lunedì 11 novembre 2024

GPA reato universale


 

In questi giorni i nostri pensieri vanno a tutti i bambini e le bambine e ragazzi e ragazze nati e nate da una Gestazione Per Altri.

Certo, tutte le solide certezze cui eravamo abituati ad appoggiarci fino a poco tempo fa per comprendere la vita, si sono fatti friabili. Il panorama è cambiato, che ci piaccia o no, e da qui dovremmo partire, nutrendo il pensiero critico con le storie dei vissuti delle persone, con l’ascolto di queste persone, perché dietro le GPA ci sono donne, uomini, bambine e bambini; ci sono sentimenti, desideri, speranza, coraggio, gioia e dolore. Sarebbe ora di adottare un pensiero ospitale e di costruire collettivamente una narrazione delle origini che sia rispettosa di chi è nato così, ma ancora non siamo riusciti a farlo verso chi è nato grazie alle tante altre tecniche di PMA, ben più praticate.

La GPA interrompe la relazione cresciuta in nove mesi di gravidanza, vero. Ma quel bambino o quella bambina nasce grazie alla donna gestante, grazie a dei genitori intenzionali che lo hanno fortemente desiderato (che nel 90% dei casi sono coppie eterosessuali) e grazie non di rado anche alla famiglia della gestante che crea lo spazio necessario affinché questa nascita avvenga. E’ un grembo simbolico forse azzardato, o forse semplicemente bello, ricco di relazioni inedite e vitali.

Preoccuparci del benessere del nascituro è primario, ma cerchiamo di non dare per scontato di sapere già tutto.

Sono molti i paesi dove la GPA è consentita, e spesso regolamentata, dalla legge. In alcuni posti è consentita solo in forma solidale, in altri dietro pagamento. Ma no, non si pagano i neonati come fossero merce, che orribile idea, si paga il tempo della cura. Perché la gravidanza è un tempo di cura.

Ci sono casi di sfruttamento? Certo che sì, e la criminalizzazione galattica non aiuterà. Vergogniamoci piuttosto di tollerare che ci siano donne nel mondo che non hanno da dar da mangiare ai propri figli. Perseguiamo i casi di sfruttamento, laddove la donna fa una gravidanza per altri senza averlo scelto, ma sono casi già perseguibili. Non c’era bisogno di definire la GPA crimine universale, come i reati di pedofilia, strage e genocidio. Reati per cui è previsto il massimo della pena, e invece per il "crimine" di GPA un paio d'anni. Il tema della GPA è delicato e complesso, e occorre parlarne, ed è quello che dovremmo fare, ma la battaglia per la sua criminalizzazione universale (era già reato in Italia, stabilito dalla legge 40 che governa la procreazione assistita) ha solo ostacolato questo dialogo, alzando muri contro muri. Il risultato è che da un lato si fa un torto gigantesco ai bambini, ai ragazzi nati da un supposto "crimine universale", e dall'altro si banalizzano quelli che erano già definiti crimini universali.

E poi, se è vero, ed è vero, che si ha diritto alla conoscenza delle proprie origini, le coppie eterosessuali che hanno fatto ricorso alla GPA, dopo questa legge avranno voglia di raccontare ai figli la storia delle loro origini? Avranno voglia di dire loro che sono figli di un crimine universale? Che secondo il paese dove vivono non sarebbero dovuti nascere? Le coppie di uomini non possono nascondere ai loro figli la storia della loro nascita, ma le coppie eterosessuali (che ricordiamoci sono il 90% dei casi) possono farlo, possono conservare questo scheletro nell’armadio.

Come Melograno lavoriamo ogni giorno per accompagnare tutti i tipi di famiglie e continueremo a farlo perché crediamo in una società dove nessuno possa crescere sentendosi escluso. Crediamo che solo così si possa far crescere un paese fondato sul rispetto dell’altro e sul suo riconoscimento. Attraverso le nostre azioni vogliamo contribuire a prevenire atti di violenza, bullismo, autolesionismo, disagio mentale.

