lunedì 19 dicembre 2011

Caro Babbo Natale, porta una doula!


Sta per nascere il tuo primo nipotino? Hai un'amica incinta? Un'amica con un bebè? Ti chiedi cosa regalarle?

REGALA UNA DOULA!!

La presenza a domicilio di una persona di fiducia, professionale, pronta ad ascoltare, sostenere e mai giudicare può essere davvero un grande aiuto.
Un prezioso aiuto durante il travaglio, oppure nei giorni immediatamente seguenti il parto quando cambiamenti di ordine fisico, organizzativo e psicologico, uniti alle nuove responsabilità nei confronti del nuovo nato, possono mettere in seria difficoltà entrambi i genitori.
E se la mamma sei tu, chiedi a Babbo Natale il supporto di una doula !

lunedì 12 dicembre 2011

Oggi sono felice !


Stamattina mi sono svegliata, con il caffè in mano mi sono messa davanti al computer e ho visto la notizia che aspettavo impaziente da ieri: Ibu Robin Lim ha vinto il CNN Hero 2011.

Davanti alle sue lacrime di commozione durante la cerimonia di premiazione, ho pianto anch'io.

Grazie a tutti quelli che con il loro voto hanno contribuito a questa vittoria, che è una vittoria per tutte le ostetriche, per tutte le donne, per tutti coloro che hanno a cuore la salute delle madri e dei bambini.

Tra le lacrime, Robin ha detto “Oggi nel mondo sono morte di parto 981 donne nel fiore della loro vita, lo stesso succederà domani ed è successo ieri. Non sappiamo nemmeno quanti siano i bambini che perdiamo... Ma tutti noi possiamo contribuire a cambiare questo stato di cose”

Sono ancora così emozionata, che non so cos'altro dire.....! Grazie, grazie, grazie!


sabato 10 dicembre 2011

Vivere secondo natura


Orpo.... ! La notizia mi è saltata all'occhio.
La signora Michelle Duggar, che stava per aggiungere il ventesimo figlio ai già presenti diciannove, non ce l'ha fatta. Il bambino se n'è andato prima di nascere.

Dico, ma ci rendiamo conto di cosa significa avere diciannove figli a 45 anni? Significa che quando hai finito di allattarne uno, sei già incinta dell'altro. Significa che ne hai tre in contemporanea che hanno ancora il pannolino. Significa che non fai altro che fare figli....Questo sì che si chiama vivere secondo natura, senza fingimenti !
Ehm....commenti.....?

venerdì 9 dicembre 2011

La doula legge Elizabeth Badinter


Ne ho lette di tutti i colori sul libro di Elizabeth Badinter, dal titolo “Le conflit. La femme et la mère ”, infelicemente tradotto in “Madri cattivissime?”.
Personalmente l'ho trovato interessante, intelligente e ricchissimo di cose che fanno pensare, anche se tanto è quello che non condivido.
Il libro analizza, con puntiglio e precisione da storica, la profonda crisi d’identità della donna contemporanea, combattuta tra il desiderio di maternità e il bisogno di realizzarsi professionalmente. .
La maternità e le virtù che presuppone, dice a pagina 18, non vanno di pari passo, per naturale automatismo. Oggi non più di ieri, quando era un destino obbligato. Potere scegliere di essere madre non garantisce, come si era creduto all'inizio, una maternità migliore. Non solo perché la libertà di scelta è forse un'illusione, ma perché appesantisce il peso delle responsabilità: più si è liberi di scegliere, più si hanno responsabilità e doveri. Alla buona madre non è concessa l'ignoranza, la distrazione, l'ambivalenza.
In una civiltà che mette l'individualismo e l'appagamento personali al primo posto, prefiggersi di essere una buona madre può rivelarsi un obiettivo molto, troppo ambizioso, perché il modello è più esigente che mai.
E fin qui, non posso che essere d'accordo.
Da pagina 33 parte l'offensiva contro il naturalismo militante, la brava madre ecologica che odora di sapone di Marsiglia, e la riscoperta dell'istinto materno. Contro quel fondamentalismo che va a braccetto con l'idea che un giorno Madre Natura punirà i suoi figli, e che fa sentire in colpa le donne che non hanno partorito “secondo natura”.
E anche qui sono sostanzialmente d'accordo. Però è proprio in questa parte che arriviamo noi, le doule.
A pagina 38 parla delle donne che decidono di partorire in casa, senza dottori, con una levatrice e con un nuovo aiuto: la doula.
Qui ci troviamo di fronte ad una traduzione tendenziosa. Sage-femme, la parola francese utilizzata dalla Badinter, significa ostetrica (ovvero colei che ha un diploma di ostetrica, conseguito dopo anni di studio e tirocinio ospedaliero). Sage-femme viene definita anche la donna che nei tempi antichi seguiva il parto, con competenze acquisite sul campo, magari analfabeta. In italiano, la parola levatrice definisce solo quest'ultima figura, mentre ostetrica è colei che ha un diploma universitario con tirocinio ospedaliero. Tradurre sage-femme con levatrice associa quindi il parto in casa e la doula all'approssimazione, alla mancanza di competenza, alla superstizione. Dunque, mettere insieme parto in casa – senza dottori – levatrice – doula, significa mettere tutti sotto una certa luce. Un po' è il pensiero dell'autrice, un po' è l'ulteriore forzatura della traduttrice.
A parte il fatto che il parto in casa oggi non ha niente a che vedere con quello di un secolo fa (ovvero le ostetriche sono ostetriche e non mammane ignoranti) la doula non è colei che assiste solo i parti in casa, o colei che assiste solo le donne che fanno scelte “naturaliste”.
Poi certo, ci sono alcuni casi di donne che scelgono di partorire con la sola assistenza di una doula. Ma, come dice l'ostetrica Laura Castellarin, questo equivale a partorire da soli, e chi accetta un parto senza assistenza ha motivazioni che esulano da queste riflessioni.
La doula è a fianco della donna, la supporta emotivamente e praticamente. Lavora con lei e per lei. Affinché non si senta sola, affinché possa fare le sue scelte, affinché siano scelte davvero libere e consapevoli. La doula risponde ad un bisogno attuale, che ogni discussione sul piano ideologico tende ad ignorare, ovvero al bisogno che nasce dalla realtà di molte sale parto in cui le donne sono abbandonate a loro stesse, dal vuoto assistenziale che c'è in puerperio, dalla scarsa disponibilità di percorsi di continuità sin dalla gravidanza.
La doula insomma è la doula di tutte le donne che la desiderano. Che partoriscano in casa, in ospedale, senza farmaci, con epidurale, con taglio cesareo, che allattino al seno oppure no, che portino il bambino nella fascia o in passeggino.
Se e quando la doula è anche una attivista, ovvero se si batte per un cambiamento culturale nell'ambito della maternità, qualsiasi esso sia, lo fa al di fuori della sua attività. Sicché non cercherà di convincere una donna a fare una cosa anziché un'altra, non cercherà di farle cambiare idea.
A pagina 39, leggiamo poi che la formazione della doula è essenzialmente la sua esperienza personale di madre, completata da conoscenze di fisiologia della gravidanza, della nascita, dell'allattamento.
Non è vero, la sua formazione è essenzialmente il lavoro su se stessa per affinare la sua capacità di mettersi in relazione, di essere empatica, di stabilire un clima di fiducia. Attraverso impegno personale, incontri, letture e seminari, non smette di aggiornarsi e mettersi alla prova, per continuare a imparare e per individuare dentro di sé aspettative e pregiudizi che potrebbero inquinare il suo lavoro. Le conoscenze di fisiologia sono secondarie, perché non è suo compito. Semmai suo compito è avere una buona conoscenza delle strutture e delle professionalità presenti sul territorio, per offrire buona informazione.
Tutti i codici etici che le associazioni di doule nel mondo si sono dati, dicono queste cose.
E inoltre si può essere ottime doule anche senza avere mai avuto figli, cosa che del resto vale anche per le ostetriche o qualsiasi altro operatore della nascita.
Intendiamoci, la Badinter dedica poche pagine all'argomento, ma a me preme particolarmente.
Su una cosa però il libro mi ha delusa. Leggendolo in una prospettiva propositiva, aperta sul futuro, mi è sembrato di fare un salto all'indietro nel tempo, quando il movimento delle donne vide nella lotta per avere gli asili Nido, la parità domestica e sul posto di lavoro, il diritto all'aborto, le battaglie su cui concentrarsi. La maternità rimase perlopiù esclusa, come fosse una scelta involuta e regressiva, di cui valeva la pena occuparsi solo per liberarsene il più possibile. Così, abbandonata a sé stessa e a sparuti gruppi di battagliere, la maternità rimase sguarnita di pensieri, idee, discussioni, diventando terreno di pascolo di ideologie che ricacciano la donna nel ruolo materno come massima realizzazione possibile: madre dedita, tutta enfasi, estasi e gioia.
Non ho trovato nella Badinter alcun accenno a questo “peccato d'origine”, e mi è sembrato anzi che non faccia che ribadire le stesse cose: Nido, lavoro e biberon. E questo mi ha davvero deluso. Possibile che non avesse nulla di nuovo da aggiungere? Possibile che non consideri anche questa una delle ragioni che hanno favorito quella che lei chiama "la santa alleanza dei reazionari"?
Su una cosa mi trovo invece incondizionatamente d'accordo con lei, forse anche per ragioni anagrafiche. Come sono lontani gli anni Settanta, quando si potevano vivere la gravidanza e la maternità con noncuranza e leggerezza! Sì, perché il piacere e la gioia, richiedono anche una certa dose di leggerezza...
....

