venerdì 15 novembre 2013

Call the midwife....?



Allora, visto che ho scoperto che qualcuno pensa questo di me, vorrei chiarire: non sono una fanatica del parto in casa.
Questa è stata la mia esperienza, potente e significativa.  Amo di vero amore il parto nell'intimità e nel calore della casa e penso che andrebbe reso più accessibile e ripulito da toni terroristici fuori luogo. Tuttavia penso che ognuna dovrebbe poter scegliere di partorire nel luogo in cui si sente più protetta e più sicura, e non per tutte quel luogo è la casa. E penso pure che ognuna dovrebbe avere ben chiari quali sono i criteri perchè il parto a domicilio possa svolgersi in sicurezza.
Inoltre sono ben consapevole del fatto che la specie umana non ha la stessa facilità a partorire della specie scimmiesca. Quando una giovane anima candida mi chiede "ma perchè le donne oggi hanno paura del parto....?" mi si stringe il cuore. Non è mai esistito un bucolico passato in cui le donne non avevano paura di partorire, a meno che non risaliamo fino alla notte dei tempi, all'epoca in cui eravamo ancora quadrupedi e con il cervellino meno sviluppato di quello che abbiamo oggi. Mai sentito parlare di donne morte di parto....? Oggi in Italia è un evento davvero piuttosto raro, ma mica è così in tutto il mondo eh.....e poi certe cose le abbiamo ben stampate nella nostra memoria collettiva. Memoria a cui sarebbe bene essere connessi, anzichè favoleggiare un passato a piacimento delle proprie convinzioni.
Però sono una fervente sostenitrice della buona assistenza. Buona assistenza ostetrica innanzitutto.

Ho partorito con un'ostetrica della vecchia scuola, un po' rude, che non concepiva che si potesse partorire in una posizione diversa dalla litotomica, ovvero la peggiore di tutte, e quando la testa del bambino usciva non era capace di non intervenire nel disimpegno delle spalle. A malapena aveva accettato che il cordone è meglio tagliarlo quando ha smesso di pulsare. Ti rifilava con disinvoltura un Buscopan o un ansiolitico se lo riteneva necessario.
Non sapeva il significato della parola empatia.
Empowerment non avrebbe nemmeno saputo pronunciarlo e andava fiera del suo linguaggio medico e tecnico, perchè dimostrava che lei aveva studiato e che era competente. Non parlava di accoglienza ma solo di assistenza, "noi abbiamo il dovere di dare assistenza" diceva.
Eppure le cose le sapeva dire, e non ti feriva mai.
Diceva che non bisogna minimizzare il dolore di una donna. Sapeva essere rassicurante senza mai negare quello tu sentivi. Sapeva suggerire delle cose senza opporsi ai tuoi desideri, alle tue fissazioni o al tuo sentire. Sapeva dirti che andava tutto bene, che il tuo modo di affrontare le cose andava bene perchè era il tuo, sapeva stimolare pensieri positivi e farti sentire di essere capace.
Ti accoglieva con un bel sorriso, ti faceva ridere e ti diceva che ci vuole pazienza, ma che sarebbe andato tutto bene. Che se ci fossero stati dei problemi lei ti avrebbe accompagnato in ospedale, in buone mani, e sarebbe stata con te. E tu sapevi di essere in buone mani, mai da sola.

La buona assistenza dovrebbe essere rispettosa e senza fretta, e lo sappiamo. Dovrebbe tutelare la salute con scrupolo, e lo sappiamo. Dovrebbe essere accogliente e non direttiva, e lo sappiamo. Dovrebbe parlare con parole chiare, e lo sappiamo.
La buona assistenza dovrebbe però anche prescindere dal proprio modello ideale di travaglio e di parto, e non sono così sicura che lo sappiamo.
E' un errore mettere al centro un modello, quando il modello di riferimento è quello iper-medicalizzato, con la donna silenziosamente soggiogata dall'autorità sanitaria, circondata da tante macchine che fanno ping.
Ma è un errore anche quando il modello di riferimento è Michel Odent e la regressione in solitudine allo stato primordiale, oppure il parto orgasmico con le candele e i canti mantrici.
Take care..... senza peccare di vanità.





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