sabato 7 aprile 2012

Ancora sulla placenta

immagine tratta da "Placenta, the forgotten chakra" di Robin Lim


E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d'una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

Cosa c’entra la canzone di Fabrizio De Andrè con la placenta? In effetti niente, ma quel “segreto che si svela quando lievita il ventre” mi fa pensare al fatto che la gravidanza è uno stato in cui si sfiora il mistero, e che dunque è un momento in cui sono importanti tante cose, anche la bellezza che nutre lo spirito, anche qualcosa che sia fonte d’ispirazione. Qualcosa che solleva i pensieri e attiva la fantasia. Il legame con la placenta, archetipo della nostra cultura, è un ponte con il mistero della venuta al mondo. Pur non essendo placentofagi,  per millenni ce ne siamo presi cura.

“Così intima è considerata l’unione dell’uomo con la sua placenta e con il cordone ombelicale, che le buone e le cattive fortune di ciascun individuo si suppongono collegate per tutta la vita con l’una o con l’altra di queste porzioni della sua persona, così che, se il suo cordone ombelicale viene conservato e trattato bene, l’individuo sarà felice; ma se viene danneggiato o perduto, egli ne soffrirà in conseguenza” (James Frazer, Il ramo d’oro)
La placenta è una parte del corpo, non solo della madre, non solo del bambino. La fase del secondamento ha sempre qualcosa di magico, perché la vedi e sai che è quella cosa che ha permesso al bambino di crescere, perché ha una forma davvero meravigliosa, perché l’ostetrica la scruta con serietà e attenzione per vedere che sia tutta intera, un insieme di gesti rituali che si ripetono sempre uguali.


Come non comprendere che ci possa essere il bisogno di mantenere un legame, il bisogno di trattarla con tenerezza, con rispetto?
Essere nato con la camicia è ancora oggi sinonimo di persona fortunata, e letteralmente significa essere nato portandosi dietro il sacco amniotico. In Friuli, dove nel medioevo c’era il culto dei Benandanti,  si raccontava che questi fossero persone speciali venute alla luce con un lembo di placenta, considerata sede dell’anima. Per questa ragione, si diceva, i Benandanti erano provvisti di poteri contro gli spiriti distruttori dei campi e contro fatture e malocchi perpetrati dalle streghe. Per mantenere il loro potere, dovevano però stare ben attenti a non fare cadere in mani nemiche il piccolo ritaglio di placenta essiccata che portavano addosso, nello scapolare.
Nei geroglifici dell’antico Egitto, possiamo vedere il Faraone che porta in processione la propria placenta, ancora legata a sé dal funicolo.
Il cordone è considerato ancora oggi, nel linguaggio comune, il simbolo del legame per eccellenza, e “tagliare il cordone” significa recidere un legame profondo e spesso asfissiante (infatti c’è un tempo per essere legati alla madre e c’è un tempo per separarsi).
Ibu Robin Lim ci racconta moltissime leggende nelle quali la placenta viene dipinta come un angelo che protegge e si prende cura del bambino per tutta la vita. La placenta, dice, è come un gemello, con cui condividiamo il codice genetico, ed è una presenza essenziale per la nostra vita su questa Terra, è la compagna della nostra vita spirituale.
Sotterrare la placenta è un’usanza piuttosto comune nel mondo, senza bisogno di risalire al medioevo. Non siamo gli stessi uomini e le stesse donne di un tempo, e personalmente ne sono felice, però cancellare con un colpo di spugna millenni di cultura…. mi disturba.  Anch’io ho sotterrato le placente dei miei figli, e conservo ancora i monconcini mummificati dei loro cordoni.
Per qualcuno certe parole odorano troppo di cultura arcaica, e un poco anche per me. Ma non emarginiamo troppo l’invisibile, teniamocelo caro.

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