venerdì 25 novembre 2011

aggiornamento su dove trovarlo


Attualmente il libro è in vendita:

  • Libreria Trame, via Goito 3/c, Bologna 
  • Il Melogranovia del Bersagliere 16 (zona S.Zeno), Verona
  • Ordinabile presso tutte le librerie Feltrinelli

domenica 20 novembre 2011

Pedalando in bicicletta


Dei tanti messaggi che ho ricevuto dopo la pubblicazione di “Volevo fare la Fulgeri”, desidero condividere questo:

“Sono una giovane ostetrica libera professionista di Mantova. Le scrivo per raccontarle che ho acquistato il suo libro al convegno organizzato da IRIS a Milano. L'ho letto tutto d'un fiato, ed era proprio quello di cui avevo bisogno; le avvincenti storie della sua vita e di quelle della Fulgeri mi sono state molto d'aiuto stanotte.....una mamma al suo primo bambino ha chiesto che l'accompagnassi in ospedale e che la sostenessi al momento del parto. Mentre in bicicletta mi avviavo verso l'ospedale mi immaginavo la Norma mentre si recava dalle future mamme. E' stata un'esperienza stupenda e vorrò ripeterla, perché ho imparato quanto sia fondamentale stare con le mamme in travaglio. Quando ero allieva ostetrica non avevo il tempo per prestare attenzione a queste cose, sempre di corsa, sempre con il desiderio di imparare ad assistere, vedere, fare. E mai stare ad ascoltare e capire cosa le coppie avevano da dirmi. Terminati gli studi, lavorando presso il consultorio, allontanandomi dall'ospedale (che in troppi momenti mi ha fatto mancare l'aria, facendomi sentire inadeguata), lavorando come libera professionista sto "rinascendo". Porterò sempre con me il suo libro e in ogni momento di difficoltà penserò alla Fulgeri.”

lunedì 10 ottobre 2011

dove trovarlo



Attualmente il libro è in vendita:
- on line
- alle librerie Feltrinelli (va ordinato)
- libreria Trame, via Goito 3 a Bologna
- Il Melograno di Verona - via del Bersagliere 16

