venerdì 30 novembre 2012

Storia delle doule in Italia - 1




disegni del paleolitico, Cueva de las manas, Argentina


Mi è capitato, in questi giorni, di dover assemblare una sorta di storia delle doule in Italia per una autrice inglese di cui è prossima la traduzione  italiana. Ne è venuto fuori una specie di Bignami che mi ha messo l’acquolina in bocca. E allora voglio raccontarla anche qui questa storia, con un poco più di respiro.  La intesserò pezzetto dopo pezzetto, seguendo il mio gusto personale e il materiale di cui dispongo, ma senza lavorare di fantasia.
La figura della doula, così come si è prefigurata alle origini negli Stati Uniti con il lavoro di  Marshall e Phyllis Klaus, è strettamente legata al momento del parto e immediato post parto. Ma il prendersi cura della donna che diventa madre, dell’accudire la mamma affinchè  lei possa accudire il nuovo nato, dell’accompagnamento empatico, è un’arte esercitata anche da figure che hanno altri nomi, altre definizioni che non “doula”. 

mercoledì 28 novembre 2012

Persone che ci hanno insegnato qualcosa



Dite:  è faticoso frequentare i bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca. E' piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all'altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi,allungarsi,alzarsi sulla punta dei piedi.  Per non ferirli.
Janusz Korczak

Il bambino è un buon esperto della propria vita, diceva Janusz Korczak.
Quando ho letto, molti anni fa, il suo "Diario dal ghetto" la cosa che mi colpì di più fu la sua decisione di parlare ai bambini della morte, anzi di più, di preparare quei bambini alla loro morte. La mettevano in scena, la recitavano, la assaporavano. Ci facevano amicizia.
Credeva fermamente nel rispetto dei bambini, fin dai primi giorni di vita: "soltanto una sconfinata ignoranza e superficialità dello sguardo possono negare l’evidenza che il lattante possiede una individualità ben precisa e determinata, in cui confluiscono temperamento innato, energia, intelletto, senso di benessere ed esperienze vitali".
Osservavando i bambini maturò l'idea che per aiutarli nel loro sviluppo occorre considerarli nella loro interezza, unificando tutti i saperi, dalla medicina alla poesia, dalla pedagogia alla storia.
Oggi, leggendo un'intervista alla scrittrice Joanna Olczak-Ronikier che lo ha conosciuto da bambina, ho avuto la conferma che Janusz era un tipo aspro, uno che quando aveva bisogno di sfogarsi lo faceva senza peli sulla lingua, sostenendo che sfogarsi è un'esigenza naturale dell'uomo. Non mi sono stupita, non ha mai edulcorato le sue parole con certe melenserie.
Morì nel campo di sterminio nazista di Treblinka, insieme a duecento bambini e agli educatori della "Casa dell'Orfano", da lui fondata e diretta per trent'anni a Varsavia. Si è sempre rifiutato di scappare da Varsavia, pur avendone avuto la possibilità.
Ho letto tante volte la descizione leggendaria della marcia di Korczak con gli orfani nel quartiere ebraico verso la Umschlagplatz, con gli stendardi e i canti. L'ho vista anche rievocata in qualche film. Nell'intervista, Joanna dice che invece fu straziante.
Come dubitarne.....
 

lunedì 26 novembre 2012

Giocare alla mamma


Un paio di giorni fa sono stata a guardare una bambina di tre anni e mezzo che giocava. Come tante bambine di tutti i tempi e di tutte le latitudini, giocava a imitare la mamma.
Ha sistemato un cuscino in verticale e davanti ci ha messo un puzzle rettangolare perfettamente montato, poi si è sistemata un panchetto davanti e si è seduta.
"Questo è il mio computer, non lo toccare" mi ha detto, e si è messa a ticchettare su tasti immaginari nel puzzle-tastiera, guardando il cuscino-schermo. Poi ha preso un bastoncino e si è messa a tracciare strani geroglifici sul tavolo, accanto all'immaginaria tastiera.
"Che stai facendo?" le ho chiesto
"Disegno una mappa. Dopo devo andare a una riunione"
Poi si è alzata, ha preso il suo biciclino, ha salutato con la mano e ha gridato:
"Ciao, io vado a Bologna" ed è scomparsa nel corridoio.
Ai miei tempi, giocare a imitare la mamma voleva dire cucinare, cullare un bambolotto, cambiare i vestitini a Ciccibum, andare a fare la spesa. Anche chi era figlia di una donna che lavorava, nello spazio domestico erano queste le principali attività della mamma.
Decisamente, i tempi sono cambiati.

giovedì 22 novembre 2012

In attesa...



