Ne ho lette di tutti i colori sul libro di Elizabeth Badinter, dal titolo “Le conflit. La femme et la mère ”, infelicemente tradotto in “Madri cattivissime?”.
Personalmente l'ho trovato interessante, intelligente e ricchissimo di cose che fanno pensare, anche se tanto è quello che non condivido.
Il libro analizza, con puntiglio e precisione da storica, la profonda crisi d’identità della donna contemporanea, combattuta tra il desiderio di maternità e il bisogno di realizzarsi professionalmente. .
La maternità e le virtù che presuppone, dice a pagina 18, non vanno di pari passo, per naturale automatismo. Oggi non più di ieri, quando era un destino obbligato. Potere scegliere di essere madre non garantisce, come si era creduto all'inizio, una maternità migliore. Non solo perché la libertà di scelta è forse un'illusione, ma perché appesantisce il peso delle responsabilità: più si è liberi di scegliere, più si hanno responsabilità e doveri. Alla buona madre non è concessa l'ignoranza, la distrazione, l'ambivalenza.
In una civiltà che mette l'individualismo e l'appagamento personali al primo posto, prefiggersi di essere una buona madre può rivelarsi un obiettivo molto, troppo ambizioso, perché il modello è più esigente che mai.
E fin qui, non posso che essere d'accordo.
Da pagina 33 parte l'offensiva contro il naturalismo militante, la brava madre ecologica che odora di sapone di Marsiglia, e la riscoperta dell'istinto materno. Contro quel fondamentalismo che va a braccetto con l'idea che un giorno Madre Natura punirà i suoi figli, e che fa sentire in colpa le donne che non hanno partorito “secondo natura”.
E anche qui sono sostanzialmente d'accordo. Però è proprio in questa parte che arriviamo noi, le doule.
A pagina 38 parla delle donne che decidono di partorire in casa, senza dottori, con una levatrice e con un nuovo aiuto: la doula.
Qui ci troviamo di fronte ad una traduzione tendenziosa. Sage-femme, la parola francese utilizzata dalla Badinter, significa ostetrica (ovvero colei che ha un diploma di ostetrica, conseguito dopo anni di studio e tirocinio ospedaliero). Sage-femme viene definita anche la donna che nei tempi antichi seguiva il parto, con competenze acquisite sul campo, magari analfabeta. In italiano, la parola levatrice definisce solo quest'ultima figura, mentre ostetrica è colei che ha un diploma universitario con tirocinio ospedaliero. Tradurre sage-femme con levatrice associa quindi il parto in casa e la doula all'approssimazione, alla mancanza di competenza, alla superstizione. Dunque, mettere insieme parto in casa – senza dottori – levatrice – doula, significa mettere tutti sotto una certa luce. Un po' è il pensiero dell'autrice, un po' è l'ulteriore forzatura della traduttrice.
A parte il fatto che il parto in casa oggi non ha niente a che vedere con quello di un secolo fa (ovvero le ostetriche sono ostetriche e non mammane ignoranti) la doula non è colei che assiste solo i parti in casa, o colei che assiste solo le donne che fanno scelte “naturaliste”.
Poi certo, ci sono alcuni casi di donne che scelgono di partorire con la sola assistenza di una doula. Ma, come dice l'ostetrica Laura Castellarin, questo equivale a partorire da soli, e chi accetta un parto senza assistenza ha motivazioni che esulano da queste riflessioni.
La doula è a fianco della donna, la supporta emotivamente e praticamente. Lavora con lei e per lei. Affinché non si senta sola, affinché possa fare le sue scelte, affinché siano scelte davvero libere e consapevoli. La doula risponde ad un bisogno attuale, che ogni discussione sul piano ideologico tende ad ignorare, ovvero al bisogno che nasce dalla realtà di molte sale parto in cui le donne sono abbandonate a loro stesse, dal vuoto assistenziale che c'è in puerperio, dalla scarsa disponibilità di percorsi di continuità sin dalla gravidanza.
La doula insomma è la doula di tutte le donne che la desiderano. Che partoriscano in casa, in ospedale, senza farmaci, con epidurale, con taglio cesareo, che allattino al seno oppure no, che portino il bambino nella fascia o in passeggino.
Se e quando la doula è anche una attivista, ovvero se si batte per un cambiamento culturale nell'ambito della maternità, qualsiasi esso sia, lo fa al di fuori della sua attività. Sicché non cercherà di convincere una donna a fare una cosa anziché un'altra, non cercherà di farle cambiare idea.
