venerdì 15 novembre 2013

Call the midwife....?



Allora, visto che ho scoperto che qualcuno pensa questo di me, vorrei chiarire: non sono una fanatica del parto in casa.
Questa è stata la mia esperienza, potente e significativa.  Amo di vero amore il parto nell'intimità e nel calore della casa e penso che andrebbe reso più accessibile e ripulito da toni terroristici fuori luogo. Tuttavia penso che ognuna dovrebbe poter scegliere di partorire nel luogo in cui si sente più protetta e più sicura, e non per tutte quel luogo è la casa. E penso pure che ognuna dovrebbe avere ben chiari quali sono i criteri perchè il parto a domicilio possa svolgersi in sicurezza.
Inoltre sono ben consapevole del fatto che la specie umana non ha la stessa facilità a partorire della specie scimmiesca. Quando una giovane anima candida mi chiede "ma perchè le donne oggi hanno paura del parto....?" mi si stringe il cuore. Non è mai esistito un bucolico passato in cui le donne non avevano paura di partorire, a meno che non risaliamo fino alla notte dei tempi, all'epoca in cui eravamo ancora quadrupedi e con il cervellino meno sviluppato di quello che abbiamo oggi. Mai sentito parlare di donne morte di parto....? Oggi in Italia è un evento davvero piuttosto raro, ma mica è così in tutto il mondo eh.....e poi certe cose le abbiamo ben stampate nella nostra memoria collettiva. Memoria a cui sarebbe bene essere connessi, anzichè favoleggiare un passato a piacimento delle proprie convinzioni.
Però sono una fervente sostenitrice della buona assistenza. Buona assistenza ostetrica innanzitutto.

Ho partorito con un'ostetrica della vecchia scuola, un po' rude, che non concepiva che si potesse partorire in una posizione diversa dalla litotomica, ovvero la peggiore di tutte, e quando la testa del bambino usciva non era capace di non intervenire nel disimpegno delle spalle. A malapena aveva accettato che il cordone è meglio tagliarlo quando ha smesso di pulsare. Ti rifilava con disinvoltura un Buscopan o un ansiolitico se lo riteneva necessario.
Non sapeva il significato della parola empatia.
Empowerment non avrebbe nemmeno saputo pronunciarlo e andava fiera del suo linguaggio medico e tecnico, perchè dimostrava che lei aveva studiato e che era competente. Non parlava di accoglienza ma solo di assistenza, "noi abbiamo il dovere di dare assistenza" diceva.
Eppure le cose le sapeva dire, e non ti feriva mai.
Diceva che non bisogna minimizzare il dolore di una donna. Sapeva essere rassicurante senza mai negare quello tu sentivi. Sapeva suggerire delle cose senza opporsi ai tuoi desideri, alle tue fissazioni o al tuo sentire. Sapeva dirti che andava tutto bene, che il tuo modo di affrontare le cose andava bene perchè era il tuo, sapeva stimolare pensieri positivi e farti sentire di essere capace.
Ti accoglieva con un bel sorriso, ti faceva ridere e ti diceva che ci vuole pazienza, ma che sarebbe andato tutto bene. Che se ci fossero stati dei problemi lei ti avrebbe accompagnato in ospedale, in buone mani, e sarebbe stata con te. E tu sapevi di essere in buone mani, mai da sola.

La buona assistenza dovrebbe essere rispettosa e senza fretta, e lo sappiamo. Dovrebbe tutelare la salute con scrupolo, e lo sappiamo. Dovrebbe essere accogliente e non direttiva, e lo sappiamo. Dovrebbe parlare con parole chiare, e lo sappiamo.
La buona assistenza dovrebbe però anche prescindere dal proprio modello ideale di travaglio e di parto, e non sono così sicura che lo sappiamo.
E' un errore mettere al centro un modello, quando il modello di riferimento è quello iper-medicalizzato, con la donna silenziosamente soggiogata dall'autorità sanitaria, circondata da tante macchine che fanno ping.
Ma è un errore anche quando il modello di riferimento è Michel Odent e la regressione in solitudine allo stato primordiale, oppure il parto orgasmico con le candele e i canti mantrici.
Take care..... senza peccare di vanità.





giovedì 10 ottobre 2013

Ruolo della doula e ruolo dell'ostetrica



Ve la vendo così come me l'hanno venduta.

Una donna incontra la sua ostetrica, ovvero quella che a breve l'assisterà a domicilio durante il parto. La donna dice all'ostetrica "Voglio che tu ti occupi solo della parte sanitaria, perchè per il sostegno emozionale ci penserà la mia doula".

E' andata davvero così? C'è stato un fraintendimento nella comunicazione? Qualcosa di vero comunque ci sarà, se il messaggio è arrivato così, e "qualcosa di vero" è già troppo.
Cosa avrei fatto se fossi stata l'ostetrica: mi sarei rivoltata come una biscia per reagire all'umiliazione.
Cosa avrei dovuto fare se fossi stata la doula: avrei dovuto chiedermi "come ho potuto far passare un messaggio così mostruoso?"
Non sono quella doula, e so che non potrei esserlo, ma lo stesso questo episodio mi ha colpito come una sberla. E mi interrogo.

giovedì 5 settembre 2013

La cammella e il cammellino




Un pomeriggio d'estate mi sono finalmente guardata "La storia del cammello che piange". Finalmente perchè erano anni che rimandavo.
E' un documentario girato all'interno di una minuscola comunità di pastori accampata nel deserto della Mongolia, composta da donne, uomini, bambine, bambini, capre e cammelli. Una trentina di anime in tutto.

Alcune cammelle sono incinte e prossime al parto. E' un argomento di cui si parla e ci si alza la notte per vedere che tutto vada bene.
Una delle cammelle ha però un parto lungo e doloroso, ha gli occhi pieni di paura e si lamenta giorno e notte. E' molto sofferente e i pastori l'aiutano con fatica  a far nascere il camellino. 
Sembra che tutto sia finito bene, ma la cammella rifiuta il piccolo, lo caccia quando lui cerca di succhiare il latte e ha sempre quello sguardo pieno di paura che aveva durante il doloroso travaglio, come se fosse rimasta incagliata in quel tempo.
I pastori cercano di convincerla, avvicinando il cammellino alla sua faccia perchè lei possa annusarlo, ma non serve a niente. Si allontana dalle tende e invano il povero cammellino la rincorre. 
La vecchia di casa la sa lunga: "Ha avuto un parto difficile ed è il suo primo figlio. Può succedere". 
La famiglia decide infine di andare a chiamare un musicista che abita a qualche ora di cammellata nel deserto, e sono due bambini ad andare.
Il musicista arriva in groppa a un motorino scassato, imbracciando uno strumento a corde simile a un violino. Dopo il tè di benvenuto dentro alla tenda, tutta la comunità si siede intorno alla cammella e al musicista. Per prima cosa lui appoggia lo strumento al corpo di lei, e lascia che il vento, passando tra le corde, produca delle vibrazioni e dei deboli suoni. Poi inizia a suonare, mentre una donna della famiglia accarezza amorevolmente il collo della cammella, senza fermarsi mai.
All'inizio la cammella ha il solito sguardo spaventato, ma al tempo stesso è come se qualcosa riuscisse ad attirare la sua attenzione, infiltrandosi in quel tempo in cui pare essere rimasta incagliata. 
Il violinista suona e la donna che l'accarezza inizia a cantare.
Ora la cammella ascolta la musica.
Il violinista suona e la donna l'accarezza e canta.
Il cammellino geme, tenta disperatamente di avvicinarsi alla madre, ma un pastore lo trattiene, ha paura che sia troppo presto. Poi lo lascia andare e la cammella per la prima volta non lo caccia. Il piccolo annaspa sotto il ventre della madre alla ricerca del capezzolo e inizia a succhiare.
La cammella ha lo sguardo attento e ad un certo punto dai suoi occhi sgorgano copiose lacrime. Ora il suo sguardo non è più pieno di paura, sembra invece essere tornata da lontano, da un posto che faceva paura. Annusa il piccolo e strofina il muso tra i suoi peli, mentre il musicista continua a suonare.
E' un bellissimo film. Un racconto semplice, pieno di poesia e che ci riguarda, perchè le donne non sono tanto diverse dalle cammelle.