domenica 25 settembre 2011

Tata Lucia, Alessandra Bortolotti e Gekina


Ieri sera ho visto il film di Polanski, Carnage, e ho pensato alla polemica che infuria sul web tra Alessandra Bortolotti, autrice della lettera indirizzata alla redazione di Mattino Cinque e firmata da un sacco di genitori e Paola Banovaz alias Gekina che ha scritto un post in “difesa” di Tata Lucia. Alle due si sono aggiunte decine e decine di persone che commentano con passione tutta la vicenda.
Tata Lucia mi ricorda un’infermiera che mi faceva trangugiare un bicchiere di latte al giorno quando stavo in ospedale a quattro anni. Tutta precisina e severa, la odiavo.
Comunque sono ben contenta che chi ha idee sul come crescere la prole si esprima, sono ben contenta che ci siano tanti libri, tante testimonianze. Mi fa piacere leggere le opinioni di chi ha studiato una cosa ed è arrivato a formulare un pensiero e chi studiando la stessa cosa è arrivato a un pensiero opposto. Mi fa piacere anche che il dibattito tra le diverse voci possa essere infuocato e non gentile o politicamente corretto. La mia opinione personale me la faccio vivendo e confrontandomi con le esperienze e le idee altrui. Per questo mi piacerebbe che oltre a Tata Lucia ci fossero altre voci in televisione, con pareri molto diversi dai suoi. Per questo però trovo un obbrobrio l’auspicio di Anita Molino che dal sito Bambino Naturale si augura che il libro di Elisabeth Badinter (che nemmeno mi è simpatica, ma che c’entra) non venga né letto né venduto. Affermare questo significa augurarsi una società dominata da un pensiero unico, il proprio per la precisione, e significa anche pensare che la massa femminile e genitoriale sia formata da un branco di pecore influenzabili e poco avezze al ragionamento autonomo.
Non ho letto il libro di Alessandra Bortolotti e mi astengo da ogni giudizio. Certamente mi troverei su posizioni molto simili alle sue; sono stata, e certamente promuovo, una madre “ad altissimo contatto”. Quello che però mi torce le budella di quella lettera è che si usi lo strumento minaccioso del i bambini cresciuti così anziché colà saranno più portati ad avere disturbi affettivi e comportamentali, a diventare tossicomani, alcolisti o quant’altro. E non mi piace perché è un modo subdolo per evitare discussioni (se sono affermazioni che rispondono al vero, cosa vogliamo andare a discutere?) oltre che essere ingenuo,semplificatorio e francamente un po’ cattivo.
Ingenuo perché significa credere che il proprio pensiero e le proprie fonti stabiliscono qualcosa di definitivo. La storia ci insegna che le sensibilità cambiano, le priorità cambiano, i punti di vista cambiano.
Semplificatorio perché quando si fanno delle regole per risolvere un problema che ha una causa certa.....si sta semplificando. Del resto lo dice anche Michel Odent, che è certamente uno dei riferimenti di Alessandra Bortolotti: l'importante è ammettere la complessità del soggetto, evitando di creare regole nuove.
Cattivo perché si sa, ogni scarrafone è bello a mamma sua, la quale ha un atavico istinto di protezione della propria prole. Se vuoi ferire una donna, dille che suo figlio sta crescendo male per colpa sua.
Contrapporre al metodo della Tata Lucia o di chi per lei, l’istinto e il seguire il proprio cuore è disonesto. Cosa significa, che chi prova diverse strategie o ha idee diverse su quale sia il modo corretto per rapportarsi al proprio figlio e al suo sviluppo ha un deficit istintuale? Un deficit di cuore? Significa che non sa seguire il proprio cuore?
Il ruggito della mamma tigre è un libro che ha fatto molto discutere, e insorgere tante anime belle. Una madre severa, dura, ai limiti della crudeltà, da denuncia per maltrattamenti. Ebbene quel libro però trasuda amore materno, come vogliamo metterla? E per quanto mi si accartoccino le budella di fronte ai suoi metodi educativi, penso parli di tutte noi madri, piene di fissazioni, di idee irrinunciabili sul modo giusto di far crescere i nostri figli sani e felici. E anche lei, come tante di noi, si è scornata con la realtà.
Vuol dire che va bene tutto? Che non si può discutere di niente? Che non serve ipotizzare cosa è più giusto fare per avere figli più sani e felici, tanto si verrà smentiti da studi diversi, tempi che cambiano e sensibilità che mutano?
No, vuol dire che si può e anzi si deve discutere, che tutti i modi vanno bene, anche quello un po’ modello Mafalda Furiosa di Gekina. Perché questo è l’unico modo per far muovere il pensiero.
Però le affermazioni di cui sopra, ovvero che i bambini allevati così anziché colà diventeranno bruti anziché equilibrati e affettuosi portenti del futuro, sono un modo subdolo per graffiare, come farebbe la Penelope dell’ultimo film di Polanski: certo, tutti siamo liberi e anche tu cara mamma che segui i consigli di Tata Lucia sei libera. Libera di consegnare il tuo bambino alle schiere dei disturbati, ma certo anche questa è una libertà. Beh, a me pare un colpo basso che chiude lo spazio di discussione. Se mi metto nei panni di una giovane mamma disorientata e stanca, che ha il bambino che si sveglia ogni santa notte due-tre-quattro volte, e non sa più a che santo votarsi…..beh, leggerei la Bortolotti, guarderei Tata Lucia, consulterei i forum, chiederei anche alla mia fruttivendola, nella speranza di trovare qualcosa che funzioni.
Ci si contrappone studi scientifici e teorie di esperti, brandendoli come spade, come se pure lì ci fosse un pensiero che vale più di altri perché più serio, più scientifico. Ma seri e ineccepibili professionisti spesso dicono cose opposte.
Alice Miller, psicanalista e saggista, afferma che nei traumi dell’infanzia, o supposti tali, è da ricercare il disagio affettivo e comportamentale dell’adulto.
James Hillman, psicanalista e saggista come la Miller, dice invece che da madri di ogni tipo nascono figli di ogni tipo, e che bisogna abbandonare la mentalità della vittima in cui c'è sempre un prima che determina un dopo. Tanto per citarne appena due.
Insomma, discutiamo, accapigliamoci pure, ma evitiamo di fare il verso al Concorso per Miss Mamma. E magari cerchiamo di essere, secondo le parole di Winnicott, madri sufficientemente buone.

venerdì 9 settembre 2011

La doula dell'elefante


La mia amica Tiziana questa mattina mi ha raccontato di avere visto «India Matri Bhumi», il documentario che Rossellini girò in India nel 1959.
Tra le tante storie narrate nel documentario, c'è quello di una elefantessa che, dopo opportuno rapporto sessuale con l'elefante, concepisce l'elefantino, che come si sa resta nella pancia della mamma per circa venti mesi. A metà della gravidanza, l'elefantessa cominicia ad avere un certo fastidio per la presenza del maschio accanto, non lo vuole più, e allora un'altra femmina del branco si frappone tra i due e affianca l'elefantessa incinta fino alla fine della gravidanza. Le fa una specie di cordone protettivo intorno. Bello, no?

venerdì 19 agosto 2011

Piccolo mondo antico


La mia amata ostetrica Fulgeri nel primo dopoguerra ottenne la Condotta nel piccolo paese di montagna dove poi passò la vita. Le donne allora usavano partorire circondate da altre donne. La suocera, le amiche della suocera e le anziane si radunavano nella stanza della partoriente e aspettavano  che il travaglio andasse avanti. Poi quando era il momento aiutavano la donna e lavavano e fasciavano il bambino. Se c’era qualcosa che non andava, mandavano a chiamare l'ostetrica. La Fulgeri riuscì, con le buone e con le cattive, a convincerle che era meglio chiamarla subito, e non quando ormai era troppo tardi. Ma non si accontentò di questo.
Sapeva che una donna che sta partorendo ha bisogno di sentirsi libera, a suo agio, e mi diceva "vuoi mai che una sposina giovane potesse sentirsi a suo agio in mezzo a tutte quelle donne ignoranti? Con la suocera poi? Ma una volta non era mica come adesso, una donna non poteva mica fare quello che pareva a lei.... Entrava in una famiglia, quella del marito, e sapeva già quale doveva essere il suo posto. Non poteva mica fare di testa sua".
Insomma l'usanza era l'usanza, e se una donna si fosse azzardata a mandare via quell' accrocchio di donne durante il suo travaglio, ne sarebbero venute fuori delle questioni famigliari spinosissime.
Ma se una donna non si sente a suo agio, diceva sempre la Fulgeri, il parto si ferma e iniziano le complicazioni.
Così inventò un sotterfugio: iniziò a dire che lei era timida e si vergognava a lavorare davanti a tutte quelle donne, e le fece uscire. Nel giro di qualche anno l'usanza cambiò, e le donne iniziarono a partorire insieme all'ostetrica, e basta.

Perché racconto tutto questo? Perché ogni volta che intravedo la mistica del bel mondo antico in cui le donne avevano la fortuna di essere circondate dalle donne della famiglia e del paese, che la sostenevano nel delicato momento del parto, mi viene in mente questo racconto della Fulgeri. E penso che "donne è bello" se le donne te le scegli tu,  e che la libertà è una cosa preziosa.
Mi viene in mente che negli anni 70 il femminismo ha messo in discussione i ruoli imposti e la famiglia così come era, oltre  alla sessualità subordinata al piacere maschile.
Mi viene in mente che una delle ragioni per cui il parto in ospedale diventò allettante fu la garanzia di non avere il fiato sul collo di suocera, madre e impiccione varie. Ne ho sentiti tanti di racconti così..
Sì, essere circondate di donne può essere meraviglioso, se quelle donne sono quelle che desideri. Così come può essere meravigliosa la libertà di dire: fuori tutte.
Se mi volto indietro, non vedo un'epoca felice per gestanti, partorienti e puerpere, anzi sento subito che il respiro mi diventa affannoso per mancanza di ossigeno.  Le donne che oggi partoriscono in casa, se apparentemente fanno una scelta retrograda e nostalgica, in realtà rispondono in modo nuovo a un'esigenza che ha poco di nostalgico
Avere la sovranità sul nostro corpo vuol dire anche ricordare la fatica che abbiamo fatto per arrivare fin qua.