A pagina 39, leggiamo poi che la formazione della doula è essenzialmente la sua esperienza personale di madre, completata da conoscenze di fisiologia della gravidanza, della nascita, dell'allattamento.
Non è vero, la sua formazione è essenzialmente il lavoro su se stessa per affinare la sua capacità di mettersi in relazione, di essere empatica, di stabilire un clima di fiducia. Attraverso impegno personale, incontri, letture e seminari, non smette di aggiornarsi e mettersi alla prova, per continuare a imparare e per individuare dentro di sé aspettative e pregiudizi che potrebbero inquinare il suo lavoro. Le conoscenze di fisiologia sono secondarie, perché non è suo compito. Semmai suo compito è avere una buona conoscenza delle strutture e delle professionalità presenti sul territorio, per offrire buona informazione.
Tutti i codici etici che le associazioni di doule nel mondo si sono dati, dicono queste cose.
E inoltre si può essere ottime doule anche senza avere mai avuto figli, cosa che del resto vale anche per le ostetriche o qualsiasi altro operatore della nascita.
Intendiamoci, la Badinter dedica poche pagine all'argomento, ma a me preme particolarmente.
Su una cosa però il libro mi ha delusa. Leggendolo in una prospettiva propositiva, aperta sul futuro, mi è sembrato di fare un salto all'indietro nel tempo, quando il movimento delle donne vide nella lotta per avere gli asili Nido, la parità domestica e sul posto di lavoro, il diritto all'aborto, le battaglie su cui concentrarsi. La maternità rimase perlopiù esclusa, come fosse una scelta involuta e regressiva, di cui valeva la pena occuparsi solo per liberarsene il più possibile. Così, abbandonata a sé stessa e a sparuti gruppi di battagliere, la maternità rimase sguarnita di pensieri, idee, discussioni, diventando terreno di pascolo di ideologie che ricacciano la donna nel ruolo materno come massima realizzazione possibile: madre dedita, tutta enfasi, estasi e gioia.
Non ho trovato nella Badinter alcun accenno a questo “peccato d'origine”, e mi è sembrato anzi che non faccia che ribadire le stesse cose: Nido, lavoro e biberon. E questo mi ha davvero deluso. Possibile che non avesse nulla di nuovo da aggiungere? Possibile che non consideri anche questa una delle ragioni che hanno favorito quella che lei chiama "la santa alleanza dei reazionari"?
Su una cosa mi trovo invece incondizionatamente d'accordo con lei, forse anche per ragioni anagrafiche. Come sono lontani gli anni Settanta, quando si potevano vivere la gravidanza e la maternità con noncuranza e leggerezza! Sì, perché il piacere e la gioia, richiedono anche una certa dose di leggerezza...
....
Però io lo ricordo, anche se ero poco più di un'adolescente quanta leggerezza avessero le donne del movimento negli anni Settanta. Mi ricordo anche tanti bambini/e. E la traduzione di "Noi e il nostro corpo" e "Noi e i nostri figli", testi partoriti negli Usa quasi un decennio prima. Non ho mai avuto la sensazione che quella generazione tralasciasse la maternità - era solo un'opzione tra mille e sicuramente sui pargoli si scaricavano meno aspettative, forse perché mamma e papà erano impegnati nel mondo e col mondo.
RispondiEliminaL'alleanza reazionaria di cui parla la nostra filosofa è, a mio modestissimo avviso, l'idea per cui occuparsi di un bambino sia la strada migliore per cambiare lo stato delle cose.
barbara
Hai ragione Barbara, in America le cose andarono diversamente. Ma in Europa..... no, in Europa non andò così. La maternità fu tralasciata eccome (certo, qualche sparuto gruppo che diede vita a un piccolo movimento ci fu, ma parliamo davvero di una nicchia). Perchè? Sarebbe un discorso molto lungo, certo interessante.
RispondiEliminaL'alleanza reazionaria è certo quella che tu dici, ma anche l'idea che la maternità sia considerata la massima espressione della natura femminile
Non lo so, Marzia, erano solo impressioni mediate da ricordi che non dovrei neanche avere -)) Sì poi nell'alleanza reazionaria c'è anche la componente da te descritta.
RispondiEliminaComunque ottima recensione! A mio avviso te e la signora filosofa avete molto ma molto in comune.
barbara
Ciao Marzia!
RispondiEliminaSeguo con vivo interesse il tuo blog e mi piacciono sempre tanto le tue considerazioni, mai scontate ma sempre di stimolo per me.