 

Bologna 19 ottobre 2024

 

 

IL MELOGRANO

Centro Informazione Maternità e Nascita di Bologna

sabato 20 aprile 2024


 

Sabato 13 e domenica 14 aprile abbiamo ospitato al Melograno di Bologna un workshop sulla genitorialità delle persone transgender e no binary con Egon Botteghi, che ha portato la sua esperienza personale nella toccante performance teatrale “Parti di madre trans*” a cui ha fatto seguito un corposo approfondimento il giorno dopo.

C’erano tante persone presenti, operatrici del mondo della nascita, educatrici e educatori, docenti, persone trans* già genitori o che desiderano diventarlo, attivistə. Un magnifico gruppo con percorsi di vita e competenze differenti, mondi che si sono trovati nel medesimo spazio per parlare di un tema che riguarda tuttə, o almeno che dovrebbe riguardare tuttə perché siamo la medesima collettività e gli umani per essere tali devono nascere.

Siamo un’associazione che si occupa di nascita, di gravidanza, maternità, paternità, bambine e bambini piccolissimi. In una sola espressione, molto diffusa anche nelle istituzioni, si occupa dei Primi 1000 Giorni di vita di noi umani. Accogliamo e accompagniamo le donne che scelgono di diventare madri e gli uomini che scelgono di diventare padri, proponendo diverse attività a partire dal corso preparto come accompagnamento alla nascita e al diventare genitori. La nostra frase guida è “Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”. Con il nostro lavoro cerchiamo di far sì che il Melograno sia un piccolo villaggio, un luogo caloroso e accogliente dove ogni vissuto, ogni emozione, ogni dubbio o paura abbia piena accoglienza. Quello del diventare genitori è un tempo in cui emergono nuovi bisogni e insicurezze fino a quel momento sconosciute a cui cerchiamo di rispondere al meglio.

Noi umani siamo esseri sociali, collaborativi, antropologicamente destinati ad essere creature bisognose degli altri. Per migliaia di anni abbiamo cresciuto i nostri cuccioli in gruppo e da un pugno di decenni i nostri piccoli sono diventati invece un affare privato di un nucleo familiare sempre più piccolo, che pesa principalmente sulle donne. E’un tempo della vita che pare avvolto dal mantello dell’invisibilità sociale.

Quello dell’essere invisibili è un tema che le persone trans* che desiderano diventare genitori, o che già lo sono, conoscono molto bene. Infatti nonostante una mole di studi ci dicano il contrario è molto diffuso il preconcetto secondo il quale essere trans* non è conciliabile con la genitorialità. Eppure questi genitori esistono: da un’indagine dell’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA- Fundamental rights agency) nel 2019, dalle 19.445 risposte raccolte tra le persone trans*, è emerso che il 19% era genitore di almeno un bambino.

Ascoltare, nel salone del Melograno dove si svolgono i nostri incontri, che da uno studio condotto in UK risulta che il 30% delle persone trans* e no binary in gravidanza non ha avuto accesso ai servizi sanitari pubblici o privati e che il 54% ha scelto di partorire senza alcun supporto ostetrico perché temeva di sentirsi a disagio, è stato un pugno in pancia. Ricevere un’assistenza appropriata che tuteli salute e benessere durante gravidanza e parto è un diritto, ma se un diritto non è di tuttǝ si chiama privilegio.

L’incontro è stata anche l’occasione per parlare del libretto “Trans* con figlǝ, suggerimenti per (futurǝ) genitori trans* e loro alleatǝ, prima guida italiana sulla Trans*genitorialità”, tradotto e adattato dal tedesco per l’Italia da Alex Romanella ed Egon Botteghi, dall’opera “Trans* mit Kind! – Tipps für trans* und nicht-binäre Personen mit Kind(ern) oder Kinderwunsch”, curata dall’associazione tedesca Bundesverband Trans*. Questo libretto si propone come piccola guida per le persone trans* e non binarie che si sentono sole o spaesate nel momento in cui vorrebbero approcciarsi alla genitorialità, oltre che a chi genitore trans* lo è già. 

