foto di Ferdinando Scianna
Ho letto questo racconto che consiglio a tutti, mica inventato, come dichiara l'autrice, e non ho motivo di dubitarne.
Mi piacerebbe poter dire "ma dai, che fantasia!", invece le credo senza difficoltà. E se i responsi dei medici delle prime due strutture a cui questi genitori si sono rivolti, e la superficialità con cui hanno trattato il caso, e i tempi biblici per dare un responso, se insomma tutte queste cose mi indignano, quello che più mi fa pensare è la concezione patologizzata in cui viviamo immersi come olive nella salamoia. Di certo la maestra era in buona fede, sinceramente preoccupata.
Se un bambino è intelligente, chiuso e pedante, si pensa a una sindrome di Asperger. Se è un terremoto ha di certo la sindrome ipercinetica. Se vive tra le nuvole ha un deficit d'attenzione. Se un'adolescente mangia poco e assomiglia a una scopa vestita, oddio sarà anoressica. Se divora pasticcini e panini, sarà mica bulimica? Ho sentito dire, da un'infermiera di un reparto maternità, a una donna con un neonato di due giorni che il suo bambino aveva la "tipica sindrome di rifiuto del seno". Se una donna piange spesso durante il puerperio, ha la depressione pstpartum.
Conosciamo meglio il significato di queste parole che definiscono patologie, piuttosto che parole antiquate come malinconia, ardore, tristezza, eccitazione, svogliatezza, inquietudine.
Mi viene in mente un racconto di Michel Tournier che il mio amico Maurizio mi regalò tanti anni fa. Un delizioso libricino ben rilegato, dal titolo "Un bebè sulla paglia", che narra di come il Presidente francese sia preoccupato della medicomania che affligge il paese. Ovvero della tendenza delle persone a pensarsi come un cumulo di patologie, sempre più dipendenti da farmaci e terapie, tanto da rischiare di dilapidare l'intero patrimonio della nazione in spese sanitarie. Il Presidente decide di rivolgersi al vecchio medico di campagna che lo aveva curato da bambino, e che era presente alla sua nascita, per chiedergli come, a suo parere, si possa risolvere questo problema.
Il vecchi medico risponde al Presidente, con una lettera bellissima che non posso trascrivere per intero, altrimenti mi si inceppano le dita sulla tastiera, nella quale identifica la causa di tale medicomania, clinicomania, farmacomania, nell'usanza di far nascere i bambini, anche quando non ce ne sarebbe motivo, in mezzo a odori di disinfettanti, rumori di strumentazioni elettroniche, circondati da persone in camice e col volto coperto da una mascherina antisettica. La lettera si conclude più o meno così: "La nascita, l’amore e la morte, non son malattie. Sono le tre grandi articolazioni dell’umano destino. Non è opportuno che i medici se le accapparrino. Cominciamo dunque a liberare le nascite dai miasmi farmaceutici che le avvelenano. Ecco ciò che propongo. Quando una donna sarà sul punto di diventare madre,sceglierà da sé, con la stessa libertà con cui sceglie il nome del bambino, l’ambiente naturale in cui desidera partorire e, di conseguenza, l’impronta natale che riceverà il suo bambino. Si farà di tutto perchè abbia una possibilità di scelta praticamente illimitata".
Un racconto delizioso, disseminato di piccole perle di saggezza, che arrivano dritte al cuore, come solo gli sguardi ingenui sanno fare.
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