domenica 8 febbraio 2015

Ah....davvero?

Gianna Nannini


di Marzia Bisognin


Un pomeriggio che sono pigramente seduta davanti allo scorrere della bacheca di Facebook, un amico mi segnala un articolo che già dal titolo mi fa formicolare la schiena "Non sappiamo più diventare madri".  Apro il link e faccio un salto sulla sedia.  Cavolo, lo ha scritto Silvia Vegetti Finzi, tanto scemo non sarà. E invece lo è, davvero non mi capacito. Invito anche voi ad aprire il link, magari io ho preso un abbaglio.

Non sappiamo più diventare madri fa presupporre che ci sia stato un tempo in cui avevamo questa sapienza.  Ma quand'è esattamente che le donne sapevano diventare madri? Forse un secolo fa, quando eravamo una società rurale e povera e le donne erano dipendenti dagli uomini? All'epoca le madri avevano la vita dura, non so se sapevano diventare madri visto che  uno dei nomi che si usava dare in Romagna alle neonate era Antavleva (non ti volevo). Oppure quando si è consacrata la famigliola borghese, con la donna tutta dedita a lucidare i pavimenti dove poggiavano i piedi dei suoi cari? O quando le madri un po' strampalate venivano messe in manicomio? 
Quand'è questo mitico passato che dovremmo guardare come esempio? Dovremmo risalire al Neolitico? 
Insomma quando, qualcuno lo sa?

E che cosa significa saper diventare madre? Io avevo inteso che significasse aprire il proprio cuore e il proprio corpo, accettarne la vulnerabilità e le ombre, imparare a prendersi cura di un figlio senza commettere il peccato di considerarlo una propria proprietà privata.
Invece dovremmo rimpiangere il tempo in cui le bambine si stringevano al petto il bambolotto simil-bebè? Davvero quello serviva a diventare madri? Ma non avevamo detto che volevamo uscire dagli stereotipi di genere? Cosa mi sono persa?

Ah, ecco un chiarimento: "molti ginecologi dicono che le donne spesso fanno movimenti contrari all’efficienza dell’espulsione e del travaglio". 
Ah davvero, molti ginecologi dicono così? Allora Silvia, te lo spiego io. Molti ginecologi non hanno la minima idea di quali siano i movimenti fisiologici per un buon parto, e il fatto che abbiano usato l'orribile parola "espulsione" non fa che sottolinearlo. Ci hanno fracassato i nervi in anni e anni di "trattenga il respiro e spinga" alternato a "ma cosa fa, non deve mica trattenere il respiro!" oppure "stia ferma, faccia come le dico" su lettini concepiti per la comodità degli operatori anzichè per il buon andamento del parto. 
E no, non c'è bisogno di un'ostetrica che stia accanto al corpo della donna, ma di un'ostetrica che stia accanto alla donna. E' molto diverso. 

Le donne dovrebbero sapere tutto di gravidanza e parto? 
Correva l'anno 1949, mia madre rimase incinta senza nemmeno sapere come si rimaneva incinte, e quando infine partorì, la suocera tenne la lampada in mano per far luce all'ostetrica, ma sempre con una mano sugli occhi per non vedere quella vergogna spalancata davanti.......se questo è saper tutto della gravidanza e del parto.....! 
Vabbè, per un po' ho pensato che la mia famiglia fosse particolarmente di strette vedute, ma poi mi sono presa la briga di approfondire l'argomento e ho capito che non è che le donne sapessero proprio tutto di gravidanza e parto, di sicuro non al primo figlio. Io stessa da adolescente non sapevo di avere una clitoride e una vagina.