Questo workshop ha richiesto due anni di gestazione prima di concretizzarsi e fin dall’idea iniziale ha avuto lo scopo acquisire, come Melograno, gli strumenti per accogliere nel migliore dei modi, rispettosamente, persone trans* e no binary che desiderano diventare genitori.

Desidero ringraziare chi ha partecipato e ha portato competenza, calore e generosità dentro al Melograno. E un ringraziamento di cuore a Egon!


martedì 14 marzo 2023

La retorica sulla diade mamma-bambino

“Per crescere un bambino ci vuole un villaggio”, lo diciamo sempre al Melograno. Ma come si può declinare questo concetto con lo stile di vita che conduciamo oggi? Come renderlo concreto e praticabile? E che relazione c’è tra il villaggio e la diade mamma-bambino, quella relazione primaria di cui si dice vada protetta e rafforzata? Se volgiamo lo sguardo alla storia umana, proprio da principio, vediamo che sì, nella maggior parte delle comunità di cacciatori-raccoglitori precedenti al neolitico, i neonati vivevano a stretto contatto della tetta materna, non dormivano soli e c’era sempre un adulto che se ne prendeva cura. Ma appunto, un adulto, mica solo la mamma. I neonati passavano di mano in mano tra tutte le figure della comunità, nonne, nonni, zii e zie, fratelli e sorelle, e anche zii e zie che davvero zii non erano. Le cure dunque non solo non erano solo materne, ma nemmeno solo parentali, erano cure alloparentali. E naturalmente la cosa non riguardava solo i neonati, ma tutta la crescita dei bambini. Fino a circa ottomila anni fa tutti gli umani del pianeta sono stati cacciatori-raccoglitori, per circa due milioni di lunghi anni. Poi a poco a poco la domesticazione delle piante e degli animali si sono diffuse, e molte cose sono cambiate, ma alcuni gruppi di cacciatori-raccoglitori ci sono ancora oggi. Gli antropologi è da circa un secolo che studiano queste società, per questo ne sappiamo qualcosa. Due milioni di anni avranno pur lasciato un segno nella nostra struttura psichica, oltre che nei nostri geni, cosa vuoi che siano ottomila anni a confronto di due milioni. Senza contare che anche nelle società dedite all’agricoltura i bambini mica se li spupazzava solo la mamma o al limite il papà. Io, che pure sono nata nel 1957, sono cresciuta con tanti adulti di riferimento, mamma, babbo, prozia, nonni e zii vari, perché così funzionava nelle famiglie contadine. E quindi, per tornare al villaggio, sto proponendo di ritornare a vivere in piccole comunità di autosostentamento, a raccogliere tarassaco e a cacciar cinghiali? Proprio no, per motivi che non intendo approfondire qui. Ma cerchiamo di coltivare altre forme di socialità intorno alle creature che nascono e asciughiamo asciughiamo asciughiamo la retorica sulla diade mamma-bambino…. ecco l’ho detto.

domenica 4 ottobre 2020

Le foto di Lennart Nilsson





Nel 1968 gli astronauti dell'Apollo 8 fotografarono l'immagine del nostro pianeta che fa capolino dal suolo lunare. Una foto che ha cambiato per sempre il nostro modo di vedere la Terra.

Tre anni prima c’erano state altre foto dalle quali non si sarebbe più tornati indietro: LIFE pubblicò un servizio di Lennart Nilsson sulla vita intrauterina. Per la prima volta si videro feti in formazione, simili a cosmonauti fluttuanti in un mondo celestiale, dentro al sacco amniotico e attaccati alla placenta dal grosso cordone ombelicale. Nilsson poi pubblicò un intero libro fotografico con foto prenatali. Sua è quella famosissima del feto di pochi mesi che si ciuccia il dito. Foto poetiche, che fanno sognare.
Però ovviamente non sono foto intrauterine. Sono tutte foto di feti morti. Sono opere d’arte, costruite minuziosamente, che hanno cambiato il nostro modo di vedere qualcosa che fino a quel momento era solo mistero e immaginazione, fatte a partire da una totale finzione.