Raccontare


Folon

Narrare e ascoltare storie sono sempre stati bisogni fondamentali di noi umani
Tutte le volte che mi chiedono "cosa si può dire alle donne in gravidanza che hanno paura di partorire?" io rispondo sempre che c'è un gran bisogno di racconti. Racconti di parto fatti in prima persona, orali, scritti, letti....che servono a chi li dona e a chi li riceve. Una sorta di "pedagogia della narrazione" applicata a quella speciale esperienza che è dare alla luce un figlio.
Per chi dona, tradurre in parole il proprio vissuto lo fa vivere di nuova vita, lo allontana facendolo diventare una storia, aiuta a prenderne le distanze.  Allo stesso tempo lo riavvicina, facilitando il ricordo. Ricordare significa letteralmente“riportare al cuore”. I ricordi possono essere struggenti, commoventi, dolorosi, strazianti, teneri, ridicoli…...però  portano sempre con sé un’emozione e sono vivi.
Per chi riceve il dono, ascoltare la storia di un parto, felice o drammatico che sia stato, permette di immedesimarsi, di entrare nella concretezza dell'esperienza.  Una storia arriva dove nessun discorso astratto potrà mai arrivare.

A questo proposito segnalo il blog Il mio parto che frequento spesso

martedì 16 agosto 2011

All you need is love


La salute primale può essere definita come la salute del periodo perinatale. Secondo le ricerche del “Primal Health Research Center”, la salute dell’essere umano si forma nel corso del periodo primale che va dal concepimento al primo anno di vita. Significa che le modalità del concepimento, della gravidanza, della nascita, dei primi istanti di vita del neonato, della lattazione e della interazione del bimbo con la madre fino a circa il suo primo compleanno, hanno rilevanti effetti a lungo termine nel bambino e, più tardi, nell'adulto.
Risultati delle ricerche?
La mamma ha bisogno di essere lasciata tranquilla. Ha bisogno di essere rispettata nelle sue esigenze, e che sia rispettato lo spazio intimo tra lei e il suo bambino. Il bambino ha bisogno di essere accolto con amore, ha bisogno del corpo della sua mamma e del suo latte. Entrambi hanno bisogno uno dell'altro.
All you need is love.

domenica 14 agosto 2011

Non facciamo dell'ideologia


La vulgata poetica del "naturale" vuole che nel bel tempo che fu, le partorienti fossero libere dagli artigli dei medici e, circondate dall' amore femminile delle comari, dessero alla luce neonati rosei e sani, senza lamenti.
Intendiamoci, ho partorito in casa tre volte, circondata da diverse persone tranne i medici e sono state sempre esperienze straordinarie. Sono una doula e convinta assertrice dei danni dell'eccesso di medicalizzazione.
Detto questo però, cerchiamo di non fare dell'ideologia, che non se ne sente alcun bisogno.
Il parto non è diventato doloroso nel momento in cui sono intervenuti gli uomini con tecniche invasive: il parto è diventato doloroso quando a noi umani è cresciuto il cervello e ci siamo messi in posizione eretta, con conseguente modificazione del bacino. Che poi alcune culture abbiano saputo favorire il processo del parto mentre altre non hanno fatto altro che ostacolarlo, è un altro discorso.
Non ci sono stati i bei tempi in cui le donne partorivano felici e senza dolore, e la naturalità non preserva sempre da ogni male. Chi ne avesse voglia e fosse munito di un buon pelo sullo stomaco, può leggersi la storia del medico Francois Sacombe per togliersi ogni dubbio. Le donne un tempo avevano paura del parto ben più di oggi, e l'ignoranza diffusa tra mammane e suocere non giocava certo a favore di parti migliori. La mia osterica, saggia donna, lo sapeva molto bene.
Personalmente credo sia necessaria una cultura del corpo e della nascita che sia fatta di rispetto e amore per la madre e il suo bambino. Credo che quella di partorire sia una competenza femminile che va tutelata, rafforzata e in un certo senso riformulata. Però non volgendosi a un bucolico passato che non è mai esistito, piuttosto guardando avanti e ricordando che non siamo più le stesse donne di un tempo.

mercoledì 3 agosto 2011

Il ruggito della mamma tigre

Sto leggendo "Il ruggito della mamma tigre" di Amy Chua. L'autrice racconta la propria vita di figlia di immigrati cinesi negli Stati Uniti, mettendo al centro dell’autobiografia le differenze culturali nei rapporti genitori-figli e nello stile di educazione, fra asiatici e americani. Mi aspettavo un moto di indignazione ad ogni pagina, orripilata dall'educazione patologicamente autoritaria, modello campo di rieducazione maoista che mi si era prospettata leggendo le recensioni.
In realtà è un bellissimo libro, che trasuda autoironia e coraggio e affetto materno. In fondo Amy parla di tutte noi madri, piene di fissazioni, di idee irrinunciabili sul modo giusto di far crescere i nostri figli. Lei è estramamente autoritaria, e un'altra magari è estremamente permissiva, ma il succo è che è utile sapere che ci sono altri approcci, altri punti di vista, e che è utile confrontarcisi.
E' un punto di vista inusuale quello di Amy, questo sì, molto spesso non condivisibile, ma sempre arguto. Aiuta a pensare e a prendersi meno sul serio.