Ma perchè perchè perchè il titolo è "Storia del cammello che piange" e non "Storia della cammella che piange"....????? Perchè?






mercoledì 4 settembre 2013

Dice Mariangela....

foto di Neil Palmer

Sermone ai cuccioli della mia specie


Cari cuccioli,
vi ho guardato a lungo.
Ero lì nascosta nel buio
e vi guardavo giocare,

nascosta nel buio come una carogna,
come una spia che studia
il nemico, come un ladro che aspetta
il momento buono,
come un terrorista
che guarda a distanza
e fa i suoi piani d’innesco.
Io vi guardavo ammutolita,
intenerita da voi,
cari cuccioli della mia specie,
e poi anche disgustata da voi
che eravate lì inermi a un palmo dal
mio naso.

Siete indeboliti cuccioli. Siete
Spaventati e soli. Siete avidi. Siete sazi. Siete svuotati.
Sfiniti siete. Siete vinti.

Io vi guardavo da una quasi nausea,
da tutto quel buio: ricordavo
un’antica infelicità d’infanzia, un’antica
paura.
Ricordavo bene quell’essere fra gli
Altri, spersa, sola.
La mia paura me la ricordavo,
guardando la vostra. Ricordavo bene
il mio sguardo, come se lo avessi
sempre visto da fuori:
sbigottito, quasi non ci credevo
d’essere in questo mondo,
non me lo spiegavo, il mondo,
non mi raccapezzavo.
Come precipitata ero,
dalle altezze caduta molto giù,
molto di lato, nel mondo degli uomini
e delle donne. Nel mondo
delle case di mattoni.
Nel mondo dove si lavora e
Si mangia e si dorme e
Si fa la cacca ogni giorno
E ogni giorno si fa la pipì
Tante di quelle volte e si mangia e
Si dorme e ci si lava la faccia.

Da dentro quello sguardo,
chiusa lì dentro
nella mia fortezza
io guardavo il mondo dei grandi e
provavo una grande pietà.
Io li sentivo che piangevano dentro.
Sentivo che non ce la facevano.
Li sentivo gridare dentro. Con muri
dentro, con scarafaggi e muffe,
dentro.
E un giorno,
quando ero molto piccola,
ho fatto giuramento,
un giuramento infante,
senza le parole, ma chiarissimo
e sonante:
io me li prendo tutti nel petto
e li scampo
li porto in salvo.

Ho giurato così,
senza dire neanche una
di queste parole,
ma con tutte queste parole più forti cento volte.
Nel mio letto, vicino al grande
armadio con lo specchio,
fra le sponde alte di legno,
con la sorella vicina che tossiva,
giuravo forse ogni notte, per quella
tosse, per la faccia stanca
del mio babbo, e per tutte le facce
dei grandi,
coi loro segni come di grande pena.
Una bambina nel suo letto
ha fatto il giuramento,
recitato la formula che salva,
forse ha vinto sulla morte
e sul mondo.

Aspettavo il giorno in cui mi
avrebbero detto il grande segreto.
Sentivo, lo sapevo, che dietro al loro
non dire niente
si nascondeva la grande verità.
Sentivo, lo sapevo, che loro sapevano
tutto quello che io non sapevo.
Sentivo che un giorno me lo
avrebbero detto
e io avrei capito il mondo
e non avrei sofferto come loro,
perché loro stavano già soffrendo
anche per me. Sentivo e aspettavo.

Poi molto piano, molto in ritardo,
molto piano, millimetro dopo
millimetro,
in un lavoro di tic tac e minuti molto
piccoli, piano piano,
sono passata di là,
sono caduta del tutto nel mondo,
appiattita, schiacciata al suolo
in un lento atterraggio.

Adesso, cari cuccioli, io sono grande.
Sono molto grande.
Sono quello che mai e poi mai
avrei voluto essere:
una persona grande.
Adesso io sono dei loro.
Adesso lontanissima sono
dai miei favolosi sette anni,
quando ero un genio buono,
uscito da poco dalla lampada,
e un filosofo ero, ma senza
le parole, un grandioso poeta
analfabeta, un artista senz’arte.

Adesso da qui, da questo esilio duro,
da questo corpo con peso, da questa
mente complicata,
da questa mente ingombrante,
da qui,
da questo buio che è tutto il mio,
da qui vi guardo, adorandovi.
Vi chiedo aiuto.
Una parte di me vi supplica,
vi implora, vi chiede aiuto e aiuto.
Adesso tocca a voi salvarmi, fare
Il giuramento.
Potrete? Ci riuscirete? Mi sentite?
Sentite?

Dicono che siete rotti.
Siete sazi, dicono. Corrotti.
Rovinati siete, come tutto il resto.
Anche voi nella lista lunga delle
Perdite: l’acqua, l’aria, il silenzio,
il pudore… Anche voi.
Stuprati siete, rotti. Vecchissimi e
Troppo stanchi per l’infanzia. Scarichi.
Vuoti.

Allora adesso imparate.
Imparate l’odore dei nemici potenti.
Sbranate, cuccioli, le loro mani piene.
Scassate le loro tane come galere.
Sputate sui loro piatti, incendiate le
Stanze gonfie di giocattoli,
scappate, morsicate, tirate pietre sui
televisori, scalciate, spaccate questo
micidiale nostro sogno, l’inesauribile
bisogno di confort,
fateci a pezzi, scancellate noi, puniteci
per avere fatto di voi
le nostre miniature
per avervi disinnescati, resi innocui,
per non avervi ascoltati, nel vostro
sommo sapere.

Voi che eravate le porte
del regno dei cieli
e chi non passava da voi non passava
voi che eravate purissima gioia
voi che eravate noi bloccati nella
più grande bellezza
voi che somigliavate ai cuccioli
degli altri animali
voi che capivate lo splendore
misterioso degli animali
voi che dormivate un sonno perfetto
e benedetto
voi che vi svegliavate ridendo
voi che facevate balletti strepitosi.
Voi, nostre divinità domestiche.

