha ispirato il nome di questo nuovo cerchio virtuale...
Ho imparato a conoscere il potere e la magia del cerchio un po’ alla volta, week-end dopo week-end. Mi sono stupita di quanto la condivisione fosse sincera, creativa e catartica all’interno del nostro cerchio e quando l’ho intuito ho lasciato fluire parole e sensazioni all’interno di esso... senza aspettative, ma ogni volta ho portato con me qualcosa di prezioso: un’idea, un proposito, protezione e conforto, una grande sensazione di sorellanza...
Il cerchio del Master della Scuola dei 1000 giorni si è chiuso lo scorso giugno, ma non senza la possibilità di riaprirsi ogniqualvolta un gruppo di noi partecipanti si è riunito per altri scopi.

In quest’ultimo periodo la mia famiglia ha vissuto una parabola molto delicata e io, che non ho avuto modo di condividerla all’interno del nostro cerchio, ho preferito non farlo in altro modo. Ora che si è conclusa, la condivido volentieri con voi all’interno di questo nuovo cerchio.
La settimana scorsa si è spento il papà di mio marito. E’ successo tutto con molta naturalezza, dopo una malattia che ha preparato lui e noi, la sua famiglia, al momento del trapasso. Gli ultimi due mesi sono stati molto particolari e mi hanno dato modo di riflettere sulla morte e, come sua antitesi, sulla nascita.
Nascita e morte sono due eventi strettamente legati tra loro: non c’è nascita che non si concluda con la morte e vice versa non c’è morte che non abbia avuto una nascita precedente.
Non ho potuto non chiedermi perché due eventi così strettamente legati sono considerati in modo così diverso: il primo celebrato, accolto con gioia e speranza; l’altro sempre più visto con dolore, rassegnazione, totale assenza di aspettative per il futuro, evento da dimenticare, da cancellare il prima possibile.
Forse perché ho vissuto altre esperienze di lutto nella mia vita, ma anche perché credo che ci sia ben altro oltre a quello che vediamo, tocchiamo e scientificamente studiamo, ho imparato a non vedere più la morte come un evento solo tragico, doloroso e ineluttabile.
Ma la morte di mio suocero mi ha portato una consapevolezza nuova: la mia accettazione della morte come evento che fa parte della vita arriva anche dalla mia recente esperienza di operatrice perinatale. Aver a che fare con la nascita, con la nascita intesa come evento grandioso, in cui la forza creatrice della natura si manifesta in tutta la sua potenza, che insieme alla nascita di una nuova creatura porta ad una nuova nascita della donna che la dà alla luce, dà la possibilità a chi vive o condivide questa esperienza di vedere con occhi nuovi molti aspetti della vita e, accanto ad essi, della morte.
Ma anche l’esperienza della nascita non è da tutti: sempre più frequentemente la nascita è vissuta come un evento medicalizzato, costellato da interventi che a vario titolo si prefiggono si salvaguardare la salute del nascituro e di sua madre, ma che, inevitabilmente, fanno perdere la magia, la spontaneità e la potenza dell’evento della nascita.

Non spetta a me dare una risposta, non ne ho i mezzi e nemmeno il titolo...
...però, pongo volentieri un interrogativo.
Non sarà che il progressivo rifiuto della morte e di ‘vivere’ pienamente questa esperienza sia in parte legato al fatto che sempre di meno sappiamo vivere il significato potente della nascita?