Articolo pubblicato in La donna che genera, a cura di Gabriella Falcicchio, Quintadicopertina 2016
Cercare un’immagine per corredare un
articolo, un evento o un semplice post su Facebook è sempre un lavoro che
richiede tempo. Quando mi è capitato di farlo per il tema della Procreazione
Medicalmente Assistita (d’ora in poi PMA) sono arrivata a un particolare del Giardino delle Delizie di Hyeronimus
Bosch. Si vede una coppia dentro quella che sembra una cellula, un ovocita, con
i due soggetti in stretta relazione tra loro, che si toccano reciprocamente, e
ci sono dei filamenti guizzanti come spermatozoi che irrorano la cellula. Ogni
procreazione assistita avviene fuori dall'intimità dell'amplesso, e nel dipinto
ci sono altre presenze intorno alla coppia, una testa che esce dall'acqua e osserva
i due dentro all’ovocita e una persona abbracciata a un gufo, che in tante
culture è simbolo di nascita.
A dirla tutta, non sapevo che quella
scena rappresentasse il peccato originale, ma quando l’ho saputo, mi è sembrata
una metafora perfetta.
Il
peccato originale altro non è che il momento in cui l'umano decide di mangiare
dall'albero della conoscenza. Così inizia la fatica del vivere fuori dal
giardino dell'Eden, ma inizia pure la conoscenza, che prima era appannaggio
solo di Dio.
Fino a pochi decenni fa non c'erano
molti modi per venire al mondo. Gli esseri umani incominciavano la loro
avventura e crescevano nel mistero del ventre materno, in seguito a un rapporto
sessuale che poteva essere stato più o meno piacevole e più o meno desiderato.
Il controllo delle nascite era piuttosto empirico, i figli arrivavano come una
benedizione del cielo, come uno incidente imprevisto o come una maledizione. Si
sperava che arrivassero abbondanti o si pregava che non ne arrivassero più,
oppure si pativa l’infamia della sterilità. Ci si affidava al caso o alla
volontà di Dio.
Oggi, i nuovi scenari resi possibili
dalla medicina e dalle biotecnologie hanno permesso di separare la procreazione
dalla sessualità. Ovvero possiamo avere rapporti sessuali senza procreare
grazie all’uso di contraccettivi sicuri, e possiamo procreare senza avere
relazioni sessuali, grazie alle tecniche di PMA. L’unica certezza a oggi
immutata è che la vita ha bisogno del corpo della donna per vedere la luce.
Possiamo fare incontrare i due gameti in una provetta, possiamo forzare il loro
incontro iniettando lo spermatozoo pigro direttamente dentro l’ovocita, possiamo
far crescere l’embrione dentro l’utero di una donna con cui non condivide
nemmeno un’elichetta di DNA e che non gli sarà madre nella vita, possiamo creare
le condizioni per far sopravvivere questo grappolo di cellule per 13 giorni,
possiamo completare le ultime settimane di gravidanza dentro un’incubatrice. Ma
siamo ben lontani dalla capacità di riprodurre quell’organo meraviglioso e
sofisticatissimo che è la placenta, e se non ci fosse un utero che per nove
mesi accoglie e nutre questa promessa di vita, tutto finirebbe lì. Anche se nell’immaginario è avvenuta una
progressiva separazione tra la madre e il feto, rappresentato come un
cosmonauta nel suo universo asettico nelle mille immagini che possiamo
comodamente vedere su You Tube, anche se tante donne soffrono la sfiducia nelle
proprie capacità di essere procreatrici e nutrici della prole, il corpo delle
donne resta indispensabile per far nascere i bambini.
E’ successo in fretta, pochi decenni ed
è cambiato tutto.
Dagli inizi degli anni 60 la pillola
contraccettiva si è diffusa negli Stati Uniti e nel 1971 in Italia ha potuto
essere commercializzata, non senza polemiche sui danni morali che avrebbe
portato la separazione tra il piacere erotico e la trasmissione della vita: la
contraccezione artificiale avrebbe distorto la natura del sesso e favorito la
promiscuità.
Oggi la pillola è utilizzata da più di
cento milioni di donne nel mondo[1]; ha
cambiato, e continua a cambiare, il loro ruolo nella società. Senza
contraccettivi sicuri non avremmo tante pianiste, tante avvocate, tante ragazze
iscritte all’università, tante madri scanzonate. Milioni di donne sono piene di
grilli per la testa e possono godere dei piaceri della carne senza ritrovarsi
necessariamente a essere cenerentole del focolare con una nidiata di figli da
crescere.
