giovedì 28 giugno 2012

Socrate e Paul McCartney

Paul McCartney con la madre Mary e il fratello

 Socrate, si sa, era figlio della levatrice Fenarete. Dall'arte della madre imparò tanto e, così come lei aiutava le donne a partorire il bambino,  lui si fece inteprete di un modo per portare alla luce la verità profonda del discepolo. Il metodo socratico, appunto, ovvero la maieutica, l'arte di aiutare a partorire il proprio pensiero, anzichè cercare di indottrinare con il proprio.
Ebbene, oggi ho scoperto che anche il grande Paul McCartney è figlio di una levatrice. Spero che Socrate, dal suo beato aldilà, non me ne voglia per avere azzardato tale comparazione.
E oggi ho colmato anche un'altra mia imperdonabile lacuna: Let it be, scritta da Paul nel 1970, parla proprio della madre Mary. E' lei che, nei momenti bui, nelle ore difficili, dice "let it be".
Secondo l'autrice del blog Salagadoula Magicadoula, che mi ha salvato da questa ignoranza, fu la professione di ostetrica a insegnare a Mary l'importanza di lasciare andare tutto. L'importanza di lasciare che le cose accadano, let it be.
Chissà se il vecchio Paul voleva davvero dire questo, ma è bello pensarlo.

Paul McCartney padre

martedì 19 giugno 2012

Storie di nascite

foto di Keri Duckett


Oggi ho ricevuto un bellissimo regalo: la scoperta del sito di Birth Photographers
Sono fotografi e fotografe che si approcciano a questo evento con sensibilità, che sanno comprendere il processo della nascita, e sanno essere partecipi e rispettosi nei confronti della madre e di tutti coloro che sono presenti sulla scena del parto. Sono cose che si intuiscono senza ombra di dubbio, guardando le foto.
Ogni nascita è un racconto che si srotola davanti ai nostri occhi. C'è fatica, emozione, dolore, gioia.  Il fotografo coglie il crescendo del travaglio, gli sguardi delle persone e il loro ruolo preciso, i dettagli della stanza, l'orologio che scandisce il tempo. Lo spazio pare essere attratto dalla forza gravitazionale del corpo della madre,  e infine il miracolo si compie: ecco il primo sguardo del bambino sul mondo, il suo primo respiro, e il volto della madre davanti a questo compimento.  Sono nascite del giorno d'oggi, ognuna diversa dalle altre, tutte degne di essere raccontate.
Ogni tanto, tra le foto montate in sequenza, ci sono alcuni secondi di video, per cogliere quegli irripedibili rumori che fa un neonato con pochi minuti di vita. Ci sono padri, doule, nonne, ostetriche, bambini, medici. Ci sono parti in acqua, in casa, in sala parto o in sala operatoria. C'è anche il racconto struggente della nascita del  piccolo Miles, nato con dodici settimane di anticipo, narrata dalla fotografa Michele Anderson.
Bel lavoro!
Clicca per vedere:

The Birth of Sophie by Jeri Hoag
The Birth of Harleigh Rae by Keri Duckett
The Birth of Miles by Michele Anderson
The Birth of Maddie Rose by Lyndsay Stradtner
The Birth of Carter by Wendi Schoffstall
The Birth of Lola by Natalie Carstens
The Birth of Ephraim by One Tree Photography

Ma si possono vedere tante cose, e salpare verso altri interessanti lidi....

mercoledì 13 giugno 2012

L'importante è che il bambino stia bene


foto di Fausto Fabbri

Sgombriamo il campo da ogni possibile malinteso: ci sono, negli ospedali, tante ostetriche sensibili e accoglienti, tanti medici amabili, tanti chirurghi attenti a non darti un colpo di bisturi all’anima, tante infermiere che sanno illuminare la stanza con un sorriso.
Ma io sono stufa, arcistufa, di ascoltare dei racconti che sento come colpi di stiletto al cuore. Racconti di violenza ingiustificata. E violenza è la parola giusta.
E’ violenza quando non sai far sentire accolta una donna in travaglio, quando le fai sentire che è meglio per lei non dar fastidi
Quando la tratti come una povera incapace, senza padronanza del proprio corpo
Quando non le dai la possibilità di scegliere, nel caso possa scegliere, ovvero durante un travaglio e un parto che procedono fisiologicamente
Quando non le dai la possibilità di comprendere, nel caso non possa scegliere, ovvero quando sono necessarie procedure chirurgiche o farmacologiche
Quando non la ascolti e la ignori
Quando svilisci il suo dolore e i suoi bisogni
Quando ti dimentichi che sta vivendo un momento delicato e importante della sua vita
Quando le dici che “l’importante è che il bambino stia bene”
Quando non sai avere comprensione e non sai, almeno questo, scusarti. A volte sarebbe sufficiente.

domenica 10 giugno 2012

Ettore, che nacque quando c'era il terremoto



Questo bell'articolo, pubblicato da Repubblica il 7 giugno, è stato scritto da Simona Vinci.
Racconta della nascita di suo figlio nei giorni in cui l'amata Bassa ha smesso di essere un luogo placido e meravigliosamente piatto.
Ho seguito con particolare trepidazione l'attesa di questo bambino. Le parole facevano da ponte con una Simona irritata dai luoghi comuni sulla maternità, dissacratoria e ironica. La vedevo come un essere dotato di sensibili antenne, delicate e flessuose come quelle delle lumache, e per questo ho sempre pensato che lei si trovava al punto giusto nel momento giusto.
Benvenuto Ettore, e benvenuta Simonamammadiettore