Questo testo ha colpito molto anche me, una vera sferzata a tutto quello che, da un po' di anni a questa parte, si va sedimentando, diventando perciò quasi un dogma, rispetto a maternità ed accudimento.
Sicuramente la Badinter è anche molto provocatoria, anche paradossale in certi casi (per esempio la parte su LLL, pur con delle punte di verità, è molto esasperata e caricata...) però a me è piaciuta molto la riflessione che fa rispetto al nuovo concetto di responsabilità materna di fronte a cui proprio la contraccezione ci mette davanti. E , di conseguenza, la ridefinizione di "naturale" . Sulla doula è molto tranciante, così come lo è sull'allattamento. Ma io credo, o meglio ho colto dall'impressione generale che ho avuto sul libro (peraltro documentatissimo), dopo averlo concluso che il messaggio di fondo che voleva lasciarci è quello di non dare per scontate cose che non lo sono, che i motivi per fare un figlio sono tantissimi, e i più disparati, e che le donne che sono a fianco delle altre donne, in questo percorso, non devono mai scordare o dare per scontato che un figlio è la naturale prosecuzione di un percorso pena la colpevolizzazione di chi, per qualsiasi ragione, non ne ha o ,ancora, il catechismo con ogni mezzo, inclusa l'analisi del profilo psicologico, pratica che trovo davvero agghiacciante. Forse la traduzione del titolo non rende merito al testo (ma anche si, viste le reazioni forti che ha scatenato, del resto in Italia mette in discussione un modello forte e consolidato) ma resta il fatto che mette il dito nella piaga su tante cose, non ultimo, almeno qui, persino sulla mancanza di politiche in favore della maternità che spingono poi le donne a ripiegare su ideologie di mistica della maternità che tolgono a questo ambito proprio quella leggerezza di cui tu parli nel post sopra. In effetti si, si respira aria di femminismo vecchia maniera, quello che si è dovuto tranciare un aspetto delle tante dimensioni dell'essere donna, la maternità . Ma io credo anche, come ho già scritto altrove, che , a prescindere dalle convinzioni personali della Badinter, i francesi abbiano una capacità particolare di far emergere le contraddizioni, portarle a galla nude e crude, proprio perché la loro tradizione rivoluzionaria gli ha lasciato nel modo di sviluppare il pensiero una crudezza e una assolutezza di cui pochi sono capaci. Può piacere o non piacere, ma ci fa riflettere e, in questo caso, ha scatenato dibattiti importanti. Grazie Marzia per questo commento che hai inserito, e grazie per dare la possibilità di scriverne in un modo così aperto. Tiziana Catanzani
ciao Tiziana, mi sa che ci siamo già incontrate sulle strade dei blog.... giusto?
RispondiEliminaAnch'io penso che la Badinter voglia essere molto provocatoria, come del resto lei stessa ha più volte dichiarato. Il capitolo sulla LLL io me lo sono goduto, confesso..... perchè non nutro molta simpatia per la LLL. Dentro ci sono sicuramente anche ottime persone, ma l'impianto di fondo.....lasciamo stare!
Mi piace come la Badinter ha risposto alla domanda "cosa consiglierebbe a una trentenne?":
Non lasciare per nessuna ragione il lavoro ed essere indipendente economicamente. Per il resto, fare quello che le pare.
So bene che gran piacere sarebbe, nei primi due anni di vita del bambino, potere disporre del denaro sufficiente senza dover per forza lavorare, o facendolo per poche ore, perchè non è che te ne stai lì con le mani in mano. Sarei favorevole che la società si facesse carico del lavoro materno, e quindi ci fossero congedi di maternità più lunghi, contributi economici di maternità (come ci sono in Francia), e cose così. Invece in Italia la maternità viene ancora percepita come un fatto privato a cui non viene riconosciuto un valore sociale.
Se però di quel costo si fa carico tuo marito, cambia tutto. A parte il fatto che il marito c'è chi non ce l'ha, se è lui a farsene carico tu perdi la tua indipendenza. Inoltre, passato l'idillio dei primi tempi, far solo la mamma può diventare davvero asfittico. Dunque, meglio davvero non lasciarlo il lavoro, anche se non è un lavoro gratificante.
Ecco, la mancata introduzione in Italia di un contributo per il sostegno alla maternità la considero una di quelle pecche di cui parlavo nel post. Siccome l'aveva fatto Mussolini, è diventato quasi un tabù. La Francia non ha avuto questo problema...!