Nel 1978 in Inghilterra è nata Louise
Brown, la prima bambina concepita in provetta, come si diceva allora. Finì
giustamente sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo, stava iniziando
l’avventura tecnologica riproduttiva. Si
parlò di miracolo della scienza, ma anche di evento che avrebbe avuto gravi
conseguenze per l’umanità.
Oggi sono circa cinque milioni[2] i
bambini nati come Louise, la quale nel frattempo è diventata mamma.
Impossibile dire invece quanti bambini
siano nati con la maternità surrogata (o Gestazione Per Altri, GPA), non ci sono
dati certi. E’ la pratica che al momento
più smuove le nostre coscienze, al centro di un dibattito accesissimo in questi
ultimi mesi in Italia: una donna porta avanti la gravidanza per conto di
aspiranti genitori, che possono essere coppie o single, sia eterosessuali che
omosessuali. E’ una pratica sempre esistita nella sua forma “tradizionale”, se
ne parla anche nella Bibbia. Quello che le tecniche PMA permettono oggi è che
una donna porti avanti la gestazione di un embrione formato in vitro. I gameti
possono essere entrambi degli aspiranti genitori, oppure di uno solo o
provenire entrambi da donatori.
A chi come me è stata bambina quando la
luce elettrica non era arrivata in tutte le case dei contadini e si teneva il
pitale sotto il letto perché per andare al gabinetto bisognava attraversare il
cortile di casa, sembra di stare in un film di fantascienza.
A chi è stata giovane quando essere
femminista significava autogestire la propria salute e sentirsi padrona del
proprio corpo, sembra ci si stia consegnando nelle mani della biotecnologia,
riducendo il corpo femminile a un ambiente uterino per l’approvvigionamento del
feto.[3]
A chi pensa che la natura sia armoniosa
e giusta per definizione, sembra di attentare ai fondamenti stessi
dell’esistenza umana.
A chi non ha mai pensato che la natura
fosse buona e materna bensì potente e minacciosa, e ha sempre anelato a un
vigoroso corpo a corpo con essa, sembra si stia perdendo qualcosa di
preziosamente arcaico.
Eppure.
Eppure come non essere affascinati dalla
capacità umana di spostare i propri limiti procreativi, proprio come per
l'invenzione della scrittura che ci consente di conservare la memoria e di
trasmetterla, come per l’invenzione dell’agricoltura, del telefono e di
internet, della pillola contraccettiva, delle protesi bioniche per chi si trova
mutilato a causa di un incidente, e degli occhiali che in questo momento mi
permettono di leggere quello che sto scrivendo.
Tutte le solide certezze cui eravamo
abituati ad appoggiarci per comprendere la vita si stanno facendo friabili. Il
panorama è cambiato, che ci piaccia o no, e da qui dobbiamo partire, nutrendo
il pensiero critico con le storie dei vissuti delle persone, perché dietro le
tecniche di procreazione assistita, dietro le Fivet, le omologhe, le
eterologhe, le ICSI, le crioconservazioni e le maternità surrogate ci sono
donne, uomini, bambine e bambini; ci sono sentimenti, desideri, speranza, coraggio,
gioia e dolore.
Per PMA si intende l’insieme di tutti
quei trattamenti per la fertilità nei quali i gameti, sia femminili (ovociti)
che maschili (spermatozoi), vengono trattati al fine di determinare il processo
della fecondazione. Queste tecniche sono indicate nei casi in cui il
concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto. Possono essere
farmacologiche, ormonali e chirurgiche, sono tante e perlopiù sconosciute a chi
non è nel campo, per cui succede di avere bisogno di un glossario anche solo
per comprendere un articolo di giornale.
Avevo dieci anni quando Farah Diba fu
incoronata Imperatrice di Persia e la cosa che ricordo di più, oltre allo
strascico tempestato di pietre preziose del suo vestito, è il racconto che
Soraya, la moglie precedente dello Scià, era stata ripudiata perché non poteva
avere figli. Ripudiata. Mai avevo
sentito quella parola.