Nascete ancora, cuccioli. Restate.
Siate. Salvate. Giurate. Siate. Siate.
Siate.

Mariangela Gualtieri


mercoledì 28 agosto 2013

Vuoi diventare doula?



Ok ci siamo, a settembre si parte con il percorso di base per diventare doula con Mammadoula...!
Ma insomma, che cos'è una doula? E che cosa farà questa scuola?

giovedì 8 agosto 2013

Persone da ricordare



di Marzia Bisognin

Questo signore si chiamava Ignác Semmelweis. Era un medico ungherese nato nel 1818, assistente nella Clinica ostetrica di Vienna.
All'epoca negli ospedali le donne morivano come mosche di febbre puerperale. A casa succedeva raramente. E anche nello stesso ospedale ne morivano di più nel reparto affidato ai medici, piuttosto che in quello dove le donne erano assistite solo dalle ostetriche.

giovedì 1 agosto 2013

L'ambizione della doula

Wonder Doula


Allora ricapitoliamo: la doula non sostituisce l'ostetrica e nemmeno la pediatra, il medico di base, il ginecologo, la psicologa, l'avvocato o l'assistente sociale. Non sostituisce nemmeno il padre o l'altra mamma nel caso di una coppia omosessuale. Non sostituisce le nonne, le bisnonne, le sorelle, l'amica del cuore, la colf, la vicina di casa impicciona e neanche quella discreta. Non sostituisce nessuno e nemmeno ci tiene. Si propone di essere una persona di casa, amichevole, discreta e utile. Ove possibile, collabora con tutti. Ove non possibile, pazienza.

La doula ha l'ambizione di apportare benessere alla donna che diventa madre, ascoltandola, accudendola, aiutandola nelle difficoltà pratiche. Ha l'ambizione di rispettare il suo essere protagonista e di facilitare l'attivazione delle sue risorse. Ha l'ambizione di proteggere la coppia mamma-bebè. Ha l'ambizione di offrire una bussola di orientamento quando tutto sembra essersi ribaltato a testa in giù.
La doula si picca di avere competenze pratiche e relazionali, si prepara a lungo per questi compiti che possono sembrare banali però non lo sono affatto, non ha competenze sanitarie ma non è una buzzurra praticona. Si rivela essere particolarmente utile quando la madre non può contare su un robusto sostegno familiare.
Fine.

martedì 30 luglio 2013

Non ho competenze sanitarie

Keith Haring

“La nostra non è una battaglia contro qualcuno, piuttosto una battaglia a favore di qualcosa: la salute della donna e del bambino”.
Comincia così l'intervista all'ostetrica Silvia Vaccari, presidente del collegio delle ostetriche di Modena, in cui parla della pericolosa doula. Neanche a dirlo.
Sono sicura che la dottoressa Vaccari ha davvero a cuore la salute della donna e del bambino,  e ne sono felice, ma insomma decidiamoci: queste donne incinte sono delle ammalate croniche oppure no? La gravidanza è una insidiosa malattia, un allarmante stato patologico dell'esistenza che dura fin dopo il parto, oppure no? 

lunedì 15 luglio 2013

Diventare doula con Mammadoula



Ci sono molti modi per viaggiare. 
A me piace viaggiare varcando i confini in punta di piedi, aguzzando le antenne sensitive  e facendomi contaminare. Amo scambiare odori, parole, fatiche, banalità, ritmi e sapori nei luoghi in cui vado, accorgendomi che ci sono altri punti di vista, altre angolazioni da cui guardare i fatti della vita, altri modi di arredare le case, altri modi di nutrirsi, altri modi di stare con i bambini, altri modi di pensare. Ogni volta che viaggio è come se si aprisse una finestra e il contatto con cose che non appartengono alle mie abitudini mi illumina. 

lunedì 17 giugno 2013

Mammiferi



foto Sean Dreilinger



"La funzione primaria dell'accudimento come variabile affettiva è quella di garantire contatti corporei frequenti e intimi dell'infante con la madre. Certamente, l'uomo non vive di solo latte."

Lo scriveva Harry Harlow nel 1958 dopo avere concluso il famoso esperimento sulle scimmiette. Per chi non lo conoscesse già, alcuni cuccioli di scimmia furono separati dalla madre e vennero chiusi in gabbia con due sostituti materni: uno di peluche,  morbido e riscaldato, che non forniva latte e l’altro freddo, metallico, ma che erogava latte. Tutti i cuccioli mostrarono di preferire il surrogato di peluche, gli si aggrappavano con forza, arrivando in certi casi persino al rifiuto di fare i pochi passi per accedere al nutrimento, fino alla morte per denutrizione.


Tra il cucciolo di scimmia e quello di umano ci sono delle differenze, certo, ma gli istinti primari sono quelli. Ad esempio, il riflesso di prensione palmare dei nostri neonati è un ricordo di quando ci aggrappavamo con forza alla pelliccia della mamma, che altrimenti ci perdeva nella foresta.
Il primo libro di Michel Odent pubblicato in Italia si intitolava "Il bebè è un mammifero", e rispettava l'originale "Votre bébé est le plus beau des mammifères". Pochi anni fa è stato ripubblicato con un titolo diverso, "Abbracciamolo subito!". Io me lo sono comprato, pensando fosse un testo nuovo, e man mano che leggevo mi convincevo che Odent non riusciva più a dire niente che non avesse già detto. E' anziano, succede.... ma insomma, anche gli stessi esempi....! Arrivata a metà mi è venuto il dubbio, e ho capito.
Che peccato. In quel titolo c'era tutto il senso del libro: siamo mammiferi, abbiamo bisogni primari che appartengono alla storia della nostra specie.... riconosciamoli, concediamoci di farli affiorare, godiamoceli, perchè ci guadagneremo tutti. L'amore incomincia così.
Invece in quel "abbracciamolo subito", completato da un imperativo punto esclamativo, c'è odore di amore senza se e senza ma

Ma che cos'è l'amore? Come incomincia? E può l'amore essere senza se e senza ma?



 

sabato 15 giugno 2013

Pelo pubico

l'autoscatto di Anastasia Chernyavsky

Qualche giorno fa è girato un post su facebook a proposito del pelo pubico, a cui hanno fatto seguito simpatiche e interessanti riflessioni.
Tutto è nato da un disegno dell'artista Skid Staniak che ritrae una porzione del corpo di una ragazza, dall'ombelico alla coscia, la quale indossa un paio di pudici slip. Ma da questi slip  spuntano i peli pubici, ai lati e sopra. L'opera ha causato un certo scandalo tra il popolo della rete, e si sono tirati in ballo concetti come decoro, eleganza, bellezza, decenza, ridicolo, igiene, comodità. Questa reazione ha causato un certo scandalo tra il popolo della rete, e si sono tirati in ballo concetti come femminismo, autodeterminazione, libertà di espressione, salute.