LA MIA EMILIA. Mettere al mondo un figlio nei giorni del terremoto

Continua a leggere:
Simona Vinci - La repubblica - 7 giugno 2012
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venerdì 8 giugno 2012

Non si muove foglia che Dio non voglia

Elisa e Silvia sono mamme di un bambino di quattro mesi, Martino. 
Fanno parte dell'associazione Famiglie Arcobaleno, e vivono a Bologna nel quartiere Bolognina.
Intervista a Elisa Dal Molin, che ringrazio di cuore

foto di Anthony J

All’interno di Famiglie Arcobaleno c’è una rete di sostegno, quando nasce un bambino?
Generalmente si entra in Famiglie Arcobaleno quando si ha voglia di avere un bambino, e la prima cosa che si fa è chiedere informazioni sulle cliniche e sui vari percorsi da seguire. Qualcuno è già andato lì? Qualcuno ha già preso questi farmaci? Qualcuno mi sa consigliare un posto piuttosto che un altro? E da questi scambi iniziano subito a nascere dei rapporti di amicizia, perché di Famiglie Arcobaleno ce ne sono tantissime. Generalmente, quando una persona arriva all’associazione pensa di essere da solo o quasi, poi scopre di essere in buona compagnia. Ad esempio, qui nella nostra strada, che è una piccola strada di quartiere, per un periodo ce n’erano tre di Famiglie Arcobaleno.
Quando poi nascono i bambini resta questo rapporto molto forte, fatto anche di informazioni per cercare di sfuggire il lato brutto della burocrazia. Noi abbiamo un sacco di problemi burocratici legati al mancato riconoscimento, dunque serve avere le informazioni sulle esperienze delle altre famiglie, per sapersi muovere. Che può essere: “come devo compilare il modulo dell’asilo nido perché a tutti i costi vogliono che io metta il papà?” In genere sono problemi che si risolvono andando a parlare personalmente con i responsabili, e a secondo delle città, delle regioni, ci sono situazioni più o meno avanzate.
Invece della parola papà si potrebbe mettere “genitore uno” e “genitore due”, che è molto più neutro e permetterebbe di comprendere anche le famiglie ricomposte, ad esempio. Non si tratta solo di tutelare le famiglie omogenitoriali, perché ci sono situazioni in cui la definizione papà e mamma può avere un significato non del tutto chiaro, perché il bambino può vivere con la mamma e il nuovo compagno…. Insomma, in Famiglie Arcobaleno trovi qualsiasi tipo di informazione per qualsiasi problema. Non so, è meglio andare al Maggiore o al S.Orsola, dov’è che non si fanno tanti problemi? E il pediatra, chi è più frendly?  E per fare il passaporto? Tutto questo genere di informazioni io le ho avute attraverso Famiglie Arcobaleno. 

Com’è stata la tua gravidanza?
Il mio percorso è stato assolutamente normale, come qualsiasi donna incinta, ho fatto il corso pre-parto al poliambulatorio di via S.Isaia, dove erano tutte coppie etero, io e la mia compagna lo abbiamo fatto insieme a tutte le altre coppie e non c’è stato alcun tipo di problema. Diciamo che il mondo reale è molto più avanti del mondo istituzionale. A parte il primo momento, non dico di imbarazzo, ma comunque di stupore dell’ostetrica che teneva il corso, non ci sono stati problemi, anzi forse c’è stato un pensiero particolare perché era la prima volta che le capitava una coppia di due donne, e quindi non sapeva esattamente che parole, che termini usare, per cui diceva “il papà… o la compagna…. o il compagno” e così cercava un po’ di rimediare alla naturalezza di dire la mamma e il papà. Si capisce, non c’è questa idea che una coppia di soli uomini o una coppia di sole donne possano avere un figlio. Però a parte questi svarioni linguistici, che il più delle volte rientravano, non ci sono stati problemi né da parte dell’ostetrica, né da parte delle altre persone che frequentavano il corso. Con alcuni ci siamo anche mantenuti in contatto, per fare il corso di massaggio infantile.

martedì 5 giugno 2012

Eugene e Maude

Quando Eugene Smith decise di fare un reportage sulle levatrici, si orientò verso la Carolina del Sud.
Si documentò in maniera meticolosa. Studiò i rapporti del distretto sanitario che provavano il ruolo essenziale, sia a livello medico che sociale, svolto dalle levatrici in seno alla comunità nera della regione, la più povera e priva di mezzi. Per capire la professione, studiò i manuali d’istruzione destinati alle levatrici e cercò di prendere dimestichezza con le cure prestate ai neonati. Infine, nel 1951, si recò nella Carolina del Sud per cercare la sua levatrice ideale, quella da seguire per realizzare il suo reportage.
La trovò in Maude Callen, una donna dal corpo solido e lo sguardo attento e buono. La seguì nel suo lavoro, la osservò, la fotografò, parlò a lungo con lei e annotò su un taccuino le condizioni in cui esercitava il suo mestiere. Condizioni segnate dalla povertà e dal razzismo.
Le foto sono magnifiche, e parlano a chi le sa guardare.
Il reportage fu pubblicato su Life il 3 dicembre 1951 ed ebbe uno straordinario successo. La conseguenza fu una raccolta di fondi per la costruzione dell’ospedale che Maude aveva sempre sognato, e che fu da lei inaugurato nell’aprile 1953.