domenica 26 giugno 2011

La mucca che produce latte umanizzato


Sabato 11 giugno La Stampa ha scelto di mettere in prima pagina la notizia della mucca che produce latte umano. I temi della genetica e della bioetica sono temi centrali del mondo attuale, e lo saranno sempre di più nel futuro, dunque ho apprezzato la scelta di dare risalto alla notizia.
Sono favorevole allo sviluppo scientifico e tecnologico, e lungi da me battaglie di retroguardia in nome della naturalità. Ho letto però con allarme la notizia della mucca. Certo, sarà una grandissima risorsa per quelle situazioni in cui non è possibile allattare, perchè sarà certamente meglio del latte formulato, ma allo stesso tempo sarà un passo in più verso la progressiva perdita della competenza del corpo materno, e verso il distacco definitivo del neonato dal corpo della madre.
L'idea che la vita nasce dentro il corpo delle donne, che la donna incinta è un'unità inscindibile con il figlio che porta in grembo si affievolisce sempre più. E' avvenuta una progressiva separazione tra la madre e il feto, rappresentato come un cosmonauta nel suo universo asettico e le madri stanno velocemente perdendo la fiducia nelle proprie capacità di essere procreatrici e nutrici della prole. Perdita di fiducia confermata dai dati: l'Italia (superata solo da USA e Brasile) registra il 38 % di tagli cesarei e il 60 % dei neonati a 3 mesi non è più allattato al seno, mentre il 18 % non è mai stato allattato. Alla luce di questi dati, mi chiedo cosa impedirà di arrivare a un 100 % di cesarei e alla dismissione totale dell'allattamento: il parto fisiologico e l'allatamento al seno diventeranno pratiche arcaiche, e quando ci si arriverà anche la gestazione avverrà in un luogo meno primitivo del corpo materno.
Il cucciolo d'uomo, per ragioni evoluzioniste, nasce prematuro rispetto agli altri mammiferi, e per sopravvivere ha bisogno del corpo della madre che lo scalda, lo nutre, lo tocca. Non è solo un fatto di gradi centigradi, di proteine e lattoferrina.
L'evoluzione scientifica ci sostiene, e per fortuna disponiamo di sale operatorie ben attrezzate, culle termiche, biberon e sostituti del latte umano. Ma essere allattati è un'esperienza sessuale nella vita degli umani, e allattare lo è nella vita di una donna, così come fare l'amore, essere gestante, partorire e andare in menopausa. Questo la tecnologia non lo sa sostituire.
Certo, diventare madre è faticoso, a dispetto delle immagini romantiche e stucchevoli che ci vengono proposte, e le statistiche ci dicono anche che il disagio psichico, il senso di solitudine e frustrazione della madri sono in aumento. Donne moderne, emancipate, libere di disporre del loro tempo e della loro vita, che si sentono prigioniere e sfinite di stanchezza. Questo è un problema reale, sono però convinta che la strada giusta non sia quella delle progressiva atrofizzazione delle capacità corporee in nome di una supposta emancipazione dalla schiavitù del corpo.
Auspico piuttosto un progresso tecnologico che sviluppi la cultura della competenza, una delle fonti principali del sapere umano.

Questo post partecipa al blogstorming

giovedì 28 aprile 2011

Allattamento al seno, favorito anzi no



“Ci sono madri che si sentono in colpa perché non allattano, perché non allattano quanto desidererebbero allattare, perché pensano che il figlio si sia ammalato per non essere stato allattato, perché sono tornate al lavoro ed hanno smesso di allattarlo. Ma ci sono anche madri che si sentono in colpa perché allattano troppo spesso, o troppo a lungo, o perché tengono il bambino sempre con sé, ci dormono addirittura assieme. Ci si sente in colpa se si fa qualcosa che si sa di non dover fare, o se non si fa qualcosa che si sa di dover fare. Ma, come mostrano gli esempi appena citati, ciò che si deve o non si deve fare non è un comandamento universale; cambia da famiglia a famiglia, da pediatra a pediatra, cambia nel tempo, cambia come cambiano tutte le norme sociali. In una cultura del biberon, allattare è una scelta difficile e a farlo ci si sente fuori norma. Al contrario, in una cultura dell’allattamento, dare il biberon è un comportamento anormale”.
Condivido quanto dice qui sopra l'epidemiologo Adriano Cattaneo. Mi viene in mente mia madre che dice “cosa vuoi che sapessimo noi....” intendendo con queste parole che ai suoi tempi, nelle campagne del dopoguerra, non si parlava della sensibilità dei bambini, figuriamoci dei neonati ! Mi viene in mente un amico che mi chiama afflitto dall'estremo oriente, dove la cosa più di moda, più moderna, più all'avanguardia, è allattare con il biberon. Lì il latte di mamma è una roba arcaica e da poveri, vuoi mettere il latte Humana? Poi mi vengono in mente i blog dei sostenitori del latte materno, tra i quali mi ci metto pure io, che dicono che viviamo in una cultura del biberon, da combattere. Poi mi vengono in mente i blog avversi a quelle che vengono chiamate le talebane del latte materno, che sostengono al contrario che viviamo in una cultura che colpevolizza chi non allatta al seno.
Insomma, in quale cultura dominante viviamo dunque ? Se è vero che solo il 20% delle madri allatta in modo esclusivo fino ai sei mesi, ne deduco che viviamo piuttosto in una cultura che favorisce nettamente il biberon. Se sfoglio un giornale per neomamme e mamme in attesa, e conto quanti neonati vedo aggrappati a un biberon invece che a una tetta, ne deduco la stessa cosa. Eppure è indubbiamente vero quello che lamentano tante donne, che si sentono inadeguate e colpevolizzate perchè danno il biberon, come se vivessero circondate da generose tette che spruzzano come quelle della fontana del Nettuno...
Dunque com'è la faccenda?

venerdì 22 aprile 2011

Dolore del parto, sì o no ?

Vado spesso in visita al blog di Gekina Diritto all'epidurale negato. Gran bel blog secondo me, spregiudicato e anticonformista, affronta i temi con argomentazioni che mi vedono spesso in disaccordo.
Uno dei temi più dibattuti (il blog è molto visitato e animato) è ovviamente quello del dolore del parto, e su questo, come su quasi tutto il resto, penso valga la pena discutere fino a sfinimento.
La questione dolore è etica come tante altre ? Alla rianimazione dei feti di pochi mesi possiamo aggiungere (per limitarci alla sfera che riguarda da vicino il femminile) fecondazione in vitro omologa e eterologa, interruzione volontaria di gravidanza, utero in affitto.......
Trovo che rispetto a questi temi, che pure dovrebbero essere al centro dei dibattiti delle donne, ci sia troppa poca discussione “di genere”. Eppure il corpo delle donne è attraversato e trasformato dalla modernità, ben più di quello degli uomini, così come la nascita degli umani (da sempre avvenuta dentro il corpo delle donne).
Per ragioni anagrafiche e culturali, ho partorito sempre senza analgesia, e sono state esperienze fondamentali della mia vita. C'è chi si fa seguace di un Lama tibetano, chi si fa dieci anni di analisi, chi cambia vita dopo avere subito un incidente (come successe a Bob Dylan). Io ho partorito, cosa devo dire....
La percezione del dolore e l'eventuale valore che gli si da sono cose assolutamente personali, e non ci può essere giudizio su questo. Inoltre, visto che la possibilità di scelta esiste, ognuna decida per sé se farsi fare o no l'epidurale, senza dover subire pistolotti paternalisti (noi donne non avevamo criticato il paternalismo della società patriarcale?).
Però credo sia importantissimo offrire un altro punto di vista, dare spazio ad un altro tipo di esperienza, che non appiattisca tutto sul messaggio principale della civiltà contemporanea, quella dei prodigi della scienza, della sconfitta del dolore, dei rischi e della morte. Io, come i vecchi partigiani che vanno nelle scuole a raccontare la Resistenza, sento la necessità se non addirittura il dovere di testimoniare qualcosa di diverso.
La libertà di scelta, se non passa attraverso questa conoscenza, è solo omologazione.

...

mercoledì 20 aprile 2011

Son tutte belle le mamme del mondo




Questo è un racconto che tiro fuori da una vecchia cartella del mio computer, scritto tanti anni fa. Per scriverlo ho pensato ai racconti della mia vecchia ostetrica, ai parti a cui ho assistito e ai racconti di tutte le vecchie ostetriche condotte che ho avuto la fortuna di conoscere. Tutto è però pura fantasia.