Ciao Marzia! Si, di sicuro ci siamo incrociate forse in qualche tread su fb (da cui vado e vengo) o forse, siccome sono una Mother Assistant, (una delle 15 del corso regionale a Perugia del 2003) e anche IBCLC magari in qualche contesto di questo tipo. A dirla tutta, anche io ho mi sono divertita a legger quelle cose su LLL. Da ex Consulente LLL posso dire di aver vissuto sulla mia pelle un certo modo di fare proseliti. Penso però poi ad alcune persone che lavorano in questa associazione di volontariato e che da sole valgono tutta la baracca e non me la sento di affondare il coltello fino in fondo. Ma solo per un fatto affettivo.
RispondiEliminaCondivido la critica al dogmatismo e al conformarsi ad un modello di madre "naturale" ideale (cui la formula "prendi ciò che vuoi e lascia il resto" non toglie comunque il bel carico di senso di colpa che mette sulle spalle delle donne). Mi sono trovata d’accordo con il rilievo che ha fatto circa l’omissione nel manuale della parte dedicata alla madre che torna al lavoro e vuole allattare . Quando sono diventata Consulente, nell’ormai lontano 1998, avevo e davo del tiralatte un’immagine di strumento infernale (erano macchine di vecchia generazione, ora ce ne sono sicuramente di meglio) ma, insomma, è innegabile che l’approccio a questo aspetto sia cambiato per adattarsi (costrette, come direbbe Badinter?) alla cultura che cambia.
Non credo al disegno del complotto di cui lei descrive così nettamente i tratti (ovvero che la cultura e/o le varie associazioni/organizzazioni a sostegno della genitorialità abbiano elaborato a tavolino un modello di madre ideale per annientarla nella sua partecipazione alla vita sociale e politica e che il guardiano più spietato sia poi il controllo sociale.. ) , secondo me la Badinter qui cade nello stesso tranello di cui poi accusa le “naturaliste” soltanto che al posto del determinismo biologico ci mette il determinismo culturale. Tuttavia quando ha si è occupata di LLL e dei suoi agganci alle agenzie internazionali della salute, ho pensato ad un’altra omissione compiuta sul manuale (che la Badinter non riporta): il capitolo delle pratiche di assistenza al parto e il loro impatto sull’allattamento. Nella prima edizione c’erano poi sono scomparse. Potremmo aprire un capitolo sui motivi di questo taglio, ma mi limito a dire che non mi pare casuale. Non si poteva parlare di parto perché era “ confusione di cause”. Oggi non è più così, segno che le pressioni esterne stanno cambiando qualcosa, per fortuna.
Per il resto, avendo anche io ormai due figlie adolescenti, mi trovo d’accordo con quanto consiglierebbe la Badinter, mai lasciare il lavoro piuttosto lottare per ottenere, e per il riconoscimento e il rispetto della diversità di genere, che si sia madri o meno. Io alla fine questo ho colto nel libro della Badinter, anche quando lo ha sparato fuori con forza.
Una donna mi ha chiesto, poco tempo fa “ Ma le mamme “dissidenti” perché si nascondono?”. Bella domanda.
....scusa se son tonta, ma chi sarebbero le mamme dissidenti???
RispondiEliminaIncollo qui di seguito un commento che ho ricevuto via mail da Tiziana Valpiana, Presidente Onoraria dell'associazione nazionale "IL Melograno"
RispondiEliminaNon ho letto 'Madri cattivissime' ma mi stimola molto la recensione di Marzia. Innanzitutto credo che sarebbe bello che i Melograni la invitassero a presentare il suo libro , semplicemente una stria di vita ma in cui la maternità è centrale.
Poi a me piacerebbe proprio un confronto su questi temi, non per limitarci all'accademia, ma per dare una mano qui e ora alle donne ad essere madri (non 'buonissime' e nemmeno buone, io credo che dobbiamo sempre rifarci al 'sufficientemente buone').
La via scelta da Marzia è quella della doula (e capisco bene come si imbizzarrisce alle cose che autrice e traduttrice -sono un disastro le traduttrici e i traduttori ignoranti!- affermano erroneamente sulle doule), noi (Il Melograno) abbiamo scelto una strada diversa che è quella del 'villaggio' (il tentativo di togliere madre, neonato e maternità dalla solitudine in cui vivono e sono vissuti nella nostra società individualistica) e della ricostituzione di una rete che sia accanto alla donna in gravidanza, durante la nascita e soprattutto dopo (non per qualche giorno, ma per anni) attraverso la creazione di gruppi di pari e il sostegno della conduttrice (che, come la doula, non si improvvisa ma si forma lentamente e la cui esperienza come madre è, secondo noi, indispensabile) in un rapporto non one-to-one, ma che ri-costituisce 'società'.