Ancora oggi non generare figli, quali
che siano le cause, rientra nel novero delle colpe, anche se abbiamo ripulito
il nostro vocabolario da certe parole troppo crude. La condizione dell’essere
senza figli a volte è una scelta, giudicata perlopiù male dai saputelli di
turno, ma altre volte è una mancanza dolorosa e inaccettabile a cui si cerca di
porre rimedio.[4]
Le tecniche che riproducono la vita
fuori dal corpo, ovvero in vitro che poi è la vecchia provetta di Louise Brown,
sono estremamente complesse e invasive, soprattutto per le donne che possono
avere ripercussioni pesanti sulla propria salute. L’iter a volte è molto lungo, con alte
percentuali d’insuccesso, molto pesante economicamente e costellato di scelte
difficili, come valutare la possibilità di gravidanze multiple o di danni al
bambino. Sono sempre avventure monopolizzanti, che richiedono ostinata
determinazione, e che possono causare profonda sofferenza nel caso in cui non
vadano a buon fine.
Per farsi un’idea dei numeri, nel 2013
in Italia le coppie trattate sono state 71741, le gravidanze ottenute 15550,
12187 i bambini nati vivi (ovvero il 2,4% del totale dei bambini nati nel
2013).[5]
L’informazione è carente, per cui chi
decide di imboccare questa strada impervia spesso non ha consapevolezza di cosa
l’aspetta, non trova facilmente spazi per riflettere e dispiegare i tumulti
interiori, per intercettare i propri bisogni e comprenderli. Deve arrangiarsi
ad agguantare notizie per orientarsi nel labirinto delle normative e farsi un
quadro dei pro e dei contro. E per fortuna c’è internet.
A questo si aggiunge il fatto che la
fecondazione assistita divide tuttora la società, e soprattutto divide
profondamente le donne, già divise tra chi è madre e chi non lo è. Per usare le
parole di un uomo, padre di due gemelle nate con un percorso di PMA “la fecondazione assistita va a sezionare,
medicalizzare il mito della maternità, straccia il velo che occulta i limiti di
una capacità generatrice di vita che per molte è motivo fondante di esistenza,
oltre che produttrice di potere sul mondo. Ho quindi l’impressione che molte
donne, non necessariamente retrograde, non necessariamente stupide né bigotte,
continuino a voltarsi dall’altra parte di fronte a qualcosa che le costringe a
misurarsi con la possibile caduta di una personale rappresentazione mitica,
arrivando spesso ad assumere atteggiamenti tra la superiorità e la
commiserazione o addirittura la condanna, nei confronti di quelle loro
congeneri che hanno fallito la prova della maternità naturale”.[6]
Dobbiamo
smetterla di avvolgere queste storie nel sortilegio malvagio dell’invisibilità,
dobbiamo imparare ad accogliere queste esperienze senza che si viaggi su treni diversi
e con i finestrini oscurati: da una parte le donne che concepiscono
naturalmente e dall’altra quelle che intraprendono un percorso biotecnologico. Dobbiamo
costruire collettivamente una narrazione delle origini che sia rispettosa di
chi è nato grazie a queste tecniche.
“Ciao,
adesso cerca anzi cercate di stare sereni tu e il tuo lui, te lo dice una che
ha già versato litri di lacrime su 3 tentativi di omologa coi propri gameti e
che adesso è in procinto di partire con il primo tentativo di ovodonazione in
Spagna. Ma tu hai una blasto ancora disponibile? Se le cose dovessero non andar
bene adesso magari potrai provare con il transfer di questa blasto
disponibile.....io questa possibilità non la scarterei. Ci sono 2 cose che mi
hanno colpito del tuo racconto. La prima è che hai fatto un transfer di 3
blasto, cosa altamente sconsigliata da quasi tutte le cliniche per l'alto
rischio di complicazioni con un parto plurigemellare, la seconda il fatto della
risposta del dottore, si commenta da sola...mio dio che rabbia!!!”.
Questo è un messaggio, uno dei tanti, su
un forum di donne dedicato alla PMA. Una donna risponde a un’altra donna, non
si conoscono se non virtualmente, e come le altre frequentatrici del forum hanno
bisogno di confrontarsi, scambiarsi esperienze, darsi consigli, consolare ed
essere consolate.
La prima cosa che ho pensato leggendo
questi dialoghi è che se a leggere fosse mia mamma, nata nel 1931, non
capirebbe nemmeno di cosa si stia parlando. Non è solo una questione di parole a
lei sconosciute, e sicuramente non solo a lei, ma di contesto generale. C’è
quel “parto plurigemellare” che identifica sì l’ambito della nascita, sbalzato
però da una dimensione intima e tutto sommato avvolta nel mistero, a
un’affollata scena in cui sono presenti la coppia di aspiranti genitori, le
frequentatrici del forum, i tecnici addetti a un cosiddetto transfer, un medico
insensibile, la Spagna e le donatrici di ovociti. L’evento riproduttivo
descritto è frammentato in differenti fasi, ognuna delle quali costa speranza,
frustrazione e lacrime.