Il marito della Palmira andò a prenderla col mulo, in piena notte. C’era la neve altissima e il viaggio fu lungo, il vento fischiava tra gli alberi irrigiditi dal gelo e gli occhi lacrimavano. Attraversarono tutta la valle e risalirono fino ad un  piccolo casolare, a vederlo dal paese sembrava vicino come una schioppettata ma raggiungerlo fu tutt’altra cosa.
La Jole si trovò davanti una sposina più giovane persino di lei,  pareva una bambina, con gli occhi sbarrati dal terrore, in una stanza fredda da sfogliare le ossa. Mandò fuori le donne che si erano radunate nella stanza e poi la visitò. La dilatazione era completa, le acque si erano già rotte, il bambino era pronto per uscire ma lei niente, non aveva più contrazioni né spinte. Si era fermato tutto per la gran paura. Con lo stetoscopio auscultò il battito e lo sentì debole, non c’era tempo da perdere ma la Palmira sembrava essere sprofondata in un abisso, con certi occhi vitrei che facevano paura. Sentì il gelo di quella distesa di neve che circondava la casa, desiderò che qualcuno l’aiutasse, le consigliasse cosa fare, ma in quella stanza non c’erano che lei, la Palmira e quel bambino che bisognava far nascere.
Pensa Jole, Pensa, si disse, Pensa a come risvegliare il corpo della Palmira.
La fece parlare, lasciò entrare i suoi lamenti dentro di sé per trovare la strada. Le parlò piano guardandola negli occhi, le disse che andava tutto bene,  Chiese che le portassero l’ acqua calda del paiolo sul camino, e anche un braciere con tutta la brace che potevano, senza alzare mai la voce perché la Palmira non pensasse che c’era un’emergenza. Riempì la catinella del bucato e l’aiutò ad entrarci dentro, dicendo  solo che faceva  freddo e che aveva bisogno di scaldarsi. Le massaggiò la schiena, la asciugò con un lenzuolo di canapa ruvido strofinando forte, fino a quando la pelle diventò rossa e finalmente le spinte incominciarono.
Forza Palmira, adesso spingi forte, e tira fuori quella voce, fammela sentire.
E lei la tirò fuori, eccome se lo fece.
Brava, dai che ce la facciamo.
Sudarono insieme, sincronizzarono i loro respiri e le loro grida, e infine la testa germogliò dalla carne tesa.
Uscì una spalla, il corpo ruotò e anche l’altra spalla uscì.
Qualcosa di simile ad un bambolotto di gomma disarticolato si aprì all’aria e d’un tratto fu un bambino.
Inanimato, bluastro, immobile.
La Jole non disse una parola, lo massaggiò a lungo, finché il neonato non emise un vagito debole come un cigolio.
Allora si mise a piangere anche a lei e la Palmira rideva tra le lacrime.
Poi lavò e fasciò il bambino, sistemò la mamma e le spiegò come stimolare la montata lattea.
Prima di riportarla a casa in groppa al mulo, il marito della Palmira le regalò un cappone.
La Jole era una stornella ben piantata sulle gambe robuste, i capelli rossi come i falò della notte di S.Giovanni e la pelle che col sole si riempiva di efelidi. Era arrivata come ostetrica condotta quando sua sorella Isolina era scappata da Pola insieme al marito e i figli, per sapere la data precisa bisognerebbe chiedere all’Isolina, quel che è certo è che la guerra era finita da poco e lei aveva  vent’anni o poco più. Si era diplomata a Bologna e aveva chiesto di essere mandata in un paese di montagna, dove ci fosse davvero bisogno di lei, perché aveva solo voglia di lavorare.
Le donne allora usavano sgravarsi senza chiamare l’ostetrica. La suocera, le amiche della suocera, le comari si radunavano nella stanza della partoriente e aspettavano  che il travaglio andasse avanti. Intanto lavoravano all’uncinetto, rammendavano, baccagliavano. Quando il momento arrivava, aiutavano la donna, poi lavavano e fasciavano il neonato. Se c’era qualcosa che non andava, solo in quel caso,  mandavano a chiamare l’ostetrica. Una volta la chiamarono in una casa dove sembrava non si fossero nemmeno accorti che la Linea Gotica non c’era più, certe facce da montanari ignoranti e diffidenti che ti si stringeva lo stomaco. Lei arrivò troppo tardi e la bambina era già morta per prolasso del cordone. Succede quando il funicolo esce prima del corpo, e durante l’espulsione il bambino lo comprime lungo la parete vaginale, bloccando il flusso di ossigeno e sangue. Una patologia gravissima che andava riconosciuta per tempo, quella donna bisognava portarla in ospedale con urgenza, facendosi anche il segno della croce.
Allora la Jole cominciò a dire che se la chiamavano subito non le avrebbe fatte pagare, altrimenti sì.
Quando arrivava faceva uscire tutte quelle chiocce dalla stanza, dicendo che si vergognava a lavorare davanti a loro. Non era vero naturalmente, la Jole non si è mai vergognata di niente, lo diceva per non offenderle. La verità, diceva, è che quella era l’usanza e se la partoriente si fosse azzardata a mandare via tutte quelle beghine, ne sarebbero venute fuori delle questioni famigliari a non finire, perché la prima cosa che una giovane sposa doveva fare quando entrava in una famiglia, era sottostare alle regole che qualcuno prima di lei aveva dettato.  La partoriente però aveva bisogno di sentirsi a suo agio, magari con tutta quella calca si vergognava e non si sentiva libera. E quando una donna non si sente a suo agio, il parto si ferma e iniziano le complicazioni, iniziano le patologie. Così escogitò questo sistema per essere da sola con la partoriente e le donne si abituarono così in fretta al suo sistema che dopo qualche anno a nessuna sarebbe saltato in mente di restare nella stanza.
Aveva avuto un’unica figlia, Adele, che diventata grande non perdette mai l’occasione di dirle che l’aveva trascurata per il suo lavoro, che era stata una mamma distratta e che lei non avrebbe fatto soffrire alla piccola Orsola gli stessi patimenti.
Le rinfacciava quelle mattine in cui, bambina, non l’aveva trovata in casa. Quelle mattine in cui la svegliava l’alito fetido del padre, che poi ciondolava in cucina e non indovinava mai la giusta temperatura del latte. A volte lo faceva così tiepido da far venire tristezza, altre volte invece lo scaldava troppo e si formava la panna, che le faceva schifo. In entrambi i casi lo beveva senza fiatare, per evitare che lui parlasse con quell’alito che le rivoltava lo stomaco. Le rinfacciava la passione con cui aveva sempre parlato del suo lavoro, fosse anche di una placenta uscita intera anziché a brandelli, sai quanto me ne fregava delle tue placente e dei tuoi centimetri di dilatazione? Dei tuoi lattanti rimpinzati di colostro?
La Jole ricordava una bambina quieta e ordinata, che prendeva ottimi voti a scuola e che tutti le invidiavano. Di fronte al suo rancore di adulta, accusava un senso di vertigine e non sapeva fare altro che serrare le labbra in silenzio.