Poi è successo che un autoscatto della fotografa Anastasia Chernyavsky in cui si ritrae nuda, con i figli nudi e una goccia di latte che le sgorga da un capezzolo, è stata censurata da facebook. Nel giro di pochi giorni è sparita da tutte le bacheche (anche dalla mia) con relativi commenti, e anche su internet ormai se ne trovano solo versioni tagliate sopra il pube. Quella che metto qui l'ho trovata su un sito spagnolo, tagliata un poco meno delle altre.
Elena ha ipotizzato che lo scandalo siano i peli pubici, e credo abbia ragione, anche se quella goccia di latte.... beh insomma, un corpo che emette umori umidicci.....sappiamo che può turbare. C'è chi è turbato dal sudore, chi dall'urina, chi dalla saliva, chi dal sangue mestruale, chi dal latte materno, chi dallo sperma, chi da tutto insieme. E non è forse per questo che si lavano i neonati appena venuti al mondo, per togliere ogni traccia di umori corporali?
Tornando ai peli pubici, è evidente che suscitano interesse, sia che vengono soppressi, sia che invece vengano coltivati con amore.

Sgombro il campo da considerazioni quali che "le donne si assogettano al gusto maschile e ai canoni imposti dall'alto dell'industria estetica", perchè non ci credo, e cerco di avere uno sguardo panoramico, puramente descrittivo.
Quando ero bambina, sentivo dire che le donne pelose piacevano (donna baffuta, sempre piaciuta). Donne di carattere, che a letto sapevano divertirsi..... vabbè sono emiliana e dalle mie parti questo è sempre stato un valore assoluto. Alle scuole medie, della professoressa che accavallava le gambe i ragazzi cercavano di vedere "il pelo", come dicevano senza peli sulla lingua.  Io invece, come tante altre in quegli anni, amavo le donne esili, con poco seno e senza pelo sul labbro superiore e sulle gambe. I passi per allontanarci dalla nostra scimmità si stavano velocizzando, ma il pelo pubico restava pur sempre un luogo ancora selvaggio, arcaico, e tra amiche il grado di allontanamento dall'infanzia lo si misurava a numero di peli. In mezzo a quella pelliccia che andava formandosi succedevano cose molto interessanti e quando ho partorito la scimmia insita in me ha avuto la massima libertà di espressione.
Oggi, a distanza di appena quarant'anni dalle mie scuole medie, tante donne giovani si rasano il pube completamente. Un'amica ginecologa mi racconta che raramente vede pelo giovane, e spesso le capita che una ragazza si scusi per non essersi ben depilata.
Alcuni uomini che hanno superato la sesta decade sono intervenuti su facebook colmi di stupore "Ma veramente le donne si depilano il pube...???" . Che teneri...
C'è chi ha detto "ma perchè le donne devono essere glabre e gli uomini selvaggiamente pelosi?". A dire il vero gli uomini giovani che si depilano le sopracciglia, la schiena, il petto e le gambe sono tanti. Basta poi andare in una spiaggia per nudisti un sabato pomeriggio per vedere che anche i loro peli pubici stanno perdendo appeal.
Una donna è intervenuta facendo notare come da giovane ti dovresti togliere tutti i peli, con grande dispendio energetico, e poi quando invecchi e i peli li perdi naturalmente, non ti guarda più nessuno.
Il mondo visto dalla prospettiva del pelo....
La storia umana la si può vedere come una storia di peli che si estinguono e probabilmente un giorno incominceremo a nascere completamente glabri. E' l'evoluzione, bellezza.
Le donne hanno forse incominciato per prime a velocizzare questo processo, almeno dalle nostre parti.
Tenersi un po' di pelo tribale è un segno attaccamento a una certa natura selvatica, che può diventare anche una forma di ribellione al corpo moderno, asettico, ben monitorato dai protocolli della prevenzione. Personalmente mi auguro che riusciremo a trovare una forma di evoluzione che non rinneghi la nostra animalità, che sappia abbandonare certa brutalità primitiva senza perdere il piacere di avere un corpo. Con o senza peli.

17 giugno - Grazie all'amica Ilaria ho potuto recuperare la foto originale: eccola qui








lunedì 27 maggio 2013

Un'arte basata sull'amore


foto di Olga Rey


Ecco, l’ostetrica Ibu Robin Lim ha finito il suo tour e se n'è andata dall'Italia, lasciando dietro di sé una scia di calore, di entusiasmo, di parole profonde, di abbracci. 
Sono state giornate ricche e impegnative. Questa donna minuta ha una forza, una determinazione e un vigore stupefacenti, e non fidatevi mai quando qualcuno vi preannuncia che vi troverete davanti una Robin stanca: lei sarà indubbiamente stanca e lo vedrete con i vostri occhi, ma voi darete fondo a tutte le vostre energie per poterla seguire, e alla fine vi chiederete dove lei trovi la fonte di tanta vitalità.

mercoledì 17 aprile 2013

Memorie di un parto cantato


Bruce Chatwin nel suo diario di viaggio in Australia Le vie dei canti, ci racconta che gli uomini del tempo antico percorsero tutto il mondo cantando; cantarono i fiumi e le montagne, le dune di sabbia e le saline. Andarono a caccia, mangiarono, fecero l’amore, danzarono, uccisero e in ogni punto del loro cammino lasciarono una scia di musica.
Avvolsero il mondo intero in una rete di canto e così lo fecero esistere. Queste “vie dei canti” sono rimaste sulla terra come vie di comunicazione tra le tribù aborigene più lontane, l’Australia intera può essere letta come uno spartito musicale. Si credeva che un Antenato, mentre percorreva il paese cantando, avesse lasciato sulle proprie orme una scia di cellule di vita, o bambini spirito. Una specie di sperma musicale.
Il libro di Elena Skoko Memorie di un parto cantato.Una nascita gentile con Ibu Robin Lim ha come filo conduttore  il canto, e leggendolo ho pensato spesso a questo racconto di Bruce Chatwin.