Penso che in questi ultimi quarant'anni le donne abbiano fatto enormi passi avanti in tanti ambiti, uno dei quali è il rapporto con il proprio corpo. Noi e il nostro corpo era il titolo del libro scritto da un collettivo femminista di Boston, pubblicato in Italia nel 1974. Leggendolo, in tante impararono ad ascoltarsi, a sentire il corpo dall’interno dopo averlo studiato nei primi manuali di educazione sessuale. Impararono a parlarne a voce alta e rivendicarono il diritto ad avere un corpo. Cercarono di sottrarsi ai ruoli imposti, e anche nel rapporto con gli uomini qualcosa di sostanziale iniziò a cambiare. 
Le bambine e i bambini nati in quegli anni hanno in un certo senso ereditato i risultati di quell'esperienza, e il rapporto di vicinanza corporea che tanti giovani padri hanno con i neonati ne è forse il segno più forte e più bello.

Certo, non è stato un percorso lineare. Certo, la modernità ha stravolto l'immagine interiore che abbiamo del nostro corpo. Certo, questa modernità ci allontana dall'esperienza corporea. Certo, oggi nascono pochi bambini e spesso si diventa madri senza mai avere visto da vicino un neonato. Ma se oggi possiamo desiderare che la gravidanza non sia svuotata del suo contenuto psichico, emozionale e spirituale, è perchè abbiamo scoperto che quel contenuto esiste. Se ci interroghiamo sull'importanza del modo in cui si nasce e di come si viene accolti in questo mondo, è perchè abbiamo maturato qualcosa.

Sì, serve ripensare all'educazione. Ma più che a un'educazione alla maternità penserei a un'educazione alla corporeità, all'affettività, all'ascolto.
Sì, dovremmo saperci prendere cura di chi nasce e di chi mette al mondo. Dovremmo saper costruire lo spazio per proteggere quei primi irripetibili momenti. Però accidenti....che sentenza dire che senza questo riconoscimento noi non siamo niente......
Ma proprio niente?







2 commenti:

  1. Cara Marzia, ho letto il post di Silvia e non mi sono scandalizzata così tanto.
    Sono d'accordo anche con le tue osservazioni, ma anche con quelle di Silvia Vegetti Finzi, e te lo dice una mamma di 4 figli che non ha mai giocato nè con bambolotti nè con Barbie perchè ero un "maschiaccio", e leggevo libri della Giannini Belotti.
    Penso che sia vero, che molte donne non sono a contatto con il loro corpo.
    Che molte persone non sono a contatto con il loro corpo.
    Che la gravidanza è uno stato di grazia, una occasione per ricontattare se stesse, il proprio bambino interiore, anche i propri vissuti dolorosi però ed è per questo che a volte scappiamo.
    Penso che vedere donne consapevoli e circondarsene, a partire dal concepimento e dalla gravidanza sia uno stimolo continuo a crescere in consapevolezza e amore di sè...del proprio compagno , dei propri figli, scegliendosi e crescendo insieme a un compagno consapevole a cui la madre non porta via gioie e responsabilità di padre per una antica divisione di compiti e di generi (che pure ci sono e sono diversi....ma non così come secoli fa).
    Grazie della condivisione, e grazie dello stimolo alla lettura, però si, secondo me hai preso un abbaglio....ma almeno ne possiamo parlare ;)

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  2. cara Madre Natura, ci siamo scambiate un commento su facebook, ti rispondo anche qui.
    Non ho preso un abbaglio, semplicemente non sono d'accordo con Silvia Vegetti Finzi. O meglio, concordo solo su alcune cose: concordo sulla poca consapevolezza del proprio corpo e sull'importanza dell'ascolto e di proteggere il momento della nascita. Quello che contesto è la visione apocalittica in contrapposizione a un mitico passato che non esiste (sempre che non si vada nell'ancestrale, ma allora occorre chiarirlo), e il non riconoscimento di un panorama inedito in cui le donne possono dare tanta importanza al vissuto intrinseco della maternità. Proprio come stiamo facendo anche in questo scambio. Sfido chiunque a trovare un epoca del passato in cui accadeva questo. Questo mancato riconoscimento è purtroppo molto diffuso.
    E poi diffido profondamente delle visioni apocalittiche... le trovo false e ingenerose, e mi sembra meglio puntare sulle risorse.

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