Tenne annotato sempre tutto del suo lavoro, fin dal primo parto che seguì. Aveva dei quadernoni neri su cui scriveva il nome della donna, quello del padre, l’andamento della gravidanza, la data prevista e quella effettiva del parto, il peso del bambino, se c’erano state o no delle patologie. Cinque o sei righe in tutto. Teneva tutti questi quaderni in una cassetta da frutta, e c’erano anche tanti foglietti sparsi. Un giorno chiese aiuto alla nipote Orsola per riordinare tutto quel cartame e in quell’occasione le mostrò il contenuto della valigetta di cuoio che aveva comprato risparmiando moneta su moneta, subito dopo il diploma. Uno stetoscopio di legno di ciliegio levigato dall’uso, una siringa di vetro dentro l’apposita vaschetta di alluminio per la bollitura, un termometro, un paio di forbici smussate, tre pinze per il cordone ombelicale, guanti di lattice, una cannula per aspirare il muco, due fiale di Methergin, garze sterili.Le fece notare che ai bambini piace nascere durante la notte, quando tutto è fermo.
“Anche tu Orsola sei nata di notte”
L'Adele però non le aveva permesso di assisterla, aveva preferito andare al S.Orsola, circondata da medici e odore di disinfettante. Quando poi si trattò di decidere il nome con cui battezzare la piccola, la scelta cadde su Orsola, come l’ospedale,  per sfregio alla Jole, per ricordarle dov’è che sua figlia aveva deciso di partorire.
Lei aveva aspettato guardando alla televisione le notizie del disastro del Vajont, ricordò di essere passata per Longarone una volta che era andata a trovare sua sorella Isolina, ma in quella spianata di fango e cadaveri era impossibile riuscire a riconoscere qualcosa.  Ogni tanto si faceva il segno della croce, uno per sua figlia che stava partorendo, uno per quella povera gente. Aveva guardato Carosello, poi era andata a letto senza riuscire a dormire, un segno della croce per sua figlia, uno per quella povera gente.
Aveva la mania delle date, che per lei non erano numeri ma fatti collettivi a cui associava quelli personali, una griglia solida in cui gli accadimenti della sua vita stavano ancorati come tante bandierine. Dopo l’Otto settembre. Il giorno che la neve tirò giù il tiglio accanto alla chiesa. La sera che incominciava Sanremo. Quando morì il povero Mansueto. Così sapeva che sua figlia era nata la settimana in cui il Parroco comperò la televisione e la nipote Orsola era nata dopo il disastro del Vajont.
Orsola aveva capelli così sottili che parevano piume prese dal collo di una paperetta, rossi come i suoi. Forse fu questa somiglianza a far sì che le due si piacessero fin da subito, o forse fu il fatto che la Jole parlava molto, e la piccola sembrava non stancarsi di stare a sentire.
Utero. Puerperio. Centimetri di dilatazione. Sofferenza fetale. Secondamento. Placenta. Montata lattea. Fin da prima di essere in grado di capire il senso di queste parole, Orsola ascoltò la voce da tortora della nonna modularle come fossero poesie. Perineo. Colostro. Funicolo. Liquido amniotico. Meconio.
Tutte le domeniche nonna e nipote andavano insieme alla Messa delle nove, e subito dopo a mangiare due cannoli nella pasticceria sulla piazza. Friabili e delicati, erano il vanto della Miranda. Il marito, che insegnava giù a Bologna, una notte di tanti anni prima si era presentato a casa della Jole dicendo che alla moglie erano iniziate le doglie. Lei si era vestita in fretta, aveva preso la borsa degli strumenti e infilato il cappotto pesante.  Lo aveva seguito per la strada che luccicava dal freddo, illuminata dalla luna alta nel cielo. Lui voleva che la moglie andasse in Maternità, ma quando la Jole la visitò disse che con una dilatazione di otto centimetri rischiava di non arrivare nemmeno a Sasso Marconi. Tanto valeva partorire in casa, che con tutto quel ghiaccio era anche più sicuro.
Il professore iniziò a protestare, non erano mica dei trogloditi, lui insegnava all’Università dopotutto. La Jole gli disse che sarà stato un bravo professore di matematica, ma che non si impicciasse del suo lavoro. Lui non stava capito, adducendo ragioni di competenza, sale operatorie, incubatrici, così lei lo aveva spinto fuori dalla stanza senza tanti complimenti e la Miranda aveva dato alla luce una bambina bella e sana in meno di un’ora, senza farla tribolare.  Era tornata a casa all’alba, con i piedi che scricchiolavano sull’erba ricoperta di galaverna, e al pomeriggio cadde una neve così bagnata e pesante da tirare giù il tiglio accanto alla chiesa.
Dopo la pasticceria, la Jole e Orsola passavano in tabaccheria da Adelmo, che per nascere le aveva fatto sudare sangue, perché i maschi hanno la testa dura e ci mettono tempo a farsi strada, non come le femmine le cui ossicine docili del cranio si adattano ad accavallarsi e allungarsi. La  Jole aveva massaggiato a lungo il perineo della Norina, e il capoccione di Adelmo infine era riuscito a passare, con un giro di cordone intorno al collo. Dopo avere sistemato puerpera e neonato, dopo avere assicurato che sarebbe tornata la mattina seguente per controllare che tutto andasse bene, tornò a casa. Preparò in fretta la cena e poi trascinò marito e figlia in canonica a guardare la serata conclusiva di  Sanremo. Vinse una canzone che faceva Son tutte belle le mamme del mondo.
Il paese era cambiato molto da quando era arrivata, subito dopo la guerra, e Orsola imparò dalla sua voce che allora c’era un tiglio davanti alla chiesa, che i tetti non avevano  le antenne della televisione, che nelle sere fredde e lunghe dell’inverno ci si radunava nel tepore della stalla ad ascoltare un tal Mansueto che suonava la fisarmonica, che i muli e i cavalli erano gli unici mezzi di trasporto.
Quando Orsola era ancora bambina, l’idea dell’ospedale sicuro, senza rischi, cominciò a sedurre  le donne del paese dopo avere sedotto quelle di città. Smisero di chiamare la Jole per dare alla luce i propri figli, all’inizio solo per sentirsi più moderne, per non avere scompiglio in casa, per potere stare qualche giorno in pace, lontano da tutti. Poi  incominciarono a pensare che il parto fosse un’attività piena di pericoli, da farsi dove c’erano dottori e attrezzature, e in breve l’idea di partorire in casa diventò inconcepibile. Per qualche anno continuarono a rivolgersi a lei per farsi seguire durante i mesi dell’attesa, per diagnosticare una minaccia d’aborto o per parlare di mestruazioni, e magari le chiedevano di accompagnarle fin dentro la sala parto, ma poi smisero di fare anche quello, perché la Jole sembrava fidarsi dei loro corpi e così loro smisero di fidarsi di lei.
L’Adele le diceva che l’Ottocento era finito da un pezzo, che il mondo era andato avanti e lei era rimasta indietro. Esibiva un’ aria di trionfo, come se il cambiamento dei tempi fosse un risarcimento che aspettava fin da quando faceva colazione col babbo che alitava pesante. Fin da quando desiderava ardentemente che il profumo dei capelli di sua madre si spandesse in cucina. Fin da quando detestava quei bambini mollicci che gliela rubavano.