Tutte eseguono lo stesso rituale: gli
ormoni, il pick-up, il transfer, l'attesa. Arrivano a conoscere i segnali del
proprio corpo con una precisione maniacale e adottano lo stesso oscuro gergo da
iniziate. Provano e riprovano, non di rado inutilmente.
E quando per un
problema di salute o di altro genere la donna non può portare avanti una
gravidanza? E quando a desiderare un figlio è una coppia di uomini? Dovrebbero
accettare ciò che per vie naturali è loro precluso? E chi decide quali sono i
limiti da accettare e quali è lecito forzare?
20 marzo 2010. Milena Gabanelli apriva la
puntata di Report “Google Baby” con queste parole: "Il mercato può dare un prezzo a tutto? La schiavitù era
esecrabile perché considerava gli esseri umani come merce da mettere all’asta.
Oggi noi come dobbiamo considerare i nostri corpi? Come averi di cui disporre a
piacimento? È un interrogativo ampio e controverso che si pone ogni volta che
si parla di compravendita di ovuli, spermatozoi o maternità surrogata. Il
mercato non si pone interrogativi morali, le storie le risolve fra un soggetto
che compra e un altro che vende. Quello che non puoi fare nel tuo paese perché
magari la legge lo vieta, lo puoi fare da un’altra parte, dove è legale. Su
alcune questioni sarebbe auspicabile che ci fosse una linea internazionalmente
condivisa. Negli Stati Uniti, in Russia, in India, si affitta l’utero."
E proseguiva la dottoressa Nayna Patel: "Pratico la fecondazione artificiale
nello stato indiano del Gujarat. Negli ultimi tempi pratichiamo anche la
gravidanza surrogata. Queste sono alcune delle madri disponibili che lavorano
con me. Sono tutte donne molto semplici, disponibili, disciplinate e leali, e
anche molto religiose. Fanno questo lavoro con molta dedizione"
Si vedevano donne tristi, simili a
schiave in batteria, pietosamente docili, governate da una maîtresse volgare.
Tutte svolgevano questa gravidanza clandestinamente dai loro parenti, familiari
e vicini di casa, nascoste per mesi, solo il marito ne era a conoscenza. Si
vedevano bambini estratti con un cesareo dalla pancia delle donne che li
avevano ospitati nei primi mesi della loro vita, e portati via in fretta e
furia per essere consegnati a coppie in attesa nell'altra sala, ovvero i
genitori biologici ben stirati e ingioiellati. Quei bambini, era chiaro, non
avrebbero mai rivisto la donna grazie alla quale erano al mondo, e forse
nemmeno avrebbero mai saputo della sua esistenza.
Come tanti, sono uscita da quella
trasmissione sconvolta.
Il 2 febbraio scorso si è svolto a
Parigi un convegno internazionale per l'abolizione universale della maternità
surrogata, a cui è seguito il pronunciamento del Consiglio d'Europa che ha
rigettato, con 16 voti contro 14, la risoluzione che voleva legittimare e
regolamentare la pratica della maternità surrogata (ma in alcuni paesi europei
è legale e regolamentata). La Carta firmata a Parigi dice che “il corpo delle donne è richiesto in quanto
risorsa a vantaggio dell’industria e dei mercati della riproduzione, e certe
donne acconsentono a impegnarsi in un contratto che aliena la loro salute, la
loro vita e la loro persona, sotto pressioni multiple: i rapporti di
dominazione famigliari, sessisti, economici, geopolitici.
Infine,
la maternità surrogata fa del bambino un prodotto con valore di scambio, in
modo che la distinzione tra persona e cosa viene annullata. Il rispetto del
corpo umano e l’uguaglianza tra donne e uomini devono prevalere sugli interessi
particolari”.
Eppure non è sempre sinonimo di
sfruttamento, mercificazione, misoginia, compravendita e costrizione. Ci sono
anche tante testimonianze di esperienze belle anziché truci: interviste, libri
autobiografici, reportage fotografici, documentari che ci dicono che è
possibile e che già succede. Senza enfasi e senza retorica ci raccontano la
complessità dei sentimenti e delle relazioni tra tutti i soggetti coinvolti, i
duraturi legami di affetto, la trasparenza con i bambini a cui viene detta la
verità sull'inizio della loro vita, senza segreti né sotterfugi, e il continuo
interrogarsi su cosa è giusto e cosa no.