Non ho mai incontrato Elena, non ancora almeno. L’ho conosciuta solo sul web, ci siamo scritte diverse volte, dovevamo incontrarci a Bologna una volta che era qui di passaggio, ma poi non ci siamo riuscite. Quel giorno mi telefonò e aveva una voce argentina e piena di energia, affannata per il passo sostenuto.
Questo libro è la sua storia, da quando non le passava nemmeno per la mente di fare un figlio perché le faceva paura, all’incontro con l’uomo che le ha fatto decidere di procedere verso l’ignoto, fino alla gravidanza e alla nascita della figlia.
Si diventa madri attraverso una lunga metamorfosi fisica e interiore, gestazione di una nuova vita e di sè stesse al contempo, ed è bello seguire Elena nel suo cammino in questo territorio sconosciuto; ogni giorno è un nuovo principio per lei e vi si butta a capofitto. Per attraversare questa trasformazione si è messa in ascolto della metamorfosi in atto ed è andata per tentativi. Dal momento in cui si è scoperta in gravidanza, si è resa conto di non averne mai saputo quasi nulla, ed è stata afferrata dalla febbre bibliografica. E’ diventata vorace, ha trangugiato libri su libri, ha saccheggiato il web e infine ha riversato il sapere accumulato in queste pagine, mescolando un accurato compendio sulla cultura che si è fatta sull'argomento alla narrazione del suo percorso più intimo.
Elena è una donna moderna e libera, una con il rigore delle piccole pioniere di Tito, quale era da piccola, cresciuta però quando nel suo paese non c’erano più certezze, e dunque è abituata a mettere tutto in discussione. E’ disincantata ma innamorata dell’incanto, ha provato tutte le strade possibili prima di trovarne una che la convincesse, che le permettesse di passare la gravidanza e infine partorire a modo suo, secondo il suo sentire. Passo dopo passo, ha fatto quello che la faceva sentire tranquilla, che la rassicurava, sperimentando le sue paure, i suoi pregiudizi, i suoi limiti e il suo coraggio.
E’ un racconto appetitoso, gonfio di sensualità, di erotismo, di curiosità, di slanci, di pazzie, di ingenuità, di allegria. Parla di piacere, di ozio goduto, di corpo sensibile. Canta perché le piace cantare e mangia perché le piace mangiare.
Ad un certo punto di questa avventura ha conosciuto a Bali Ibu Robin Lim, ostetrica eroica e leggendaria che Elena descrive come “una tigre nelle vesti di un’esile e simpatica hippy cinquantenne”. E’  questo incontro a farle decidere di partorire a Bumi Sehat, la clinica fondata da Ibu Robin in un villaggio rurale dell’isola, dove si è sentita accolta con semplicità e calore. Finalmente ha trovato l’accordo giusto e tutto si è srotolato con naturalezza, perché non c’era bisogno di spiegare niente. Questa donna minuta, che si prende cura di tutti e dispensa generosi “I love you”, era in perfetta consonanza con il suo sentire: “Ogni nascita coinvolge sia il mondo visibile che quello invisibile. E’ un’opportunità per l’invisibile di intervenire brevemente ed essere servito con adeguato rispetto. Dopotutto la venuta al mondo è il momento in cui si apre la porta tra i mondi”.(1)
Elena ha travagliato, e infine partorito, cantando. Ma nessuno si aspetti vocalizzi mistici emessi nell’austera posizione del  loto:  Elena è una rockstar, una succulenta Marylin bionda e tatuata, l’incarnazione imponente e feconda di una guerriera slava, come l’ha definita un amico.
La sua è una vicenda non usuale, direi anzi decisamente originale. Eppure ciascuna donna che legga il suo racconto potrà riconoscere, ritrovare qualche pezzettino di sé, pur se di figli non ne ha fatti mai.
Narrare e ascoltare storie sono sempre stati bisogni fondamentali di noi umani, dalla notte dei tempi. Però, tra le storie che si raccontano sono rare quelle che narrano la nascita e che si soffermano proprio sul momento del parto, quasi considerassimo il momento del nostro principio poco importante.  Quando succede di poterne ascoltare una, è sempre un grande dono che si riceve. Ascoltare la storia di un parto ci permette di immedesimarci, di sentire, di entrare nella concretezza del coraggio necessario alla madre e al figlio, della vulnerabilità inevitabile, della paura che artiglia la carne, della furia delle forze in atto.
Una storia arriva dove nessuna teoria e nessun discorso astratto potrà mai arrivare.

Il libro, pubblicato in inglese con il titolo Memoirs of a Singing Birth nel 2012, uscirà a breve in italiano, durante il tour di Ibu Robin Lim in Italia.

(1) Robin Lim (1991) Dopo la nascita del bambino Urra-Apogeo, Milano, 2007

giovedì 11 aprile 2013

Tutto parla di noi



I figli non appartengono alla madre, diceva il grande Khalil Gibran.
I figli non appartengono alla madre e nemmeno alla coppia che li ha generati. Non appartengono a nessuno se non a loro stessi,  e fanno parte della collettività, dunque un pochino sono figli di tutti.
Questo è uno dei pensieri che mi hanno attraversato la mente mentre guardavo Tutto parla di te di Alina Marazzi. Non tanto seguendo la storia principale, ma guardando quelle immagini di sfondo,  che sembrano quasi casuali:  la mamma che aspetta l'autobus con una mano appoggiata al passeggino, quella che attraversa la strada in mezzo alla folla con il bebè nella fascia, quella che avanzando sul marciapiede spingendo la carrozzina ne incrocia un'altra che cammina in senso contrario. In poco più di ottanta minuti di film, abbiamo visto un concentrato di neonati aggirarsi nelle strade, li abbiamo visti emergere come fossero stati imbevuti di un liquido rivelatore. I neonati sono tra noi, ci guardano e ci riguardano, nessuno dovrebbe sentirsi esente da questo sentimento.

Le madri che li portano nel ventre, che li partoriscono, li nutrono e li accudiscono a stretto contatto con il proprio corpo fino a quando non fanno i primi passi, vivono invece come in un universo a parte, come se fossero uscite dalla collettività, esiliate. Lo raccontano dolorosamente tante donne nel film. Il mondo intorno aspetta che tornino alla normalità e nel frattempo le giudica, dispensa consigli e le guarda senza vederle.
Un tempo, quando c'erano le grandi famiglie e la società era meno urbanizzata, le donne che avevano già esperienza circondavano quelle che diventavano madri, le quali certamente così si sentivano poco sole, e ogni nascita era fortemente vissuta come un evento che riguardava la collettività.
Eppure non dobbiamo fare l'errore di idealizzare il passato. C'erano codici  molto precisi da rispettare, regole che la giovane sposa,  presto madre,  doveva seguire. Entrava nella sua nuova vita sapendo bene qual'era il suo posto e non poteva fare le cose di testa sua. Mica che la suocera o la cognata si mettevano accanto a lei e montessorianamente le chiedevano "tu come faresti cara....?". Se poi restava incinta senza avere un uomo che l'avrebbe sposata, diventava una reietta. Nel film è inserita una pubblicità di littoriana memoria, dove si spiegava alle donne come compiere virtuosamente la propria missione di madri, e non c'era spazio per desideri personali o sentimenti ambivalenti. Se lo sfinimento, le lacrime e i cattivi pensieri non cessavano in fretta, la sciagurata veniva isolata nella stanza più inaccessibile della casa, oppure rinchiusa in manicomio. Ricordo bene un'amica che aveva la mamma chiusa da anni in una stanza ricavata dalla soffitta, le portavano da mangiare perchè non scendeva nemmeno in cucina e fuori casa non  la si vedeva mai, era vergognoso persino parlare di lei.
Oggi le donne sono cambiate e la società è cambiata. Dobbiamo escogitare, e infatti lo stiamo facendo, nuovi modi per comunicare, per darci ascolto e supporto reciproci. Ma la maternità, quella dei primi tempi soprattutto, pare essere incagliata in un mondo a parte. Se ne parla solo tra "addetti ai lavori": ostetriche, psicologhe, gruppi che del sostegno alla maternità hanno fatto una professione, doule, mamme tra mamme. Ma il tema non riesce ad entrare nella cultura con la C maiuscola, sembra destinato ad essere relegato in luoghi pensati per questo uso, oppure tra le pareti delle cucine di casa.
Anche per questo ieri sera ho provato un piacere immenso. Tutto parla di te lo si è guardato al cinema Lumiere, e sempre al Lumiere se n'è parlato. La sala era così piena che molta gente è rimasta fuori, e hanno fatto una seconda proiezione.