Condivido pienamente quello che Marzia dice al termine della sua bella recensione e cioè il disappunto nel vedere ancora una volta il 'movimento delle donne' trascurare la maternità (volenti o nolenti invece centrale nell'esperienza e nel corpo delle donne, anche per rifiutarla) facendone al più una questione di 'conciliazione' (sono stata recentemente a Verona a una riunione di donne del centrosinistra per le prossime amministrative e...mi sono cadute le braccia!). Dico, grosso modo, la stessa cosa in una recensione che avevo scritto qualche anno fa per 'Madri cattive' (che fantasia! a quando 'Madri cattivelle'?) di Caterina Botti:
"... Per le donne della mia generazione il femminismo, l’autocoscienza è stato una lente attraverso cui abbiamo letto le nostre esistenze e relazioni, mettendo in discussione i ruoli imposti, la famiglia, la sessualità. Ci ha permesso di riprendere parola sul nostro corpo, scoprendo la possibilità di narrarlo con un linguaggio autonomo rispetto a quello maschile e scientifico. Il movimento femminista degli anni 70 non rivendicò e non riconobbe la gravidanza come forza creatrice, soggettiva, autodeterminata delle donne, ma come possibilità del potere maschile di relegarle al privato, alla casa, all’accudimento. Invece anatomia e fisiologia, problemi e desideri, paure e speranze, impotenze e onnipotenze che colgono ogni donna incinta potevano divenire le fondamenta di un pensiero forte e rinnovato, sostenere ciascuna donna ‘a partire da sé’, per ‘re-inventarsi’ nel corpo e nella mente, per riuscire a porsi e a porre tutti quegli interrogativi che la ‘mistica della maternità’ non permette nemmeno di pensare, pena non essere giudicata una ‘madre sufficientemente buona’.
Insomma siamo “madri cattive”, nell’accezione di Botti, perchè siamo “donne cattive”, renitenti alla legge, alla medicina, alla morale del patriarcato (e, per quel che mi riguarda, secondo l’insegnamento mai scordato di Maccaccaro, del capitale). Donne che hanno voluto fare di testa loro, senza assoggettarsi ai principi e alle regole date e chiedendosi sempre chi e perché impone le regole comunemente accettate....”
E' proprio per rimediare a questo 'peccato originale' che dall' '81 Il Melograno cerca di portare avanti una 'nuova cultura di maternità', di cui fanno parte consapevolezza ma anche leggerezza....
Ribadisco, non ho letto il libro e non posso quindi dire nulla, ma parliamone, dai!
Tiziana Valpiana
Le mamme "dissidenti" sono coloro che non aderiscono al modello corrente di mamma totalmente dedicata a casa e figli.
RispondiEliminaBlogspot continua a cancellarmi questo commento dopo averlo pubblicato! Mumble! Ora provo a spezzettarlo...
RispondiEliminaMi piace molto questa recensione e sono d'accordo sull'analisi. Concordo anche con Tiz e una volta di più avverto che questo blog è uno dei pochi luoghi che ho incontrato finora su questi temi, in cui si respira aria fresca. C'è un altro aspetto del libro di Badinter che io non condivido ed è un aspetto di fondo: lei analizza il ruolo della donna/madre e le influenze culturali che lo caratterizzano, esclusivamente da una prospettiva femminista, dove per femminismo si intende un concetto non precisamente definito di libertà e potere, restando però sul vago rispetto a cosa sostanzierebbe questa libertà e questo potere. Badinter parla più spesso di carriera che di indipendenza economica ed è come se desse per scontato che la parità è l'equivalente del ruolo maschile nella società di oggi, così come è. Non viene presa in considerazione tutta la critica alle società occidentali, capitaliste e postindustriali e l'ipotesi che un nuovo femminismo possa, oltre che recuperare la riflessione sulla maernità come voi fate giustamente notare, anche proporre un modello di dignità e libertà che non equivalga affatto a quello rappresentato dagli uomini. Io resto convinta che tanto naturalismo e maternalismo (tanto, anche quello con derive fanatiche o misticheggianti) sia portatore di un profondo discorso critico verso la società contemporanea, un discorso che non può essere scambiato per passatismo o per reazionarietà, e che non può essere liquidato o ridicolizzato. Un discorso che spesso si regge su gambe tremanti ma che deve essere corretto e rinforzato per potersi sviluppare, prtando avanti la riflessione sulla maternità e la sua valorizzazione attraverso battaglie politiche per il welfare, non distrutto dalla paranoia e dalla miopia.