Certo, la compravendita dei neonati e il
bieco sfruttamento economico di donne povere da parte di coppie ricche esiste,
e non solo nel campo della maternità surrogata. Ma di questo dovrebbero,
devono, occuparsi le leggi. Se si regolamentano queste vicende con leggi
ispirate a principi di eticità, di tutela dei diritti e di rispetto della
libertà delle persone, forse si può evitare il Far West, dove chi è più
prepotente e ricco vince.
In Italia la pratica è vietata. Nel
mondo, nella stessa nostra Europa, ci sono paesi in cui la maternità surrogata
è permessa ed esiste una legislazione in materia volta a regolare il processo e
a tutelare tutti i soggetti coinvolti, paesi in cui è poco regolamentata pur
essendo permessa e paesi in cui è vietata. Paesi in cui possono accedere solo
coppie eterosessuali e altri in cui possono accedere anche omosessuali e
single. Paesi in cui è retribuita, altri in cui è previsto un rimborso spese e
altri in cui è permessa solo a titolo gratuito. Paesi che danno la cittadinanza
ai bambini, altri che invece no, e paesi dove la pratica è accessibile solo ai
propri cittadini (l’India della puntata di Report ha chiuso nel 2015 le porte
agli stranieri).
Nel dibattito italiano, tanti che si
dichiarano fermamente contrari a questa pratica se remunerata, sono invece
favorevoli se la persona che si offre è la madre, una sorella, una cara amica.
“Penso che sia bellissimo che una sorella, un’amica cara,
una madre possa
farmi il grande dono di
portare, nutrire e fare crescere dentro di sé una creatura che sarà mia, se mi
trovassi nella triste condizione di non poterlo fare. Il bambino che nascerà
riceverà un racconto di generosità che lo impegnerà alla gratitudine, il
sentimento più civilizzatore che ci sia. Chi l’avrà messo al mondo resterà
sotto i suoi occhi, non sparirà. Parole, gesti, sguardi, intrecci. In questo
caso l’utero prestato sarà un’esperienza di bene puro, quello vero, quello
disinteressato, che farà crescere tutti coloro che ne sono coinvolti”.[7]
Tuttavia il caso di Novella Esposito ci
dice come i confini di ciò che ci sembra lecito possano spostarsi in breve
tempo. Novella aveva perso una bambina durante la gravidanza, ebbe gravi
complicazioni e le asportarono l’utero e un ovaio. Nel 1993 tentò di avere un
figlio grazie all’utero della propria madre. Fu attaccata e biasimata da tutte
le parti, da monsignor Ersilio Tonini, dal
presidente del comitato di bioetica e dal mondo politico: stava facendo
qualcosa d’innaturale e desiderava solo un clone di sé stessa. Sono bastati
poco più di vent’anni per vederla diversamente e una
madre che si offre di fare la gravidanza al posto della figlia, non per vezzo,
già sembra una cosa accettabile e persino bella.
Le testimonianze a cui si può accedere sono
spesso di coppie omosessuali, non perché siano soprattutto omosessuali coloro
che diventano genitori in questo modo, anzi al contrario, ma perché loro non
potrebbero nasconderlo, nemmeno se lo volessero. Così rivendicano la loro
scelta, che non nasce da un problema di salute o d’infertilità, e ne parlano
con la volontà di condividere la loro esperienza per cambiare il sentire
comune. Da parte delle coppie eterosessuali c'è una maggiore riservatezza, o un
pudore che a volte sconfina in un senso di menomazione di cui vergognarsi.
Negli Stati Uniti e in Canada le agenzie
si occupano di mettere in contatto le coppie con le donne disponibili a portare
avanti la gravidanza, ma sono le donne a scegliere la coppia e non recidono i
rapporti dopo la nascita. Sono già madri e non sono povere o sprovvedute. Per
quanto possa apparire incomprensibile, fanno una scelta. In questi paesi la GPA
esiste, se ne parla, ci sono tante donne che la fanno ed è dunque concepibile,
una delle tante scelte plausibili che si possono fare. [8]
La regista Delphine Lanson ha seguito la
storia di Jérôme e François, e ne ha
fatto un documentario. Un lungo e intenso percorso, un intreccio di relazioni
con Coleen, quella che io preferisco chiamare madre di gestazione, con il marito e i loro figli.[9]
Contrariamente a quello che alcuni credono, non funziona che basta pagare e ti
viene consegnato un frugoletto strappato dalle braccia della madre.