mercoledì 6 aprile 2011

Pessime storie

Insomma no, non sono tutte rose e fiori. Diventare madre non è una questione di uccellini che cantano alla finestra, culle infiochettate e amabili pargoletti. Ma certo il livello di scontentezza, di delusione e di rabbia che ho trovato in giro per i blog di mamme è più grande di quello che mi aspettavo. Mi ha colto impreparata in particolare la rabbia contro quegli operatori che consideravo, da sempre, figure solo positive, solo di supporto e aiuto: le ostetriche, le volontarie della Leche League, le amiche con figli. 
Rivolgo a tutte un invito: raccontatemi pessime storie. Storie di gravidanze faticose che non profumano di violetta, storie di parti da dimenticare, storie di operatori sanitari che invece di essere d'aiuto hanno remato contro, storie di allattamenti così in salita da essere quasi verticali, storie di amiche invadenti con i loro consigli, storie di consulenti utili come un boccone all'arsenico.

 

martedì 5 aprile 2011

il partito del Naturale e quello dei ProdigiDellaScienza


Ho setacciato il web a caccia di “che si dice” a proposito delle doule. Mi si è invece spalancato un mondo che conoscevo troppo poco, ovvero le neo-mamme che si lamentano delle talebane dell'allattamento, delle ostetriche carogne che rifiutano un'epidurale richiesta perchè “siam qui per partorire, non per fare l'epidurale”, delle colpevolizzatrici tutte dedite al naturale (un po' come la fanatica del film American life).
E' una lacuna imperdonabile da parte mia. Ho visto che anche nel mondo che ruota intorno alla nascita si sono formati dei partiti che si fronteggiano ideologicamente: c'è il partito del Naturale e quello dei ProdigiDellaScienza. Entrambi con le loro derive, iper-conservatrici le prime, iper-tecnologiche le seconde. In mezzo, maltrattato da entrambi i partiti, il vissuto delle neo-mamme.
Per ragioni anagrafiche, ho partorito la prima volta negli anni in cui non andava molto di moda fare figli, tantomeno andava di moda partorire in casa e allattare. Così ho subito pressioni da buona parte del mondo che avevo scelto per affinità elettive perchè non ero una donna né una madre sufficientemente emancipata. Da parte di quelli che erano meno emancipati di me invece ho subito pressioni perchè ero una madre egoista e irresponsabile, disordinata e infantile, in quanto non avevo fatto la famiglia del Mulino Bianco. Per alcuni ero troppo attaccata a 'sti neonati, da parte di altri lo ero troppo poco.
Insomma, giratela come vi pare, c'è sempre un buon motivo per attaccare una madre perchè non risponde al proprio modello di perfezione. Un buon motivo per giudicarla. Come se essere madre fosse tendere a un'ipotetica perfezione.
Vorrei rivendicare non tanto il diritto di ESSERE una madre “normale”, bensì il diritto di AVERE una madre normale. Dio ci scampi dalle madri perfette......(che sia la fanatica di “American life” o l'impeccabile borghese di “Mon oncle” non fa poi una gran differenza).

lunedì 4 aprile 2011

La doula di Leonardo da Vinci

Ecco una bella immagine che riporta all'idea della doula: Anna che tiene in braccio Maria, che si sporge verso il figlio.
Prendersi di cura di chi si prende cura.

mercoledì 23 marzo 2011

Il primo suono

Leggendo Bruce Chatwin ho imparato che nella cultura aborigena, come d'altronde in moltissime culture, il rapporto sessuale non veniva collegato al concepimento. Naturalmente un uomo sapeva benissimo chi era il proprio padre. Tuttavia esisteva in aggiunta una sorta di paternità parallela che legava la sua anima a un punto particolare del paesaggio. Si credeva che un Antenato, mentre percorreva il paese cantando, avesse lasciato sulle proprie orme una scia di cellule di vita, o bambini spirito. Una specie di sperma musicale.
Nei miti aborigeni sull'origine del mondo, ci sono vecchi che escono dal profondo buio della terra, spalancano gli occhi alla prima luce, si staccano di dosso il fango e gridano il loro nome. E quel grido crea il mondo.
Nessuno è più simile a un vecchio di un neonato che sta uscendo dal grembo materno. Con il suo viso preistorico, anche lui vede la prima luce e si stacca dalla placenta/fango. Anche il neonato, insieme al respiro, grida e sancisce il suo ingresso nel nostro mondo.
E' interessante notare che nei miti della creazione, la fonte dalla quale emana il mondo è sempre una fonte sonora.
Nel profondo del grembo materno, abbiamo vissuto i primi nove mesi della nostra esistenza immersi in un universo di suoni. L’orecchio, già sensibile e attivo fin dalle prime settimane dell’embrione, svolge un ruolo di vero e proprio organizzatore della struttura psicofisica del bambino e della vita affettiva e di relazione.
Alla nascita il nostro grido, il primo vagito, afferma la nostra esistenza nel mondo. Il passaggio tra i due mondi è avvenuto, e il respiro e la voce nascono in noi.

lunedì 21 marzo 2011

Questione di istinto materno ?

La nascita di un bambino è un’esperienza straordinaria, nel senso etimologico della parola: fuori dall'ordinario. Che cosa succede nell'intimo della madre in questa uscita dall'ordinario? Che cosa ci si aspetta da lei? E che impatto ha questa straordinarietà sulla quotidianità, sul contesto famigliare, sulle relazioni più intime?
I progressi della medicina offrono ormai una presa in carica di altissima qualità dal punto di vista tecnico, per affrontare le patologie. Per contro non offrono praticamente nulla per il sostegno emotivo, psicologico e pratico, come se per diventare madri fosse sufficiente il supposto istinto materno, come se non fosse compito della società quello di proteggere, contenere, aiutare le madri in questo delicato passaggio.
Ci si aspetta che le donne, fin dal concepimento, dimostrino di essere buone madri, raggianti di felicità e senza alcuna ambivalenza. Ci si aspetta che questo concepimento sia frutto di desiderio e volontà. Che abbiano una buona relazione di coppia. Ci si aspetta che si informino e che non arrivino al parto impreparate. Ci si aspetta che abbiano uno spirito positivo e collaborativo con il personale medico, qualunque cosa succeda, al momento del parto. Ci si aspetta che si riprendano in fretta. Che sappiano traghettare una relazione sentimentale alla condizione di genitorialità. Che sappiano allattare senza difficoltà, perchè è un fatto “naturale”. Che sappiano come gestire il nuovo nato, come hanno sempre fatto tutte le mamme del mondo. Ci si aspetta che siano felici, che non soffrano e non facciano cattivi pensieri.
L'idea del divenire madre come uno stato di celestiale bellezza che si acquisisce all'istante, guidate solo dall'istinto materno, è un'idea pericolosa. Che fa sentire le madri inadeguate e incapaci. Che le porta a non avere fiducia nel proprio corpo e nel proprio sentire.
La società (cioè noi) deve saper diventare accogliente e materna nei confronti della maternità. Deve saper essere empatica e non giudicante. Questo aiuterà le madri a trovare il proprio modo di essere madri e a goderne. E la società (cioè noi) non potrà che guadagnarci.


sabato 19 marzo 2011

corpo a corpo

Durante la gravidanza il feto è un sistema energetico che si trova all'interno di quello della madre, e dopo il parto il sistema del neonato ha bisogno di trovarsi vicino a quello della madre
(Eva Reich)

Ibu Robin parla del cesareo