(continua...)
Vivo con amarezza che il libro della Badinter sia l'unico testo divulgativo che circola su questi temi fondamentali, che lei ha il merito di sollevare e di sviluppare certo con intelligenza.
RispondiEliminaUn'altra questione che resta colpevolmente aperta è proprio quella delle politiche: Badinter in sostanza prima dice che la Svezia è il miglior caso mondiale, poi però fa notare come il suo welfare per le donne non abbia fatto crescere significativamente la natalità. Dunque secondo lei l'unica strada perseguibile per convincere le donne a fare figli, è convincerle a essere 'madri mediocri' (e nemmeno più 'sufficientemente buone'!). Innanzitutto credo che la questione sulla demografia nelle società contemporanee sia più complessa e non riducibile alla sola questione femminile e femminista. In secondo luogo non credo proprio che la risposta giusta sia la sua, ovvero nido e biberon. Credo che le pedagogie e le puericulture, le campagne per l'allattamento e le figure professionali para sanitarie che lei tanto demonizza siano, con tutti i loro difetti, un contributo molto più costruttivo alla riflessione su una maternità possibile. Che deve essere una maternità del futuro, sperabilmente migliore per tutti, e in tutti i sensi.
Lutlia dice "Badinter parla più spesso di carriera che di indipendenza economica ed è come se desse per scontato che la parità è l'equivalente del ruolo maschile nella società di oggi, così come è. Non viene presa in considerazione tutta la critica alle società occidentali, capitaliste e postindustriali e l'ipotesi che un nuovo femminismo possa, oltre che recuperare la riflessione sulla maernità come voi fate giustamente notare, anche proporre un modello di dignità e libertà che non equivalga affatto a quello rappresentato dagli uomini. "
RispondiEliminaPersonalmente non credo che la Badinter intendesse parlare solo della donne in carriera modello newyorkese anni '90, ma anche di tutte quelle giovani donne che coltivano con più o meno passione un'attività che non confligge con una eventuale critica al sistema che tu chiami "capitalista e postindustriale".
Io non ho mai avuto particolari ambizioni professionali, forse anche per spirito di bastian-contrario, perchè appartengo a una generazione in cui le donne, per dimostrare il loro valore, dovevano averne.
Vedo però che le giovani donne di oggi, più libere da tanti punti di vista, amano spesso il loro lavoro, coltivano progetti, hanno sete di conoscenza e voglia di fare la loro parte. Sanno anche inventarsi dei modi per vivere a basso costo.
"Di materno avevo solo il latte" è un bellissimo libro autobiografico, che parla di una giovane così.
Io credo che la Badinter si riferisse anche a queste donne
Scusate ma Badinter parla di indipendenza economica ossia della possibilità di reggersi sulle proprie gambe. Una cosa che viene utile nella vita e da consigliarsi a ciascun essere umano, perché la dipendenza economica ti taglia le gambe e le scelte. Non si tratta di essere in carriera ma di non dimenticare quanto sia importante potersi pagare le bollette da sole, basso o alto costo che sia. Non è che non critichi il modello di sviluppo economico esistente: si occupa di un altro argomento. Detto per inciso, non mi sembra che tra le cosiddette "ecomamme" ci sia una gran critica al modello esistente, e non si smontano i modelli economici a colpi di allattamento prolungato fino al 18 anno di età.
RispondiEliminabarbara
"La maternità rimase perlopiù esclusa, come fosse una scelta involuta e regressiva, di cui valeva la pena occuparsi solo per liberarsene il più possibile. Così, abbandonata a sé stessa e a sparuti gruppi di battagliere, la maternità rimase sguarnita di pensieri, idee, discussioni, diventando terreno di pascolo di ideologie che ricacciano la donna nel ruolo materno come massima realizzazione possibile: madre dedita, tutta enfasi, estasi e gioia."
RispondiEliminaHai scritto una riflessione per me illuminante! Chapeau! Ora torno a rileggermi tutto e cerco di intervenire al dibattito ;)
Giusto Barbara, la Badinter parla di indipendenza economica. Dunque non solo di quelle che si guadagnano la pagnotta svolgendo attività più o meno appassionanti. Da quella che diventa primo ministro fino a quella che fa la badante.
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