I linguisti ci dicono che l'uso di una
nuova parola raggiunge il suo apice dopo circa trent'anni dalla sua nascita,
praticamente il tempo di una generazione umana, e questo ci dice qualcosa anche
rispetto al tempo di assimilazione di nuovi concetti: quello che abbiamo
conosciuto da bambini diventa il nostro standard di riferimento, quello che
tendiamo a considerare "normale" o perlomeno accettabile. Così ci
mancano le parole per definire esperienze tutto sommato pionieristiche, e i termini
utero in affitto, madre surrogata o
portatrice mi sembrano tutti orribili. Credo che madre di gestazione sia dignitoso e corretto: se possiamo dire che
il padre della psicanalisi è Freud o che tutti abitiamo la Madre Terra, non
vedo perché dovremmo farci problemi a dire madre
di gestazione.
Noi umani trascorriamo nel ventre
materno nove lunghissimi mesi, sicuramente non ci immaginiamo di dovere
lasciare l’unico mondo che conosciamo, e ci relazioniamo con quel corpo che ci
ospita senza la consapevolezza che un giorno quel corpo e quella voce e quel
battito cardiaco saranno altro da noi, senza la consapevolezza che lasceremo
quella beatitudine. In quei mesi passiamo dall’essere un grappolo di poche
cellule al diventare un essere umano, si sviluppano i nostri sensi e il sistema
nervoso, sogniamo, ci muoviamo e reagiamo agli stimoli.
Vedo la madre di gestazione come una
traghettatrice, più che come una donna che abbandona il figlio. Che lo faccia
con amore, prendendo a cuore il bambino che sta nutrendo fisicamente ed
emozionalmente nel suo ventre, mi pare sia auspicabile e non così improbabile,
come possiamo desumere dalle parole di tante di loro.[10] La
maternità surrogata interrompe la relazione cresciuta in nove mesi di
gravidanza, ma quel bambino nasce grazie alla madre gestante, grazie a dei
genitori intenzionali che lo hanno fortemente voluto e grazie anche alla
famiglia della gestante che crea lo spazio necessario affinché questa nascita
avvenga. E’ un grembo simbolico forse azzardato, o forse semplicemente bello, ricco
di relazioni inedite e vitali.
Preoccuparci
del benessere del nascituro è primario, ma cerchiamo di non dare per scontato
di sapere già tutto.
Nel mondo in cui viviamo, occorre dare
risposte ragionevoli al mondo che cambia, senza arroccarsi su concetti prêt-à-porter,
senza tagliare le cose con la motosega dell’ideologia. La biotecnologia è una forza possente, con il
suo strapotere economico, le sue promesse, le sue chimere, i suoi grandi
benefici e i suoi grandi rischi. La trasformazione in atto è irrevocabile, e
riguarda il modo in cui si viene al mondo, l'immagine di famiglia e il concetto
stesso di filiazione. Non dobbiamo accettare tutto passivamente e
incondizionatamente, né possiamo tornare indietro. Possiamo solo provare a
imparare a lavorare insieme a questa forza, anziché contrastarla.
Spostare
i limiti procreativi può consegnarci nelle fauci ingorde delle biotecnologie,
ma può anche portare gioia, piacere, amore, e incoraggiare nuove
consapevolezze. Continuiamo a interrogarci su come salvaguardare il benessere
delle donne, degli uomini, dei bambini e delle bambine, ma cerchiamo di
adottare un pensiero ospitale e lasciamoci toccare dalle storie delle singole
persone di questa commovente umanità fragile e pur sempre piena di speranza.
[1] Dati ONU (Department of Economic
and Social Affairs
[2]
Dati European Society of Human Reproduction and
Embryology
[3] Barbara Duden, Il corpo della donna come luogo pubblico, 1994
[4]
Duccio Demetrio e Francesca
Rigotti, Senza figli, una condizione
umana, 2012
[5] Dati Istituto Superiore di Sanità,
Registro Nazionale PMA
[6] Loredana Lipperini, Di mamme ce n’è più d’una, 2013
[7]
Alessandra Bocchetti, Maternità
surrogata, la 27esima Ora, 5 gennaio 2016
[8]
Claudio Rossi Marcelli, Hello
daddy!, 2011
[9]
Delphine Lanson, Naître père, 2013
[10]
www.surromomsonline.com
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