Il racconto di Alina Marazzi si snoda tra le ambivalenze del sentimento materno, della depressione post-parto, di quello scoramento che ti prende quando non dormi più la notte, quando ti sembra di non sapere rispondere al pianto del bambino, quando ti vedi brutta e scialba, quando non hai la forza di fare le piccole cose quotidiane, quando tutto ti costa fatica, quando ti senti una cattiva madre, quando hai dei sentimenti aggressivi nei confronti del tuo bambino, quando senti l'impulso di fargli del male.
E' importante accettare l'idea che la vita è fatta di sentimenti contrastanti, anche e soprattutto quando diventiamo madri, non dobbiamo respingerli per paura. L' impotenza, la fragilità, la frustrazione, il senso di colpa, la rabbia, sono tutti aspetti della nostra condizione di esseri umani. Non lasciare sole le madri non deve coincidere con il tentativo di rimuovere questi sentimenti. Perderemmo il senso del miracolo che ogni nuova vita porta con sè, che è fatto anche di smottamenti interiori, e finiremmo dritti dritti nello stereotipo fasullo e ideologico della madre solo felice e fiera del suo operato. A perfetta imitazione della mamma della casa delle bambole, nella bellissima animazione che c'è all'interno del film.

Mi sono identificata un po' nella figura di Pauline, pur non avendo alle spalle una storia tragica come la sua.
Pauline frequenta un centro dove vanno le donne che stanno diventando madri o lo sono appena diventate. Le osserva, ascolta i loro racconti ma resta sempre laterale, non è animatrice di alcun gruppo, non è specializzata in niente. Avvicina la giovane Emma e la frequenta fuori da questo posto, si vedono al bar, camminano insieme per la strada, entra in casa sua. La porta anche a vedere i camaleonti e le tartarughe, e sorridono insieme osservandoli nelle teche di vetro.
Ho sentito dentro la mia pelle la narrazione di tutta quella fatica materna raccontata senza enfasi, l'ho sentita così tanto che mi sono quasi commossa a guardare gli animaletti zampettare, teneramente vivi, fuori dal tunnel  opprimente in cui Emma e tante altre sono intrappolate.



Il 10 aprile a Bologna Tutto parla di te è stato presentato in anteprima dalla Cineteca, in collaborazione con BIM, Associazione Mammadoula, Casa maternità Il Nido e Biblioteca Italiana delle Donne di Bologna.
Alla fine della proiezione è seguito un dibattito tra Alina Marazzi, Annamaria Tagliavini (direttrice Biblioteca Italiana delle Donne), Marzia Bisognin ovvero me medesima, Maria Mazzoli (giovane mamma di cui sono stata doula), Annalisa Pini (ostetrica della Casa Maternità Il Nido) e Anna Frigerio (psicologa).






domenica 7 aprile 2013

Il punto di vista di Grazia Honegger Fresco


Bell'intervento di Grazia Honegger Fresco sulla solitudine delle madri, all'interno del progetto Tutto parla di voi, in cui si pronuncia anche sulla figura della doula.

CLICCA  per vedere il video

Grazia Honegger Fresco, da oltre cinquant´anni, svolge la sua intensa attività di pedagogista ed erede di Maria Montessori, della quale fu allieva in uno degli ultimi corsi da lei diretti. Ha a lungo sperimentato la forza innovativa delle proposte montessoriane - dalla nascita alle soglie dell'adolescenza - nelle Maternità e nei Nidi, nelle Case dei Bambini e nelle Scuole elementari. Sulla base delle esperienze realizzate con i bambini e con i loro genitori, dedica da vari anni molte delle sue energie alla formazione degli educatori in Italia e all’estero, adottando metodologie attive, apprese in numerosi incontri con i CEMEA francesi e italiani.
Grazia Honegger Fresco è stata Presidente del Centro Nascita Montessori di Roma dal 1981 al 2003 e a tutt´oggi è membro del Direttivo. E´ consulente pedagogica di AMITE (Associazioni Montessori Italia Europa). Nel 2008 ha ricevuto il "Premio UNICEF-dalla parte dei bambini". Dal 1984 è condirettrice della rivista trimestrale "Il quaderno Montessori", fondato insieme a Lia De Pra Cavalleri.
Il suo contributo scientifico e professionale all'approfondimento della teoria montessoriana l'ha resa una delle più autorevoli autrici di opere divulgative in campo educativo destinate ai genitori e ai nonni. Il suo testo Essere genitori (Edizioni RED) è un vero e proprio best seller in grado di chiarire i vari dubbi che sorgono nello svolgere il difficile "mestiere" di genitori. Sua è anche la biografia Maria Montessori, una storia attuale, che racconta l'intera parabola intellettuale ed esistenziale della sua insigne maestra. (dal sito Centro Nascita Montessori)

mercoledì 27 marzo 2013

Nascita di Mammadoula



E' nata, è nata !!!!!!!!!!!

Con emozione e trepidazione vi annunciamo che mammadoula è ora un'associazione nazionale!

In questa nuova avventura sono rimasti immutati il nostro entusiasmo e il nostro impegno nell'essere doule a fianco delle donne, ma con la nuova forma potremo offrire nuove opportunità sia alle doule che alle donne da loro accompagnate. 