Nel mio post precedente, avevo riportato parole che mi erano state scritte in una mail privata.
Mi assumo dunque, per quanto riguarda il catalogo Popolini, la responsabilità delle cose che asserisco.
Resto in attesa di un comunicato da parte di Ibfan Italia, l’associazione che si propone di far avvenire miglioramenti duraturi nelle pratiche alimentari di neonati e bambini e che inoltre si propone di vigilare sul rispetto del Codice OMS/Unicef, per sapere se il catalogo Popolini costituisce una violazione del codice oppure no.
Sottolineo che io condivido il Codice. Però, come tutti i Codici del mondo, anche questo è ovviamente interpretabile, in maniera più o meno dogmatica. Conosco tante persone che rispettano il Codice, che proteggono l'allattamento e che lo interpretano in maniera sensibilmente diversa.
Semplicemente non credo che produrre biberon, o metterli in un catalogo, sia una violazione. E mi chiedo quale possa essere una vendita "etica". Una promozione che coniughi il diritto all'informazione alla protezione da marketing aggressivi.

mercoledì 21 novembre 2012

Violazione del Codice

foto di Fausto Fabbri

Al primo convegno nazionale delle doule abbiamo avuto, come sostenitori del progetto,  Popolini e Finethic
Era nostro preciso impegno non accettare sponsor che violassero il Codice OMS/Unicef, come del resto è impegno del mio blog. Dunque, Finethic e Popolini ci sono sembrati perfetti.
A distanza di un mese però, un'associazione particolarmente competente e attenta sull'argomento, ci ha comunicato di essersi accorta che Popolini viola il Codice, in quanto nel loro catalogo si possono vedere i ciucci e i biberon Mollis e Medela.
E' stato un brutto colpo, fa delle cose così belle Popolini...Ci siamo scusate per l'errore, ripromettendoci di fare più attenzione.
Nel frattempo però, visto che i messaggi sulla violazione erano stati su un gruppo facebook, ho ricevuto molti messaggi, sia pubblici che privati, sull'argomento, e così ho deciso di approfondire e di aprire una discussione.

martedì 13 novembre 2012

Parla come mangi




Le parole che si usano fanno cultura, e al tempo stesso sono i segni rivelatori della cultura di una società.
Il linguaggio medico-scientifico o tecnico che dir si voglia, è sempre più onnipresente, anche quando si parla di gravidanza, nascita, maternità.  E' questo il linguaggio privilegiato, l'unico che sembri dare il patentino di "serietà" a ciò che si sta dicendo. Si parla di evidenze scientifiche, di protocolli, di psicoprofilassi, di continuità assistenziale, di picchi di ormoni, di tabelle di crescita.

Abbiamo baccagliato tanto per affermare che la gravidanza non è una malattia, che è un'esperienza che coinvolge il corpo, le emozioni, gli affetti e la cultura nella quale avviene. Che è opportuno che il concetto di salute  coincida con il concetto di benessere. Che nemmeno il neonato è un malato, se è sano.  Che insomma mamma in attesa e successivo bebè non sono da trattare con strumenti solo sanitari.
E invece eccoci qua, immersi in un linguaggio che istintivamente associamo alla malattia o comunque a qualcosa di molto lontano dalla vita normale, quella piena di odori, sapori e colori, piena di bellezza e piena di difetti. Quella vita nutrita dalle relazioni, e anche addolorata dalle relazioni.
Gli stessi promotori della  fisiologia usano questo linguaggio, perchè altrimenti non sembrano concetti sufficientemente seri, credibili, scientifici.
La ricerca scientifica dovrebbe essere quel metodo tenuto in vita dal dubbio, dunque dalla capacità di mettere in crisi le proprie teorie e scoperte, per potere continuare a ricercare. Ma noi umani siamo esseri bisognosi di certezze, e quanto più ci sentiamo vulnerabili, tanto più ne abbiamo bisogno. Così le "evidenze scientifiche" diventano verità assolute, anzi di più: diventano prescrizioni.
Non potremmo provare ad usare un altro linguaggio?