Vuoi saperne di più? 
Scrivi a mammadoula@mammadoula.it

mercoledì 20 marzo 2013

Parliamo della campagna per la difesa del latte materno




Va bene, parliamone. 
Premetto che la frase d’esordio del Manifesto  “Il latte materno è un Bene Comune di inestimabile valore” mi fa venire l’orticaria. Il corpo della donna non è mica un giardinetto pubblico, un luogo di cui tutti possono e devono gioire e prendersi la responsabilità. E non lo è nemmeno il latte che quel corpo produce, abbiate pazienza.
Ma andiamo alla sostanza del Manifesto.  Non riesco a capire la ragione di fare una battaglia specifica sull'inquinamento del latte materno. Se è intossicato quello, saremo intossicati in ogni parte del nostro corpo, così come saranno intossicati i pomodori , la lattuga, le mele, le pere,  il latte delle mucche e il Parmigiano Reggiano di cui ci nutriamo.
Un ricercatore nel campo dei contaminanti ambientali, tal Walter Rogan, insieme ai suoi colleghi,  a partire dal 1981 e per quindici anni ha effettuato uno studio prospettivo continuo su madri del North Carolina e i sui loro bambini. Chi ha voglia può leggersi tutto l’articolo che racconta dettagliatamente i risultati della ricerca, comunque il succo è che i bambini allattati, anche quelli esposti ai limiti massimi di contaminanti ritenuti presenti nel latte materno, ricevono molti più benefici piuttosto che danni.
E del resto lo dice anche il Manifesto suddetto: “Lanciando questo allarme non vogliamo in alcun modo disincentivare le mamme dall’allattamento al seno, perché ciò provocherebbe un ulteriore danno alla salute di mamme e bambini: gli studi ad oggi effettuati in vari paesi dimostrano che, anche in ambienti inquinati e quindi a parità di esposizione in utero, i bambini non allattati al seno hanno peggiori esiti di salute rispetto ai bambini che ricevano il latte materno anche se contenente sostanze tossiche”.
Dunque???? Cos'è che mi sfugge?
Si afferma che il latte materno può essere un sistema semplice, non invasivo e su base volontaria per misurare l’accumulo di schifezze nel corpo umano. Va bene, monitoriamolo.  Facciamo pure una campagna per invitare le madri nutrici che abitano in zone molto diverse tra loro a offrire un campione del loro latte per conoscere l’impatto che quel territorio ha sui corpi che lo abitano. Ma i dati che poi ne ricaviamo non usiamoli per dire che il riciclo dei rifiuti proteggerà il latte materno, ma piuttosto che migliorerà la salute di tutti coloro che vivono lì, anche se non ciucciano più latte di mamma da decenni.
Non sono una scienziata né un’agronoma ma sono cresciuta quando in casa si spruzzava DDT come se piovesse, i pesticidi con cui si irroravano i campi erano ben più tossici di quelli attuali, e i coloranti nell'industria alimentare non avevano regolamentazione.  Intendiamoci, cerchiamo di fare tutto quello che possiamo per tutelare la salute della terra che abitiamo, però qualche volta proviamo a vedere che non tutto va sempre e solo peggio di prima. Chi fa della ricerca non è sempre pagato dalle multinazionali cattive per recar danno a noi, popolo dei consumatori.
Ma quello che davvero non mi piace di questo Manifesto, e di questa campagna, è il messaggio di paura e di sfiducia che sottilmente trasmette.
In India si dice che una donna incinta dovrebbe essere circondata solo di bellezza, e direi che sarebbe bello ampliare quest’idea anche alla madre che si prende cura del neonato e che lo nutre. Avvertire il proprio corpo come portatore di diossina, heptachlor e derivati organici del cloruro non è esattamente rassicurante, specie dopo che si è uscite da una gravidanza gravata da esami per scongiurare eventuali malformazioni, minacciose ritenzioni idriche e ipertensioni, anemie preoccupanti o diminuzione del  liquido amniotico.
Non potremmo sottolineare il potenziale protettivo delle madri, del loro corpo, del loro latte, del loro amore? Non potremmo tutelare i loro sogni, le loro fantasie di onnipotenza, anzichè insinuarci nella loro vulnerabilità?


giovedì 14 marzo 2013

Tutto parla di voi




Dopo una lunga latitanza dal blog, torno per segnalare un bellissimo progetto, ispirato al film di Alina Marazzi "Tutto parla di te" (CLICCA QUI per vedere il trailer).
Il film non l'ho ancora visto, a Bologna uscirà ad aprile, ma so che affronta temi che ho molto a cuore, ovvero la maternità e i sentimenti contrastanti che genera nelle donne. Non vedo l'ora, come immagino tutti quelli che conoscono il  lavoro di Alina Marazzi. Io me ne sono innamorata quando ho visto "Un'ora sola ti vorrei".
Ma torniamo al progetto. 
L'idea è quella di tentare un esperimento di narrazione collettiva, per parlare di maternità e del diventare genitori sfatando i tanti luoghi comuni che ci ammorbano, dalla mamma perfetta e impeccabile alla famigliola del Mulino Bianco. Come si legge sul sito, "uno spazio vivo dove poter visualizzare luci e ombre della maternità, con ironia, risate, scambi di esperienze e di pensieri, anche quelli più scomodi". 
Da sempre penso che narrare e ascoltare storie siano bisogni fondamentali degli esseri umani, e che le storie aiutino a riflettere e comprendere meglio certi passaggi della vita. Una storia arriva dove nessun discorso astratto potrà mai arrivare.
La nascita, il parto, i primi passi delle madri, sono sempre rimasti esclusi dalle Grandi narrazioni, quelle con la G maiuscola, temi relegati allo spazio privato e intimo, quando non privati della parola stessa. E sono rimasti esclusi anche dal Grande dibattito, sempre con la G maiuscola, come fossero temi che riguardano solo le donne, anzi solo le donne che sono madri, e magari gli addetti ai lavori (ostetriche, psicologi, pediatri, doule, assistenti sociali e chi più ne ha più ne metta).
La parola "ricordare" significa letteralmente "riportare al cuore". I ricordi possono essere struggenti, commoventi, dolorosi, strazianti, teneri, ridicoli…...però  raccontano una storia portando sempre con sé un’emozione viva.
Dunque andate sul sito e raccontate. Le  storie saranno raccolte in una prima fase fino al 15 febbraio (ma ho come l'impressione che sia stato posticipato), momento in cui verranno pubblicate sul sito definitivo del webdoc in un'apposita sezione partecipativa.
A partire da quel momento sarà possibile caricarne altre che andranno on line immediatamente a comporre l'intero mosaico.


Clicca per "Tutto parla di voi" su facebook

lunedì 11 febbraio 2013

Sciopero sale parto



Domani 12 febbraio sarà il giorno dell'annunciato sciopero delle sale parto, che vedrà ostetriche e ginecologi congiunti.
Non voglio assolutamente entrare nel merito delle motivazioni nè delle modalità della protesta, tutto è stato ampiamente discusso. Da assoluta esterna, non ho nemmeno sufficienti conoscenze per entrare nel merito, e comunque non mi permetterei mai di farlo.
Però qualche domanda me la faccio....
Saranno garantite la continuità delle prestazioni indispensabili e l'assistenza alle urgenze. Dunque non verrà dato corso alle attività programmate e si stima che questo porterà ad un totale di circa 1.100 interventi nei reparti di ostetricia e ginecologia che dovranno essere rinviati. Verranno fermate anche le attività dei consultori familiari e di tutti gli ambulatori ostetrici del territorio, dove non verranno effettuati esami clinici, visite specialistiche ed ecografie. Un bel disagio, non c'è che dire.
Ma torniamo alle sale parto. Molti giornali hanno titolato la notizie con cose tipo "vietato nascere il 12 febbraio". Un momento, non diffondiamo notizie false e tendenziose, atte a creare reazioni di panico.... se un bambino vorrà nascere domani, cominciando fin dall'alba a dare segni di impazienza, potrà farlo. La mamma andrà in ospedale, le ostetriche non l'abbandoneranno (prestazioni indispensabili) e interverranno solo in caso di effettiva necessità (assistenza alle urgenze).
Ah davvero....? Interverranno solo in caso di effettiva necessità? Perchè invece di solito cosa può succedere in sala parto?
Nel comunicato stampa della  Federazione Nazionale Collegi Ostetriche leggo "La Fnco ha sempre sostenuto la necessità di separare il percorso fisiologico da quello patologico della nascita, con il duplice obiettivo di migliorare l’appropriatezza delle cure e di abbattere i costi connessi all'eccessiva
medicalizzazione".
Devo dedurne che domani sarà anche il giorno in cui in sala parto  le ostetriche potranno dare una dimostrazione pratica di questa necessaria e auspicabile separazione......?
Stamattina Barbara Siliquini ha diffuso un video molto chiaro su questo tema
CLICCA QUI PER VEDERLO

venerdì 8 febbraio 2013

Vaccinazioni

C'è un grande dibattito tra i genitori sulle vaccinazioni.
Tanta paura, tante domande, tanti dubbi.
Personalmente non ho certezze. Ho vaccinato i miei figli solo per le obbligatorie, solo quando avevano già compiuto nove-dieci mesi, solo quando ero certa che in quel momento fossero perfettamente sani e imbottendoli di Thuya. Diciamo che ho adottato un moderato principio di cautela.
Come ci diceva qualche insegnante illuminato "impara a ragionare con la tua testa". Vi invito a guardare questo video, che spiega tante cose con toni assai pacati, scevro di faziosità e fanatismi. 



mercoledì 30 gennaio 2013

Roma doula con te



Oggi ho avuto l'onore e il piacere di partecipare alla conferenza stampa per la presentazione di un progetto il cui slogan è "Roma doula con te", organizzato dall'associazione culturale Tùrbìne e finanziato dalla Commissione delle Elette di Roma Capitale.
Sono intervenute Martina Rinaldi, dell' associazione promotrice e doula, Monica Cirinnà, presidente della Commissione delle Elette Comune di Roma, Gemma Azuni, della medesima commissione, l'ostetrica Valeria Barchiesi, la sottoscritta me medesima, le doule Federica Salerni e Francesca Barcaccia.
In apertura, Martina Rinaldi ha letto una frase della psicanalista Sophie Marinopoulos, che è stata inserita nella brochure: " La maternità è fatta di sociale e di privato, di intimità e di condivisione, di silenzio e di annuncio (....) La maternità è un'iniziazione rituale al divenire genitori, è un luogo di passaggio che deve essere pensato e contenuto dalla nostra società, come fa una madre con il figlio".
In chiusura c'è stato l'immancabile dibattito sulle differenze o supposte sovrapposizioni tra la figura dell'ostetrica e quella della doula, splendidamente concluso da Monica Cirinnà, la quale ha parlato della necessità di fare rete immaginandosi come i pioli di una scala che invece di stare verticale sta a terra, orizzontale. Così i pioli non stanno uno più in alto e uno più in basso, ma sono tutti sullo stesso livello, in rapporto paritario.
Sono stata invitata a partecipare dal gruppo di donne traboccanti di vita, ridanciane, belle e intense che fanno parte della rete Mammadoula. Oggi erano eccitate, felici, e sprizzavano luce da tutti i pori.
In effetti, c'è di che andarne fiere: il progetto è molto bello, di nome e di fatto.
Di nome, perchè l'idea che Roma douli (voce del verbo doulare) mette in luce quell'aspetto matronale, opulento e caloroso della città, e che douli con me me la fa sentire vicina, amica, rassicurante.
Di fatto, perchè il progetto funzionerà così: per tre giorni un pulmino Volkswagen giallo con a bordo le doule di Mammadoula e alcune mamme testimoni, farà un tour della capitale sostando per alcune ore in diversi punti della città. Il furgone è camperizzato e accoglierà chi avrà voglia di fermarsi per capire cosa fanno le doule, scoprire una volta per tutte come si pronuncia, bere insieme una tisana, ricevere materiale informativo.
Bello no?
Si incomincia domani, amiche di Roma partecipate!!

Ecco gli appuntamenti:

giovedì 31 gennaio
ore 10 • 13 piazza Igea • piazza della Balduina
ore 14 • 17 Prati • piazza Cola di Rienzo
ore 18 • 21 Salario • piazza Fiume
venerdì 01 febbraio
ore 10 • 13 Fidene • piazza dei Vocazionisti
ore 14 • 17 Tiburtina • Stazione Tiburtina
ore 18 • 21 Pigneto • piazza del Pigneto
sabato 02 febbraio
ore 10 • 13 Monteverde • piazza San Giovanni di Dio
ore 14 • 17 Marconi • piazzale della Radio
ore 18 • 21 Trastevere • piazza Trilussa



venerdì 25 gennaio 2013

Le donne, l'arme e Massimo




L'esercito americano consentirà alle donne di combattere in prima linea.
E Massimo Gramellini commenta che non è questo che sognava dalla battaglia delle donne, vagheggiando un femminile forte ma con gentilezza, accogliente e protettivo.
Non sono d'accordo. Possiamo criticare l'esercito in generale, nella sua essenza, essere antimilitaristi, criticare l'uso delle armi e criticare le guerre, va bene. Anche se il discorso è sempre più complicato di quel che sembra,  visto che le armi vengono usate anche per nobili scopi, ad esempio per difendersi da chi le usa contro di te, pensiamo alla Resistenza, alle guerre di liberazione che sono state combattute o a quelle che oggi vorremmo che potessero essere combattute.
Ma dunque, cosa dovrebbero fare le donne che entrano nell'esercito? O quelle che entrano a far parte di un qualsiasi esercito di liberazione? Stare a stirare le divise dei soldati? Curarli quando vengono feriti? Trasportare documenti o armi nascosti sotto le gonne come facevano le staffette partigiane, che poi a guerra finita tutte in casa a far le casalinghe?
Certamente potranno fare anche questo, se gli va. Ma anche no, se gli va.
Già la frase "l'esercito americano consentirà alle donne di combattere in prima linea" la dice lunga su chi ha il potere di decidere cosa le donne possono o non possono fare.
Massimo Gramellini paragona le donne in prima linea al fenomeno del bullismo femminile nelle scuole.  Ma io direi che il paragone in questo caso è tra la soldatessa torturatrice di Abu Ghrabi e le bulle, che c'entrano le soldatesse?  Sono loro che abusano della loro forza fisica, del potere che hanno, della protezione del gruppo, mica le soldatesse in quanto tali.
Forse ci si potrebbe aspettare che come doula fossi favorevole a un femminile solo accogliente, gentile e buono, ma le donne sono tante cose diverse, anche quando sono madri, ed è bene che io non dimenticarlo mai.
Rimpiangendo le donne rassicuranti, Massimo Gramellini prosegue dicendo che "al cinema le Angeline e le Charlize hanno cominciato a menare come ossesse. Ve la immaginate Katharine Hepburn prendere Spencer Tracy a calci nella giugulare?". Sì Massimo, a dire la verità me l'immagino benissimo. Le donne con le armi in pugno ci sono da ben prima di Angelina Jolie, per esempio Diana l'arciera (dea della caccia e protettrice del parto), le Amazzoni, Giovanna d'Arco e Calamity Jane.


martedì 8 gennaio 2013

Stuzzichini

A chi ancora non si è fatto questo regalo, voglio stuzzicare l'appetito pubblicando qualche frammento....



Benvenuto tra noi
Pratiche e riflessioni intorno alla nascita e al parto.
Numero speciale della rivista “Gli asini”.
Acquistabile on line,oppure ordinandolo in libreria

pagina 7 Introduzione di Sara Honegger
(....) Occuparsi di nascita è occuparsi dell'inizio. Inizio di un nuovo tu, si potrebbe dire con Capitini, ma anche inizio di un nuovo noi: la nuova famiglia, qualunque sia l'accezione in cui s'intende questa parola così carica di ambiguidà ideologiche; le famiglie intorno; gli amici; i parenti più lontani; e via via il mondo, inclusi magari anche gli animali di casa.(....)